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Euro recupera sul dollaro: è a 1,10. In Argentina primi “problemi”
Per la prima volta da agosto l’euro è tornato sopra 1,10 nei confronti del dollaro USA, soglia tanto tecnica quanto simbolica che racconta di un inversione di trend per USD anticipata da molti, sulla cui durata però dovranno essere effettuate altre considerazioni. La valuta di Francoforte cavalca la convinzione del mercato che a Washington si sia ormai alla fine del ciclo di politiche monetarie restrittive, questione che i mercati hanno iniziato a prezzare sì da qualche settimana, ma comunque in ritardo rispetto a quanto avevano fatto per le intenzioni di BCE.
C’è tanto che si muove a livello politico e dunque di conseguenza sui mercati, con l’Euro che potrebbe chiudere l’anno colmando completamente il gap che aveva accumulato nel corso dell’ultimo anno solare, complici situazioni sia di economia politica, sia di geopolitica e di conflitto, come analizzeremo in questo approfondimento. Sul fatto che ci si ancora spazio per una corsa dell’euro però, ci saranno altri fattori di cui tenere conto.
La rimonta dell’euro: torna in area 1,10 sfruttando la debolezza del dollaro, ma non solo
In realtà c’è tanto che sta avvenendo dietro le quinte, o meglio, che si suppone stia avvenendo ai piani alti delle banche centrali. I mercati sono ora più che persuasi che Washington procederà con tagli importanti ai tassi per il 2024, da un lato perché l’inflazione sarà pressoché rientrata, dall’altro perché una riduzione dell’output economico renderà necessario un aiutino in termini di costi contenuti per quanto riguarda il mercato dei capitali.
Anche le principali banche d’affari hanno segnalato la convinzione che ci saranno tagli importanti in termini di tassi a Washington, a suggellare quanto i mercati in realtà stanno prezzando da tempo.
A muovere la coppia EUR/USD e in verità il dollaro contro quasi tutte le principali valute a livello globale, è il fatto che per le altre banche centrali tali tagli siano stati già prezzati da tempo e che dunque i mercati oggi ritengono che il differenziale tra tassi tra Washington e le altre economie finirà per azzerarsi, o comunque per ridursi in modo concreto.
Non è però, aggiungiamo, l’unico motivo che ha portato DXY ad allontanarsi dal picco raggiunto in ottobre, quasi a quota 110. Bisogna infatti tenere conto dell’attenuarsi delle preoccupazioni per quanto riguarda una eventuale escalation del conflitto attualmente limitato a Israele e Hamas. Una situazione che aveva contribuito ad un’ulteriore leg up da parte del dollaro, che in situazioni di grande instabilità politica torna a essere la valuta ritenuta più sicura e affidabile.
Intanto in Argentina si continua a discutere della dollarizzazione
Mentre sembra che il progetto di dollarizzare l’economia sia diventato di medio periodo, sulle principali testate finanziarie si continua a discutere della possibilità che tale progetto si compia. Tyler Cowen, sulle colonne di Bloomberg, ha affrontato la questione ricordando a tutti che nonostante il dollaro sia già ubiquo a Buenos Aires, il passaggio non sarà certamente facile. E anzi, aggiunge, sarà piuttosto difficile e confuso.
La via più semplice, afferma l’opinionista, sarebbe quello di continuare a svalutare fortemente il peso, cosa che porterebbe la popolazione che ancora non fa affidamento sul dollaro a effettuare il passaggio anche per conto proprio. C’è un problema però: chi ha ancora depositi in peso finirebbe per perdere tutto quello che hanno. Sarebbe una misura correttamente indicata come eccessivamente punitiva e con poco supporto da parte del pubblico e dei partiti ai quali comunque Milei dovrà rivolgersi.
Il secondo modo sarebbe quello di confiscare le detenzioni in dollari del ceto più ricco, utilizzandolo per organizzare una sorta di peg con il peso. Misura anche questa però che potrebbe rivelarsi essere più che impopolare.
C’è una terza via, che è quella che è stata seguita dall’Ecuador nel 2000: aumentare le tasse, tagliare le spese e stabilizzare entrate e uscite dalle casse del governo centrale. Si tratterebbe però di un piano che, almeno dalla parte dell’aumento delle tasse, sarebbe certamente inviso a Milei e a chi lo ha votato.
Tutto questo mentre sembra, almeno per il momento, difficile che IMF finanzi una mossa del genere, essendo storicamente restia alla dollarizzazione.