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Cina: diagnosi impossibile. Così come la soluzione dei problemi?

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Quando il problema è complesso, non mancano mai soluzioni semplici. È questo il mantra ricorrente dell’editoria finanziaria e anche di fronte alla grande crisi cinese il copione sembra già scritto. Scampoli di interviste, di preoccupazioni, di sentito dire provano a raccontare in diretta il crollo – per mancanza di concetti più raffinati – di quella che è stata la locomotiva della crescita globale degli ultimi due decenni. La questione coinvolge gli interessi di tutti i mercati: azionario globale e asiatico, mercato immobiliare e domanda globale.

E davanti a una questione così centrale per il futuro dell’economia cinese (e delle economie mondiali) è utile fare un breve resoconto di quello che sappiamo, di quello che pensiamo di sapere e di quanto in realtà abbiamo soltanto immaginato. Non senza la complicità di una stampa che – anche ai massimi livelli – non è mai apparsa pigra come oggi.

Quanto c’è di vero?

Il problema: la Cina non è più quella di un tempo

La pandemia non è stata un incidente di percorso. L’economia di Pechino sembra avere problemi veri. La crescita pre-pandemica è un lontano ricordo, così come è un lontano ricordo l’outlook positivo a oltranza di tutti i principali analisti. La Cina da soluzione è diventata problema: domanda interna asfittica, domanda globale che non aiuta, alta disoccupazione giovanile, calo demografico e calo dei matrimoni. Non manca neanche uno degli ingredienti tipici della fine di un ciclo.

A peggiorare una situazione già compromessa il crollo del mercato immobiliare, fino a poco fa cassa sicura per i risparmi cinesi e motore – almeno in parte – della crescita. Un quadro a tinte fosche e cupe, la cui inversione sembra ora materia per i maghi.

Non esistono soluzioni semplici

Demografia e disoccupazione giovanile

Qualcuno, direttamente dalla Cina e con un articolo ormai introvabile, si è spinto ad affermare che in realtà il tasso di disoccupazione giovanile sia doppio rispetto a quanto riportato dalle autorità. Al fine della nostra narrazione, possiamo comunque prendere per buono il dato ufficiale, che è sopra il 20%.

Agli stessi giovani è stata data voce da una pletora di pubblicazioni finanziarie sul campo – che hanno aggiunto alla proverbiale zuppa del pan bagnato: i giovani cinesi, oltre ai problemi dell’economia che lasciano in molti a casa, non hanno granché voglia di lavorare con il sistema 996. Dalle 9 alle 9, 6 giorni a settimana. Modalità di impiego che sarebbe diventata lo standard in un’economia in enorme sofferenza e che lascia ai datori di lavoro enorme discrezione sulla modalità di impiego da imporre.

C’è poi il problema – anche questo discusso in lungo e largo – del calo di matrimoni (questo non esattamente recente) – aggravato secondo diversi studi dal costo molto elevato degli immobili. Altra situazione sulla quale il Partito sarà chiamato a intervenire, potendosi però muovere in equilibrio su un binario molto sottile.

A Pechino serve una bacchetta magica – e di soluzioni semplici non ne esistono

Per quanto fior di editoriali si siano affannati nell’individuare in questa o in quella causa il problema da colpire per riportare tutto alla normalità, la verità è che di soluzioni semplici non ne esistono. Quella cinese è una situazione che per i più attenti sembrerebbe essere di fine ciclo – e segnale di un’economia che non potrà più basarsi su un enorme monte lavoro come unico criterio per la competitività.

La palla ora passa al governo centrale, che in molti in passato avevano ritenuto più efficace – anche per la mancanza di ostacoli – nel prendersi cura tempestivamente di certe problematiche. Lodi che ora sono sparite dai giornali, sostituite da preoccupazioni legittime che però solo il tempo dichiarerà come esagerate o meno. Nel frattempo – almeno per i più fantasiosi – a essere in gioco è l’intera tenuta della Cina.

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