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Cina: mercati chiedono più interventi | Attesa per mosse PBOC

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Lo spread tra rendimenti a 2 e 30 anni è il segnale più alla moda per gli analisti finanziari da qualche tempo a questa parte. E segnala, ora anche in Cina, la necessità di intervenire presto sui tassi, pena il materializzarsi all’orizzonte di problemi ben più gravi di quelli che la Repubblica Popolare sta affrontando ormai da tempo. Il settore azionario, nonostante diversi piani di stimolo, rimane piuttosto fiacco, così come rimane problematica la situazione per il settore immobiliare, forse il più importante motore dell’economia cinese – e il segnale che arriva dallo spread di cui sopra non promette nulla di buono.

Siamo infatti, secondo i dati raccolti da Bloomberg, ai minimi dal 2013, cosa che sta spingendo le richieste – a gran voce – da parte di allocator e operatori di mercato a un più deciso intervento della Banca Centrale in termini di tassi. Intervento per il quale però Pechino continua a tentennare, preferendo misure spot di sostegno a questo o quel mercato. Avrà ragione il segnale dei segnali, oppure il governo cinese riuscirà a uscire dal vicolo quasi cieco continuando con interventi non organici?

Gli spread segnalano necessità di intervento

Spread tra bond a 2 anni e a 30 anni ai minimi dal 2013

Il segnale è quello – forse un po’ abusato – che abbiamo visto utilizzare anche per analizzare la situazione dell’economia statunitense. Quando i rendimenti dei bond a breve scadenza – tipicamente 2 anni – e quelli a lunga scadenza – tipicamente 30 anni – si avvicinano troppo o quando addirittura (non è questo il caso in Cina) si invertono, vuol dire che i mercati stanno prezzando problemi presenti e futuri per l’economia di riferimento. Ed è quello che sta succedendo in Cina. Tra i bond con scadenza biennale e quelli con scadenza trentennale la differenza non è che di soli 50 punti base, differenza minima e innaturale per una qualunque economia che abbia un buono stato di salute.

Per chi non dovesse frequentare tali mercati, è il segno che si è disposti a prestare denaro percependo come maggiore il rischio sul breve periodo che quello sul lungo: una situazione appunto innaturale che è infatti utilizzata come segnale importante di difficoltà già in parte prezzate, ma che nella loro complessa distruttività tendono poi a comparire più avanti.

Una parte del discorso rimane poi la stessa che sentiamo arrivare dai commentatori e da chi opera sulle piazze cinesi da tempo: la banca centrale così come il governo stanno giocando troppo d’attesa e non stanno avendo un atteggiamento in grado di anticipare eventuali problemi futuri. Cosa che sarebbe confermata tra le altre cose dal fatto che tutti gli ultimi interventi della Banca Centrale della Repubblica Popolare è intervenuta di rado, così come è intervenuto di rado il governo a sostegno del mercato azionario.

Azionario cinese ancora sotto osservazione

Tante le preoccupazioni per la Cina. Ma quanto è narrativa?

Torna dunque anche il tormentone di una Cina in crisi profonda e pronta a cedere lo scettro di preferita di chi è a caccia di rendimenti all’India. Una narrativa che ha già comportato una fuga importante di capitali esteri nel corso del 2023 e anche allocazioni piuttosto particolari sul mercato interno.

Qualche tempo fa vi abbiamo raccontato di quanto accaduto ad esempio in termini di ETF: quelli che replicano l’andamento di mercati esteri come USA e Giappone – che sono soggetti a limitazione massima di allocazione – sono stati scambiati anche al 40% in più rispetto all’AUM. Segno di una domanda molto forte per quei titoli in grado di replicare l’andamento di investimenti esteri e di scarsa fiducia verso la possibilità per la Cina di essere attrattiva anche per gli investimenti dei propri cittadini. Difficilmente si arriverà all’inversione dei due rendimenti, ma il segnale che arriva, data sia la sua rilevanza sia la sua popolarità, non è di quelli da ignorare.

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