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Membri OPEC rafforzano la coesione dopo l’addio dell’Angola
Dopo l’addio dell’Angola all’OPEC, si è parlato molto della possibilità che altre nazioni seguissero lo stesso esempio. In particolare le altre nazioni africane come Nigeria e Repubblica del Congo, che nei mesi scorsi hanno avuto da ridire sulle quote assegnate dall’organizzazione ai suoi membri. I paesi africani vorrebbero poter aumentare la propria produzione per finanziare il loro sviluppo economico, ma Russia e Arabia Saudita sono state molto ferme nella loro decisione di mantenere dei bassi livelli di output per mantenere i prezzi sul livello più alto possibile. Oggi, però, è arrivata la conferma che Iraq, Iran e Congo non hanno intenzione di lasciare il cartello OPEC.
Il primo a parlare è stato il Ministro degli Idrocarburi del Congo, Bruno Jean-Richard Itoua, che ha supportato la partecipazione della nazione all’organizzazione in un discorso pubblico. Poche ore dopo è arrivato anche il tweet di Heineken Lokpobiri, Ministro del Petrolio della Nigeria, sullo stesso argomento: il ministro ha sottolineato l’importanza dell’OPEC per risolvere problemi sia nazionali che internazionali, stabilizzando il mercato del petrolio intorno al mondo. Assem Jihad, Ministro del Petrolio dell’Iran, ha poi dichiarato in un discorso pubblico che la partecipazione della propria nazione all’OPEC assicura al Tesoro dei flussi di ricavi importanti e che la coesione tra i produttori di petrolio è importante per assicurare il miglior equilibrio possibile tra domanda e offerta.
Una questione ancora aperta tra Africa e OPEC
I fatti avvenuti in Angola sono una dimostrazione interessante di come la collaborazione tra gli Stati dell’OPEC stia diventando più difficile: Russia e Arabia Saudita sono sempre più influenti, mentre alle nazioni africane è lasciato uno spazio via via più piccolo sia per la produzione che nei tavoli di discussione. Uno dei principali compiti dell’OPEC è quello di assegnare ai paesi membri delle quote di produzione, dando a ogni paese un limite sulla quantità di barili che può immettere sul mercato. In questo modo, i principali paesi esportatori di petrolio si assicurano di controllare l’offerta mondiale e di conseguenza anche i prezzi del barile.
Le tensioni tra OPEC e Angola erano iniziate già a giugno, quando l’Arabia Saudita ha spinto per ridurre la quota di barili assegnata all’Angola da 1.46 milioni al giorno a 1.11 milioni. Questo perché, come altri membri africani dell’OPEC, l’Angola non riesce a produrre abbastanza petrolio da raggiungere i limiti imposti dall’organizzazione. A causa di corruzione, cattiva gestione e instabilità, molte nazioni africane non hanno infrastrutture sufficientemente sviluppate per poter raggiungere i livelli prescritti. Il governo dell’Angola ha però ribattuto che tagliare la quota di produzione avrebbe impedito alla nazione di accedere ai fondi di investitori esteri, creando un diverbio che è poi culminato nella totale uscita dall’organizzazione.
Intanto l’Angola si stringe alla Cina
Prima di lasciare il cartello OPEC, il Ministro degli Affari Esteri angolese è volato a Pechino per un viaggio istituzionale. Alla fine del viaggio è stato sottoscritto un memorandum per rafforzare la collaborazione tra Cina e Angola sul profilo economico. La Cina intende investire sull’Angola, facendo in modo che la nazione produca più petrolio e possa esportarlo proprio sul mercato cinese. Ma si è parlato anche di rafforzare la cooperazione su altri fronti come l’energia fotovoltaica, l’industria del caffè e quella delle batterie: Pechino ha subito colto l’occasione per estendere la propria influenza verso un nuovo possibile grande partner commerciale in Africa.
Le spedizioni di petrolio tra l’Angola e la Cina sono calate del 30% tra il 2020 e il 2022, e ora Pechino vuole tornare a dire la sua. Mentre l’OPEC si prepara per l’entrata del Brasile, il suo membro uscente potrebbe iniziare ad accelerare la produzione grazie agli investimenti cinesi. Attualmente l’Angola produce poco più di un milione di barili al giorno, ma il suo picco è stato di 1.9 milioni di barili al giorno nel 2010: il potenziale c’è, e con i dovuti investimenti dall’estero potrebbe tornare a essere sfruttato a dovere.