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Cina: 2 miliardi verso azioni estere | Le restrizioni non funzionano

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A poco sembrano essere servite le ulteriori misure restrittive annunciate a inizio anno. Per il mese di gennaio gli investitori cinesi hanno spostato circa 2 miliardi di dollari su ETF quotati sui propri mercati che replicano indici esteri. Un numero che non tiene conto di Hong Kong e che è stato riportato da Bloomberg, ad ulteriore segnale della scarsa attrattiva che il mercato azionario nazionale cinese esercita sugli investitori, per piccoli o grandi che siano. Una situazione certamente non nuova, ma che in diversi si aspettavano in rallentamento dopo appunto le misure restrittive adottate dalla Repubblica Popolare.

E invece i capitali continuano a prendere la strada dei pochi strumenti che si hanno per investire in titoli stranieri. E le restrizioni hanno esacerbato problemi che erano già presenti in questi strumenti, a partire dal forte premium che le quote di suddetti ETF comandano rispetto al controvalore del sottostante. Un quadro piuttosto preoccupante per le borse cinesi, che nonostante (poco convincenti) stimoli non riesco a invertire il trend. Tra i mercati maggiormente gettonati quello degli Stati Uniti e la piazza di Tokyo, trend che in realtà erano già chiari dai mesi precedenti.

2 miliardi verso ETF che replicano indici esteri

Niente azioni cinesi, siamo cinesi

Continua il momento di scarsa attrattiva delle azioni delle aziende cinesi sul mercato locale (e in verità anche sui mercati esteri). Nel solo mese di gennaio sarebbero fluiti, secondo i numeri raccolti da Bloomberg, oltre 2 miliardi di dollari verso ETF che replicano i principali indici della borsa USA e della borsa giapponese. Particolarmente attrattivi per i risparmiatori e gli investitori cinesi quelli che replicano l’indice Standard 6 Pooor’s 500. Un fiume di denaro che ha battuto anche le restrizioni di Pechino, causando poi non pochi problemi sugli scambi stessi.

Il trading di questi strumenti avviene spesso a intermittenza, con sospensioni per eccesso di rialzo e che sono il frutto anche del grosso scarto che è maturato, in diverse circostanze tra NAV e valore delle quote. Una conseguenza chiara della grande domanda di questi fondi, che sono l’unico modo per una vasta maggioranza dei partecipanti ai mercati cinesi di esporsi verso certi titoli e verso certi mercati.

La “muraglia” non ha funzionato

Investitori che votano con i piedi

Questo il commento, raccolto sempre da Bloomberg, di Peng Hong, che è fund manager da Shenzhen Zichang Fund Management. Permangono però enormi rischi su prodotti che vengono venduti con un premium molto alto e dettato dal mercato e che potrebbero esporre a perdite consistenti nel caso di correzione del mercato USA, correzioni però che fino ad oggi – nonostante se ne parli da tempo – non sembrano avere alcuna intenzione di fare la loro comparsa.

Il caso è emblematico di quanto narrativa e realtà si stiano incrociando in un periodo molto difficile, sotto il profilo finanziario e di mercato, per le società cinesi quotate. Siamo ancora nel guado e lontani dalla riva, con i problemi del settore immobiliare che per molti analisti sono lungi dall’esaurirsi e con la sfiducia che continua a montare nonostante Pechino abbia lasciato intendere la volontà di intervenire a tutela del proprio mercato. Spesso con la carota degli incentivi, ma ancora più spesso con limitazioni che non sembra che stiano funzionando.

Anzi, a guardare certi premium, la sensazione che si ha è che stiano sortendo l’effetto opposto, con chi è intenzionato a investire per intermediazione fuori dalla Cina che è disposto a pagare premium importanti e anche a sopportare rischi maggiori. Rischi che non esisterebbero senza le restrizioni di cui sopra.

Chissà se i dati di febbraio trasformeranno questa anomalia in un trend. Trend che almeno per il momento appare ovvio e che nuove restrizioni potrebbero non essere in grado di invertire.

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