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Moody’s: preoccupazione per i dipendenti dopo downgrading Cina
Ancora segnali della scarsa fiducia, che riguarda spesso anche la loro stessa incolumità, delle società straniere che operano in Cina verso gli atteggiamenti e le possibili reazioni di Pechino, in particolare quando il Partito viene contrariato. Secondo quanto è stato riportato da Financial Times, Moody’s avrebbe invitato il proprio personale con base in Cina a lavorare da casa nel giorno in cui è stato comunicato il downgrade dell’outlook della Repubblica Popolare. Una scelta che forse qualcuno riterrà essere un’esagerazione ma che al tempo stesso è segnale inequivocabile di quanto sta avvenendo dalle parti di Pechino.
Il Partito – secondo tanti su indicazione e sotto il controllo diretto di Xi Jinping – sta secondo diversi analisti ricorrendo ad un utilizzo politico della giustizia, utilizzo politico che ha già colpito diversi dirigenti delle società controllate statali e che potrebbe presto colpire anche dirigenti di società straniere meno allineate ai desiderata della Repubblica Popolare.
I timori di Moody’s per i suoi dipendenti
Secondo le testimonianze raccolte da Financial Times, Moody’s non avrebbe offerto alcuna motivazione a corredo dell’invito per tutti a rimanere a casa. Tuttavia, dice chi è stato ascoltato da FT, dice che tutti o quasi avevano presto capito di cosa si trattasse. Al tempo stesso, sempre secondo quanto è stato riportato dal giornale, ai dipendenti di stanza a Hong Kong sarebbe stato consigliato di ridurre al minimo i viaggi verso la Cina, almeno fino alla comunicazione della decisione dell’importante società di rating.
Non che la polizia cinese non possa raggiungere le abitazioni di ciascuno degli impiegati di Moody’s in Cina. L’idea di fondo era evitare che potessero essere tutti concentrati in un solo luogo, nel caso in cui le autorità cinesi avessero deciso di effettuare perquisizioni, interrogatori e eventualmente arresti, eventualità però che anche per Moody’s è apparsa come relativamente remota.
Relativamente, perché sono in realtà diverse le società di consulenza straniere e in particolare statunitensi che sono state oggetto di perquisizioni – e di arresti ai danni dei propri impiegati in loco – segno di un peggioramento importante sia dei rapporti tra Cina e Stati Uniti, sia del tentativo di controllo politico su persone e mercati nella Repubblica Popolare. Tra le società più gettonate quelle che si occupano di audit e che appunto hanno il potere di muovere il mercato con le loro analisi.
La decisione ha scatenato importanti polemiche a Pechino
La decisione di Moody’s di portare l’outlook della Cina da stabile a negativo non poteva che innescare delle reazioni negative importanti da parte dei massimi quadri politici, nonché dei media che sono sotto lo stretto controllo statale. Si è parlato di perdita di credibilità per Moody’s – una reazione in realtà molto comune anche a ovest – e del fatto che quanto rilevato dalla decisione sia stato in realtà parecchio ingigantito.
Difficile, almeno per il momento, dare ragione alle autorità cinesi: è più che evidente che la crescita è in rallentamento, così come sono evidenti altri problemi che attanagliano il Partito, tra debito degli enti locali e una difficoltà sui mercati anche per lo yuan.
Problemi che non sono certamente responsabilità di Moody’s e che l’agenzia di rating si è limitata a registrare. Cosa che fa per ciascun paese al mondo ricevendo sempre o quasi le stesse reazioni. Vale però la pena di ricordare che difficilmente l’agenzia ritiene di dover invitare i propri dipendenti a rimanere a casa prima della diffusione di una propria decisione. Segno, questo, che le cose in Cina forse non stanno andando per il verso giusto e che l’ambiente si sta facendo sempre meno accogliente per le grandi società straniere. Non solo tra quelle più strettamente finanziarie, per quanto siano quelle maggiormente colpite da certe operazioni.