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Cina pronta a intervento a tutela yuan. Pesa decisione di Moody’s
Il downgrading, per quanto soltanto dell’outlook, di Moody’s ai danni della Cina – ve ne abbiamo parlato qui poche ore fa – sta già producendo i primi effetti sui mercati. O meglio, li sta producendo a quei piani alti dove le valute, in particolare lo yuan, vengono amministrate. Il tasso fissato dalla banca centrale cinese è infatti di parecchio più alto di quello che invece viene scambiato dai mercati, 7,1140 contro quotazioni di parecchio superiori sulla media dei mercati internazionali, segno che Pechino si sta lanciando nell’ennesimo tentativo di strenua difesa della sua divisa nazionale.
Una divisa nazionale che è parte anche degli strumenti di carattere politico che Pechino sta utilizzando per allargare la sua sfera di influenza, in Africa come altrove, approfittando anche delle nuove problematiche di carattere geopolitico che, in diverse aree del pianeta, stanno creando gap che la Repubblica Popolare vorrebbe disperatamente occupare. Tra il dire e il fare questa volta però non c’è soltanto il mare, ma anche la registrazione di un outlook peggiorato, con quanto dichiarato da Moody’s poche ore fa che è in realtà la certificazione di quello che tutti pensano del futuro dell’economia cinese.
La Cina vuole uno yuan forte, contro tutto e tutti
Il messaggio è in realtà parecchio chiaro: Pechino non tollererà uno yuan debole sui mercati internazionali, costi quel che costi. La forza relativa della divisa nazionale è uno degli obiettivi primari del Partito, che è disposto anche a mettere in campo capitali importanti a tutela del valore della propria tutela. Capitali che però non sono sempre necessari: continuano a arrivare stop, a singhiozzo, al trading per le banche inshore, così come continuerebbero messaggi che più che come consigli appaiono come ordini agli operatori del mercato del Forex che hanno sede principale in Cina.
Tutto quel che serve affinché lo yuan venga tutelato, anche quando, come da qualche ora a questa parte, in realtà le forze di mercato spingono in senso contrario. Tra i trading desk e gli esperti che investono capitale su questo mercato continua inoltre a montare la convinzione che se la volatilità dovesse prolungarsi, PBOC sarà più che pronta a intervenire anche con capitali e con operazioni direttamente a mercato al fine di sostenere il cambio, in particolare quello di riferimento principale, che è contro USD.
Se, come e quando avverrà è tuttora però da verificarsi: sostenere le valute, quando lo si fa con capitali e non obbligando gli operatori privati a non fare trading, è un’operazione molto costosa, mentre le preoccupazioni per questioni assai più pressanti continuano, parimenti, a montare dalle parti di Pechino.
Il sogno di un futuro senza dollaro
È un sogno certamente eccessivo anche per i più fantasiosi in posizione di potere dalle parti di Pechino. L’occasione però è ghiotta: la Russia ha enormi difficoltà ad accedere al mercato del dollaro e tanti paesi non allineati non sembrerebbero essere persuasi del fatto che utilizzare una valuta con risvolti politici così importanti, il dollaro appunto, sia forse una idea.
È il gap di cui abbiamo parlato sopra, e che ha spinto tanti analisti dell’ultima ora a vedere in sedicenti valute globali marcate BRICS una possibile alternativa. No, non siamo lì. Non ci siamo ancora e non ci saremo ancora per un lungo periodo.
Questo però non vuol dire che Pechino non abbia fiutato l’occasione e che non sia disposta a impegnare capitali anche importanti per mostrare al nuovo mondo che in realtà lo yuan potrà essere considerato tanto affidabile quanto il dollaro USA. Ad avviso di chi vi scrive il percorso sarà ancora molto lungo, lungo almeno tanto quanto un altro paio di scalini, importanti e relativi a ordini di grandezza diversa, per l’ulteriore ammodernamento dell’economia cinese.