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Occhio, il 2023 potrebbe essere un nuovo 2007. Parla l’economista
E se stessimo commettendo gli stessi identici errori del 2007? Il riferimento è all’ultima grande crisi che ha colpito la finanza globale e che appare, almeno da certi angoli, molto simile al momento che stiamo vivendo in queste settimane. A fare il parallelo è David Rosenberg, che gode di un certo status dove conta e che sta lanciando avvisi agli investitori: troppa compiacenza, che ricorda troppo da vicino quanto abbiamo avuto nel 2007.
Wall Street è relativamente in buona forma, anticipando un soft landing, ovvero un atterraggio senza che ci siano recessioni, per brevi o lunghe che siano. Nel suo memo Redux, l’economista traccia un parallelo che gelerà il sangue dei molti che – come spesso fanno gli attori di mercato grandi e piccoli – peccano di eccessivo ottimismo. Ci sarà una recessione, dice Rosenberg, e punirà soprattutto chi non si sta muovendo con le dovute precauzioni.
Lo stesso sentiment del 2007
Il 2007 non è un anno che suscita ricordi importanti negli storici dei mercati e in chi più banalmente investe. Invece è proprio l’anno al quale vuole guardare, con il suo memo, David Rosenberg. Il 2007 è stato infatti l’anno che ha visto una sorta di soft landing, una transizione che in realtà non ci stava allontanando dalla crisi. Ci stava semplicemente avvicinando alla stessa, ma a passi relativamente lenti, salvo poi finire a valanga come tutte le crisi sistemiche che si rispettano.
Tra i fattori che secondo l’economista sarebbero la copia esatta di quanto si verificò nel 2007 troviamo una sorta di bolla immobiliare, l’aumento del credito di consumo e delle relative delinquencies, ovvero chi non restituisce quanto ottenuto in prestito, nonostante non ci siano segnali di crisi per il mercato del lavoro.
Segnali importanti, per l’economista, che dovrebbero invitare a una maggiore prudenza tutti coloro i quali, gestori di grandi fondi compresi, sono eccessivamente ottimisti sulla situazione attuale.
Questo senza tenere conto, aggiungiamo noi, della complicata situazione cinese, così come dell’altrettanto complicata situazione che si sta sviluppando in Medio Oriente. Avrà ragione David Rosenberg? Ed è forse il momento di tornare a composizioni di portafoglio più miti o – addirittura – pensare di piazzare qualche short?
Il caso degli incidenti ritenuti isolati
C’è un altro parallelo, che riguarda sempre il 2007. Proprio in quell’anno, afferma Rosenberg, furono considerati come casi isolati i fallimenti di New Century Financial e di Bear Sterns, che invece poi si rivelarono essere il proverbiale canarino nella miniera. Allo stesso modo sono stati considerati i fallimenti di Silicon Valley Bank ad inizio primavera, per un altro tragico parallelo che potrebbe effettivamente far assomigliare il 2023 al 2007 della precedente crisi.
Molti dei nostri lettori quella crisi non l’avranno vissuta – e per quanto siano sempre da prendere con le pinze i pattern individuati dagli analisti – qualche parallelismo si può effettivamente tracciare.
Quali asset considerare come rifugio?
In quella crisi – un po’ come in tutte le crisi – ci furono buone performance degli asset che sono stati considerati storicamente sicuri. Parliamo del debito USA, dell’oro, dello yen, del franco e più in generale del cash. Così come hanno avuto delle performance relativamente ok alcuni fondi gestiti, con il problema aggiuntivo che in realtà è molto difficile individuare quelli giusti prima che la crisi si presenti, ed è molto facile farlo con il senno di poi.
Qualcuno ha fatto anche – correttamente – notare la correlazione inversa tra Bitcoin e gli istituti bancari che per primi hanno dato segni di cedimento. Per ora però considerare la criptovaluta per eccellenza un safe haven è un esercizio da indovini più che da analisti politici, per quanto in diversi abbiano buone ragioni per considerarlo in questo senso.