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Cina: economisti dubitano dei dati di Pechino

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Anche se non è esattamente una novità, il tema è diventato estremamente più caldo durante questa settimana. Parliamo dell’affidabilità dei dati cinesi sulla propria economia, dati che gli analisti internazionali hanno sempre ritenuto essere poco affidabili e che questa volta sembrerebbero essere addirittura meno affidabili. Questa è l’idea che circola ai piani più alti delle banche d’affari, come ha riportato Financial Times, con i dati che riguardano la produzione di acciaio che sono un indicatore importante della discrepanza tra quanto viene raccontato e quanto in realtà starebbe effettivamente accadendo dalle parti di Pechino.

Il tutto mentre Pechino ha annunciato una crescita del PIL superiore alle già importanti aspettative fissate dal governo centrale, dati che hanno trasformato il 2023 in un successo proprio mentre montavano, da più angoli, preoccupazioni sulla tenuta della seconda economia del mondo. Dicevamo che non è una novità: da anni dopotutto gli economisti utilizzano dati ricavati altrove per cercare di misurare effettivamente l’andamento in termini macro dell’economia della Repubblica Popolare.

Dubbi sugli ultimi dati

Un’economia enorme, con grossi problemi di gestione dei dati

La lunga storia che viene raccontata da Financial Times passa dal ricordare quanto avvenuto nel 2007. L’allora primo ministro Li Keqiang, ammise che in realtà i dati che arrivavano dalle province non erano mai accurati al punto tale dal permettere elaborazioni sul pezzo, cosa che ha sempre spinto gli uffici di statistica di Pechino a ricavare dati partendo da altri fattori, come ad esempio il livello dei prestiti. Un segnale della situazione interna alla quale però deve essere aggiunto un altro fattore: dalla pandemia COVID in poi il controllo delle informazioni esercitato dal governo centrale è aumentato in modo importante, cosa che rende i dati che vengono diffusi oggi, almeno secondo gli analisti occidentali, ancora più inaffidabili.

Dati che hanno tra le altre cose sorpreso in molti: mentre la domanda interna è fiacca, nel mezzo della crisi più grande di sempre per il settore immobiliare e più in generale di difficoltà globali per le economie maggiormente votate all’export, la Cina ha battuto previsioni formulate a fine anno, quando il sentiment era ben diverso e quando in realtà non si aveva ancora piena contezza di quanto sarebbe accaduto, di lì a poco, all’economia cinese.

Un problema che arriva da lontano

Uffici di statistica non indipendenti?

Per qualcuno è il proverbiale segreto di Pulcinella, per altri qualcosa che deve essere preso semplicemente in considerazione caso per caso. È il caso ad esempio di Louis Kuijs, che segue l’economia cinese per Standard & Poor’s e che conferma che ci sono delle discrepanze importanti nei dati che sono stati diffusi dal governo cinese.

E ci sono anche problemi in termini di tipologia dei dati che vengono diffusi: dalla scorsa estate non vengono ad esempio più diffusi i dati – politicamente molto sensibili – della disoccupazione giovanile, che però hanno fatto la loro ricomparsa qualche tempo fa, con metodologie molto diverse e che raccontano una storia molto diversa da quella precedente.

Crescono anche, queste le proteste di diversi analisti indipendenti e fuori dalla Cina, le preoccupazioni sulla possibilità di condurre interviste e analisi in loco, con la diffusione di informazioni verso stranieri che viene spesso compressa adducendo motivazioni di sicurezza nazionale.

Mentre i prezzi barcollano e preoccupano anche le economie occidentali, mentre la disoccupazione giovanile rimane su livelli importanti e mentre il settore delle proprietà immobiliari è ancora in enorme difficoltà, c’è in sintesi chi non ritiene che il risultato riportato possa essere considerato come affidabile. Che si tratti di qualità dei dati o di aperte manipolazioni, sarà una discussione che proseguirà anche tra chi alloca capitali, che dovrà tenere conto anche dell’enorme significato politico che l’una e l’altra posizione incorporano.

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