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Il mondo economico è cambiato per sempre. Parla il Financial Times
In un lungo editoriale per Financial Times, John Plender – giornalista storico della popolare pubblicazione – ha lanciato l’allarme: si soffre di short-termismo, per coniare un neologismo. Ovvero ad ogni livello del mercato, ad ogni livello della policy e della politica si soffre di una tendenza a concentrarsi eccessivamente su quanto avverrà a stretto giro. Una questione che sarebbe conseguenza della politica monetaria data driven, ovvero di politiche monetarie che navigano a vista e che decidono dato dopo dato, quello che poi è stato il mantra della Federal Reserve guidata da Jerome Powell.
Mentre si potrebbe ragionevolmente chiedersi come si sarebbe dovuto operare in un contesto assai nuovo per le banche centrali, con inflazione molto alta, supply chain in rotta e mercato del lavoro che non ha reagito al rialzo dei tassi o quasi, c’è comunque molto di interessante in un editoriale che è una buona definizione degli ultimi mesi che abbiamo affrontato sui mercati.
Un mondo che potrebbe cambiare per sempre
Le conclusioni di Plender sono in verità assai interessanti, perché in controtendenza rispetto alla convinzione di base dei mercati, ritiene che ci siano dei grossi cambiamenti in arrivo e che questi andranno a modificare quelli che per i mercati sono ormai degli assunti, principalmente il ritorno a delle politiche monetarie lassiste e a capitale pressoché gratuito. È certamente vero, dice, che ci saranno dei tagli ai tassi di interesse nel 2024. Non si potrebbe affermare il contrario, dato che anche le proiezioni di Fed li indicano in modo cristallino.
Quello che i mercati e dunque le economie non avrebbero però considerato è che – qui qualche spunto dai verbali del FOMC – da un lato si continuerà con il quantitative tightening, dall’altro difficilmente si tornerà a tassi prossimi allo zero. E così verrebbe meno quella che è stata la condizione naturale per i mercati negli scorsi anni. Una condizione che è presa come punto di arrivo scontato una volta che si sarà riusciti a navigare i burrascosi mari dell’inflazione.
Ci sono poi tante altre condizioni poi che dovranno essere prese in considerazione per valutare lo scenario non dei prossimi mesi, ma forse dei prossimi anni, cercando appunto di lasciarsi alle spalle lo short-termismo che per quanto necessario non aiuta a valutare il quadro nel suo complesso.
Cosa considerare
Tanti nuovi fattori: il lavoro ha ottenuto un potere negoziale assai maggiore almeno rispetto a quello che aveva prima della crisi COVID a livello globale. E questo eserciterà delle pressioni sui costi che possiamo considerare come di medio e lungo periodo. Ci sono poi altri problemi per l’economia globale, a partire dalla difficoltà di tornare a livelli di apertura dei mercati pre-pandemia.
Le diverse crisi di carattere geopolitico impediranno un ritorno ad una globalizzazione vera e senza confini, per quanto questa definizione sia forse un pizzico esagerata. Così come sarà difficile vedere un ritorno esagerato dell’appetito per il rischio, che in genere viene imbeccato da periodi di tassi molto bassi.
Non ci sarà il ritorno alla strana normalità alla quale ci eravamo abituati, afferma John Plender. Considerazioni che in realtà più di qualcuno sta condividendo e che però in pochi mettono nero su bianco.
Che sia però necessariamente un male vedere un mondo del lavoro che recupera potere negoziale e un capitale meno fluido a livello globale non è assolutamente scontato. Così come non è chiaro se in realtà sia uno degli obiettivi politici tanto a Washington quanto a Bruxelles. La situazione, aggiungiamo noi, potrebbe essere molto più preoccupante per quei paesi le cui economie emergenti hanno più bisogno di costanti afflussi di capitali dall’estero.