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Citi invita a silenzio sullo yuan. È caso in Cina
Il Forex si fa sempre più politico in Cina. Secondo quanto è stato diffuso da Bloomberg, Citi avrebbe avvisato i private banker di non discutere lo yuan durante i loro viaggi d’affari in Cina. Questo per evitare ritorsioni da parte dei media statali che hanno già causato problemi, durante lo scorso anno, ad altri gruppi di queste dimensioni, in particolare tra quelli che avevano diffuso analisi ribassiste sulla divisa nazionale cinese. La banca ha deciso di non commentare la situazione e di non rispondere alla richiesta di chiarimenti da parte della stampa.
Citi non opera direttamente in Cina, ma offre comunque servizi ad una clientela selezionata in Cina, muovendo specialisti dalle sedi di Singapore e di Hong Kong. Nonostante questa separazione giuridica, il gruppo avrebbe ritenuto consigliabile di evitare eccessive chiacchiere e analisi, sempre con la clientela selezionata di cui sopra, per evitare appunto ritorsioni che potrebbero costare al gruppo reputazione e libertà di azioni a Pechino e dintorni.
Continuano gli attriti tra società finanziarie occidentali e governo di Pechino
Quanto diffuso da Bloomberg sarebbe stato inserito all’interno di una nota diffusa a dicembre, destinata appunto ai private banker che offrono ad una clientela piuttosto facoltosa servizi di offshore banking in Cina. Tra le note diverse nuove regole, tra le quali il divieto di sollecitare investimento relativi allo yuan, anche a copertura di eventuali previsioni negative. Bloomberg, nel riportare la notizia, cita fonti informate dei fatti ma anonime.
Il tutto all’interno di un contesto che ha visto già diversi attriti tra le grandi banche d’affari occidentali e il governo cinese. Basti ricordare quanto avvenuto ad esempio con il downgrade dell’outlook per il debito cinese effettuato da Moody’s, così come avvenuto in recenti esposizioni di previsioni negative da parte di JPMorgan.
Analisi che, quando negative, non sembrano piacere al Partito, che ha già schierato in passato, a tutta forza, media sotto il governo statale per colpire tanto le analisi quanto chi le aveva prodotte. Il quadro è inoltre più ampio: da tempo società indipendenti di analisi lamentano perquisizioni e indagini a orologeria che avrebbero come obiettivo, secondo le malelingue, proprio l’obiettivo di limitare la libertà di analisi di suddetti analisti.
Il quadro complessivo è quello di tensioni con il blocco occidentale che si stanno esacerbando sia a livello politico che economico-finanziario, con la pressione su Pechino che cresce sia per l’andamento barcollante dell’economia nazionale, sia per ulteriori strette da parte degli Stati Uniti in termini di merci hi-tech esportabili. Guerra commerciale che riguarda anche settori di enorme importanza per l’export cinese, come i veicoli elettrici.
Le ritorsioni del passato
Non si tratta chiaramente di paura per l’incolumità fisica dei private banker, ma piuttosto del rischio di perdere importanti rapporti con il governo di Pechino. Cosa sperimentata da JPMorgan, tagliata fuori dalla partecipazione di alcune IPO proprio in seguito a critiche verso lo stato dell’economia cinese. Una situazione complessivamente difficile che richiederà alle banche d’affari di muoversi il più possibile in equilibrio. Equilibrio sempre più difficile a meno che non dovessero arrivare degli alleggerimenti nelle tensioni tra ovest e est.
Alleggerimenti che per il momento però non sembrano essere sul tavolo. E che non potranno esserlo con ogni probabilità per tutto il 2024, neanche in caso di avvicendamento alla Casa Bianca.
E la questione prezzi sarà anzi motivo di ulteriori tensioni tra Pechino e il blocco occidentale, tensioni che sono quelle che poco sopra abbiamo indicato come da navigarsi cercando di ridurre impatti e danni per i grandi gruppi finanziari.