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Cina: inquinamento nuovo acciaio a zero dopo pressioni UE

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L’acciaio green è al centro di diverse questioni politiche, in diverse parti del mondo. Nel Regno Unito si lotta per i posti di lavoro di Port Talbot, in difficoltà proprio per il passaggio a nuove modalità produttive in grado di ridurre le emissioni. In Cina, anche se sottovoce, si cerca di fare lo stesso, almeno in termini di passaggio verso acciaierie che siano più rispettose dell’ambiente e che riducano le emissioni rispetto alla cosiddetta normalità. Nel corso del 2024, come riporta Reuters, la Repubblica Popolare non ha approvato neanche una nuova acciaieria a carbone, segno anche del fatto che le pressioni dell’Unione Europea in questo senso – che analizzeremo più avanti – stanno iniziando a dare i loro frutti.

I numeri sono già importanti: da inizio anno le amministrazioni locali hanno dato l’ok per nuove acciaierie che aumenteranno la produzione di 7,1 milioni di tonnellate, tutte però basaste sulla tecnologia EAF, la stessa che sta causando tanti grattacapi al nuovo governo laburista nel Regno Unito. Un passo avanti per l’ambiente, ma anche per le pressioni che il resto del mondo sta esercitando verso la Repubblica Popolare, la cui sola industria dell’acciaio ha emissioni che superano quelle complessive dell’Europa.

Le pressioni del CBAM funzionano?

I dati sono sotto gli occhi di tutti. Nel corso di tutto il 2024 non è stata aperta una sola nuova acciaieria basata sul carbone, con la comunque importante crescita in termini di output della Cina che è stata affidata tutta a tecnologie più pulite. Per molti è il segno della vittoria del CBAM, ovvero il Carbon Border Adjustment Mechanism, che prenderà il via dal prossimo anno e che gradualmente potrebbe rendere la produzione cinese ad alte emissioni estremamente più cara in Europa, per quanto in modo graduale.

Questo almeno per quanto riguarda gli export con destinazione UE, per quello che sembrerebbe essere per ora un successo importante della politica europea e dei suoi piani per esercitare pressioni sia dentro i confini sia fuori per produzioni più green anche quando si parla di industria pesante. La reazione della Cina è dunque più che comprensibile: l’acciaio non green diventerà sempre meno appetibile a causa del CBAM, che punterebbe a quantificare almeno in parte le esternalità negative di certe produzioni. La crescita graduale dei dazi green porterebbe infatti le produzioni cinesi a essere non più competitive in Europa, mercato di una certa rilevanza e del quale certamente non si può fare a meno.

Il funzionamento del CBAM

A partire dal 2026 i produttori europei dovranno pagare un’ulteriore dazio, se così vogliamo chiamarlo, calcolato sulle emissioni anche all’estero dei prodotti che utilizzano. Con questo schema, i prodotti da paesi e/o da fabbriche che non seguono i diktat di Bruxelles diventeranno più costosi, e secondo alcuni calcoli lo diventeranno al punto tale da non essere più competitivi. E sarebbe proprio questo il punto che sta interessando la Cina anche nel pianificare l’aumento del suo output di acciaio, che a causa del suddetto CBAM finirebbe per essere praticamente invendibile in Europa.

Bruxelles potrà cantare vittoria: se l’obiettivo è quello di ridurre le emissioni, quanto è stato fatto già nel 2024 segnala i buoni risultati ottenuti appunto da questa nuova normativa, che pur non colpendo in questo caso direttamente i produttori all’origine, riesce ad esercitare pressioni importanti mettendo i loro prodotti fondamentalmente fuori mercato.

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