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India: riserve indicano intervento a tutela della Rupia. Giappone sfida gli speculatori sullo yen
La parola d’ordine sui mercati del forex e in particolare per quelle coppie legate ai paesi emergenti è resistenza. Secondo gli ultimi dati che arrivano dall’India, le riserve di valuta estera sono state in forte calo per aprile, segnale del fatto che gli sforzi per sostenere il valore della rupia hanno avuto dei costi considerevoli. Dopo il record registrato a inizio aprile e che fissava in 649 miliardi le riserve detenute dalla Banca Centrale dell’India, a 4 settimane di distanza nei forzieri della nuova potenza che piace a tutti sarebbero rimasti soltanto 637,9 miliardi.
È l’ennesimo segnale di un andamento dei mercati che da un lato vede un dollaro ancora molto forte e dall’altro lo sforzo, importante ma per ora quasi inutile, di diverse banche centrali a tutela della propria divisa nazionale. È la stessa storia che – pur in assenza di conferme ufficiali – si è verificata a Tokyo. È la stessa storia che si è verificata e continua a verificarsi anche a Pechino e in paesi di dimensioni meno rilevanti. È questo il quadro, che in realtà avevamo pienamente anticipato su queste pagine, che muove il mondo del Forex e non solo.
India: la difesa della rupia costa parecchio
La difesa della rupia ha dei costi. E questi costi sono fotografati plasticamente dallo stato delle riserve di Mumbai. Nel giro di quattro settimane le riserve di valuta straniera hanno perso circa 11 miliardi di dollari, dopo aver raggiunto il picco di sempre proprio ad inizio aprile. Le casse rimangono di consistenza importante e lasciano aperta la porta a nuovi interventi, per quanto tuttavia si dovrà fare i conti con una situazione di mercato – imposta dai tassi ancora alti a Washington – di durata incerta.
È il prezzo in realtà che stanno pagando tante altre banche centrali, anche di minore importanza. La forza del dollaro, che arriva dalla possibilità e dalla necessità degli Stati Uniti di rimanere in territorio molto restrittivo in termini di tassi, sta esercitando pressioni ribassiste su tutte le valute. E c’è anche chi, con la revisione dei piani di Washington, ha dovuto necessariamente rivedere i suoi, come diversi paesi del sud-est asiatico.
Per quanto dunque negli ultimi giorni abbiano tenuto banco le questioni relative allo yen, c’è tanto altro che si sta muovendo sul mercato del forex e che continuerà a guidare un mercato che nessuno aveva previsto lungo questa traiettoria.
Il braccio di ferro tra Tokyo e speculatori continua
Chi si aspettava un chiarimento da parte delle massime autoritarie del Giappone continuerà a rimanere frustrato nelle sue aspettative. Il ministro delle finanze giapponese, Shunichi Suzuki, ha rifiutato ogni tipo di commento sull’eventuale intervento da parte delle autorità monetarie del paese a tutela della divisa nazionale. Questo per quanto i numeri lascino effettivamente poco spazio all’immaginazione. L’atteggiamento di Suzuki è parte di un più ampio braccio di ferro con chi a Tokyo è ritenuto essere il principale responsabile di quanto si è verificato su USD/JPY, ovvero non meglio precisati speculatori che, sempre secondo Tokyo, avrebbero esacerbato una situazione che i fondamentali non supporterebbero pienamente.
C’è chi nutre più di qualche dubbio su questa lettura, così come c’è chi nutre più di qualche dubbio sulla possibilità di questi interventi di sostenere il valore dello yen sul medio e lungo periodo. Cosa che invece a Tokyo è stata intesa diversamente: gli interventi non programmati, a mercati aperti e senza neanche confermare che siano avvenuto opereranno come monito a chi shorta lo yen, ricordandogli che in qualunque momento le posizioni potranno essere polverizzate da un intervento di una Bank of Japan dalle tasche molto profonde.