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Dati USA: incertezza totale, ma i mercati rimbalzano
I mercati USA rimbalzano, cavalcando dati finanziari che gettano nell’incertezza più totale per quanto riguarda le future decisioni di Fed e anche l’andamento dell’economia USA. Dopo gli sconvolgenti, in positivo, dati arrivati dal PIL, oggi è stato il turno di rilievi sui prezzi, quelli di PCE, che hanno confermato un’inflazione persistente e che è lungi dall’avviarsi verso un percorso di riduzione lenta ma costante. Si riapre la discussione sulla possibilità che Federal Reserve decida, per i prossimi mesi, un ulteriore rialzo.
L’eventuale ritorno di manovre restrittive che passio dai tassi non preoccupa più di tanto però i mercati, che si godono un momento di relativa tranquillità, spinti non solo dal PIL sopra le aspettative, ma anche da trimestrali che non piangono miseria come preventivato. La lettura della situazione torna a farsi ingarbugliata e quanto sembrava certezza poco più di una settimana fa, sembra oggi essere il più improbabile degli eventi.
Dati USA incerti: i mercati ne approfittano per rimbalzare
Buona performance del NASDAQ Composite, che si gode trimestrali del settore tech in buona forma, nonostante da diversi dei sotto-comparti che lo compongono stiano partendo venti che piacciono a pochi. ASML aveva lanciato l’allarme, per quanto da un fronte europeo, di un possibile rallentamento di investimenti quantomeno nella produzione, ad esempio, di chip e dunque dell’acquisto dei macchinari e delle tecnologie necessarie, cosa che aveva fatto temere l’estensione a cascata di una crisi di settore. I dati trimestrali, a partire da quelli di Intel, sembrano però raccontare una storia diversa, o comunque descrivere per il futuro una storia ancora da scrivere.
Tutto riassunto, per quanto indirettamente, nell’andamento del PIL USA, così sostenuto da far dimenticare almeno per qualche ora del pericolo di recessione che tutti o quasi avevano paventato.
Rimane e rimarrà aperto anche in futuro il fronte della lotta all’inflazione: i dati che arrivano dal PCE non sono buoni e iniziano a far materializzare il peggior incubo per Jerome Powell, governatore di Federal Reserve: un’inflazione persistente e in grado di far registrare altri picchi.
Sul tavolo, per quanto non per la prossima riunione del 1^ novembre, rimangono dunque ulteriori rialzi, che la forza relativa dell’economia USA sembrerebbe essere in grado di sopportare senza grossi problemi.
Sconfessate tutte le letture: si gioca anche sulla geopolitica
Tutte le letture che hanno avuto grande circolazione nel corso della scorsa settimana non sembrano avere più alcun senso. Come abbiamo visto sopra sono in pochi, almeno in questa chiusura di settimana, coloro i quali sono disposti a discutere di una possibile recessione, così come sono in pochi a voler ripetere a microfoni aperti che tutto sommato la guerra all’inflazione è stata vinta. Parole ripetute da Paul Krugman, ex nobel all’economia, e che sono state oggetto di ilarità diffusa sia nel momento in cui furono pronunciate e a maggior ragione oggi.
PCE sì alto, ma in linea con le aspettative, senza grossi scossoni rispetto ai mesi precedenti e che in molti avrebbero preferito vedere su livelli più bassi. Poco male però, perché c’è altro per cui festeggiare.
La questione delle aspettative
Ci sono poi altri dati dei quali si è parlato poco: dal Michigan sono arrivate le aspettative del pubblico sull’inflazione: sono più alte di quanto ci si attendesse, puntano al 4,2% sull’anno e al 3,0% su 5 anni, cifre alte e che raccontano di una certa disaffezione del pubblico per le narrative impostate dalle banche centrali.
Ci sarà da lavorare molto – e non solo per battere l’inflazione. Ci sarà da fare tanto per recuperare un rapporto con i cittadini che si è incrinato dopo le enormi cantonate prese dalle banche centrali (praticamente tutte) sull’entità e la durata dell’inflazione.
Che questo però porti a un rialzo già in novembre, è fuori discussione. Almeno per i mercati.