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Europa risponde picche alla Cina. Indagine sarà super partes

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Lo scontro politico e economico tra Unione Europea e Cina prosegue senza grosse novità. La visita di Valdis Dombrovskis – che per l’Unione è il commissario al commercio – non sembra aver portato alcuna distensione tra le parti. Una situazione che al momento sembrerebbe preoccupare più i mercati asiatici che quelli europei – per quanto la situazione sia articolata e complessa – e meriti maggiore attenzione anche per gli eventuali riflessi di medio e lungo periodo.

Le borse asiatiche continuano a essere in apnea – e hanno aperto con forti ribassi – e su quella falsa riga continuano – nonostante Wall Street abbia fatto registrare qualche spunto ottimista nella sessione di lunedì 25 settembre. Segno che il decoupling tra i mercati è ormai avvenuto e che i problemi di Pechino non sono poi gli stessi di Washington. Ci sono dubbi però, ancora crescenti, sul fatto che i problemi di Bruxelles siano più allineati ai secondi che ai primi.

Guerra commerciale tra UE e Cina: atto secondo

Valdis Dombrovskis, spedito in Cina a discutere delle recenti relazioni tra UE e Repubblica Popolare (sul fronte commerciale) non avrebbe mai potuto affermare altro in pubblico: l’indagine dell’UE a carico dei produttori EV cinesi non avrà un esito predeterminato e sarà basata sui fatti. Non si tratta di una risposta soltanto alla Cina, che pur ha protestato in modo veemente riguardo la questione. Si è trattato anche di una risposta al fronte interno europeo – certamente titubante sull’opportunità di fronteggiare la Cina e di aumentare le possibilità di un lungo periodo di assenza di crescita nel continente. Più che guardare a quanto sta avvenendo però a Pechino, sarebbe il caso di puntare gli occhi verso Bruxelles – e più specificatamente all’asse Parigi-Berlino, almeno per il momento impegnato nell’impersonificazione del poliziotto cattivo e del poliziotto buono. Bloomberg – con una velina pubblicata di recente – imputa al presidente francese Macron la volontà di proseguire verso il binario dello scontro, raccontando però una storia che non convince quasi nessuno. Anche i tedeschi infatti – tramite ministeri e ministri e quindi come linea ufficiale del governo – parlano da tempo della necessità di affrancarsi dalla Cina – o quantomeno di ridurre i rischi dovuti alla vicinanza con la Repubblica Popolare.

Messaggio che in realtà è stato recepito almeno in termini di aziende private: l’11% è già fuori dalla Cina e un 22% aggiuntivo starebbe pensando di farlo. Una mossa che se letta oggi confermerebbe la teoria di una nuova globalizzazione parziale, a compartimenti quasi stagni, all’interno della quale l’Europa vorrebbe giocare l’ambizioso ruolo di arbitro.

EV potrebbero non essere unico motivo di attrito

Il piano di Macron non convince tutti

I giornali attribuiscono da settimane lo sviluppo del piano di sganciamento dell’economia europea da quella cinese a Emmanuel Macron, che però ha già incontrato non poche difficoltà a convincere non solo all’estero ma anche in patria. Bloomberg, che è il polso di una parte rilevante del sentiment europeo ai piani più alti, parla di un presidente francese che starebbe spingendo l’Europa in una guerra commerciale da 900 miliardi di dollari, analisi certamente non lusinghiera di quanto sta avvenendo – e per sostenere la pericolosità di certe decisioni e di certe capacità di indirizzo di Parigi verso il resto d’Europa ha raccolto il parere anche di Michala Marcussen, che è Capo Economista per Société énérale – così come quelle di altri specialisti.

La paura, per ora, è che l’indagine riguardo il comparto EV cinese sia un primo passo che l’Europa già non può permettersi di fare. Un primo passo che risulterà quasi certamente in ritorsioni legali e politiche colpiranno, in prima battuta, i marchi tedeschi dell’auto che in Cina hanno trovato una sorta di metaforica seconda America. Che sia su questo che si divideranno gli atteggiamenti, i pensieri e le strade di due partner storici come Germania e Francia?

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