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PCE poco sopra le aspettative. Dollaro fermo e addio tagli a luglio

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I dati del PCE, che è l’indicatore di inflazione preferito da Federal Reserve almeno in questa fase, sono leggermente superiori alle aspettative che si erano formate tra gli analisti. Ci si aspettava una crescita anno su anno del 2,5% sia per la versione classica che per quella Core, con il dato effettivo che ha invece fatto registrare un +2,6% per la Core e +2,5% per il dato classico.

Per quanto riguarda invece la lettura mensile, siamo a +0,2% rispetto al mese precedente per la Core. Sono numeri leggermente più alti delle aspettative, ma che cambiano poco del quadro complessivo entro il quale Federal Reserve sarà chiamata presto a esprimersi sui tassi.

Con ogni probabilità il dato non cambierà la decisione già scritta per il mese di luglio, una decisione che sarà, a meno di sorprese che avrebbero del clamoroso, di lasciare i tassi invariati, salvo poi tagliare di almeno 25 punti base (0,25%) a settembre. L’indicatore Core è ritenuto uno strumento superiore da Federal Reserve per valutare l’effettivo andamento dell’inflazione in quanto non tiene conto né dei prezzi dell’energia né di quelli alimentari, notoriamente volatili e in grado di offrire più rumore che segnale per chi deve prendere delle importanti decisioni di politica macro e monetaria.

Inflazione ancora ferma prima del FOMC di luglio

Il FOMC di luglio, la riunione che per Federal Reserve e gli Stati Uniti decide i tassi di interesse e l’acquisto o vendita di titoli di stato da parte della banca centrale, non produrrà alcuna sorpresa. I dati PCE, che sono stati appena diffusi dagli enti statistici americani d’altronde non lasciano granché spazio di manovra. Siamo a +2,6%, vicini dunque all’obiettivo del 2%, ma non sufficientemente da poter spingere a tagli ai tassi di interesse già per l’incontro di luglio.

Con ogni probabilità ogni tipo di decisione di questo tipo verrà rimandata a settembre, quando si avrà non solo un quadro più preciso del percorso che ci accompagnerà verso il target del 2%, ma quando anche le condizioni economiche generali e del mercato del lavoro comanderanno a Jerome Powell e a tutti i membri di Federal Reserve una maggiore attenzione sugli effetti di una politica monetaria fatta di tassi molto elevati sull’economia.

Si rimane fermi, per un indicatore forse più importante della classica CPI, al 2,6%, mimando il dato del mese precedente e senza che ci siano stati miglioramenti di sorta. Miglioramenti che, seppur minimi, i mercati avevano comunque anticipato.

Oltre alla classica turbolenza a pochi minuti dal dato, anche il mercato del Forex non ha risposto granché alla sollecitazione. L’euro è tornato a 1,0865, cambio comunque che aveva lambito per buona parte della sessione asiatica e per parte di quella europea.

Si attende la reazione dei mercati azionari

Sarà ora da valutare la reazione dei mercati azionari, che vengono da un periodo relativamente difficile, complici trimestrali delle magnifiche sette che, per quelle già uscite, non promettono nulla di buono. Si teme che l’economia possa rallentare più del previsto, per quanto comunque i recenti dati sul PIL abbiano sconfessato il pessimismo delle ultime sedute.

Una situazione che rimane di lettura in verità assai difficile, con i dati del PCE di oggi che in realtà non cambiano granché il contesto macro entro il quale dovranno muoversi mercati e Federal Reserve.

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