News

Paesi ricchi accusati da isole all’ONU: “Tante chiacchiere”

Pubblicato

il

La riunione generale delle Nazioni Unite che si è aperta venerdì, dove si è subito parlato di crisi alimentare globale, è proseguita continuando a mettere al centro le necessità delle nazioni emergenti e dei paesi meno ricchi del globo. Ci si è concentrati particolarmente sulla necessità di maggiori azioni, da parte delle nazioni sviluppate, per tutelare i paesi insulari: le tante piccole nazioni stabilite sulle isole del mondo, dai Caraibi all’oceano Indiano, stanno rischiando di scomparire. Con il riscaldamento globale che avanza, il livello dei mari diventa sempre più alto e mette in dubbio la sopravvivenza di interi paesi.

Uno dei primi portavoce del problema a prendere la parola è stato Philip Pierre, Primo Ministro della nazione di Santa Lucia. Ha accusato i paesi sviluppati di recarsi in sedi internazionali, come l’ONU, soltanto per portare chiacchiere sul loro impegno a fronte di poche azioni concrete. Il premier della nazione caraibica ha definito l’Assemblea Generale dell’ONU come una messa in scena, che servirebbe a promuovere una finta idea di fratellanza tra le nazioni del globo. Come tanti altri leader di nazioni nella stessa condizione, Philip Pierre ha chiesto alle grandi economie globali di prendersi le proprie responsabilità nella lotta al cambiamento climatico.

L’obiettivo ufficiale mondiale è di non aumentare di oltre 1.5 °C la temperatura dei mari rispetto ai livelli pre-industriali

Non si fa abbastanza

Malgrado il 2023 sia stato segnato da un crescente aumento delle risorse con cui i paesi emergenti finanziano la lotta al cambiamento climatico nelle nazioni più povere, con il Summit di Parigi che ha segnato dei netti passi avanti, l’accusa dei capi di Stato di molti paesi è sempre la stessa: non si fa abbastanza. Viene percepita una mancanza di urgenza da parte dei governi occidentali, spesso più impegnati a decarbonizzare la propria economia o a sbrogliare i tanti nodi geopolitici che si sono formati nel corso degli ultimi anni. Ma ogni anno le nazioni stabilite sulle isole del mondo vedono eroso sempre di più il loro territorio, mentre aumentano le inondazioni e i rischi climatici.

Un’altra voce importante intervenuta all’Assemblea Generale è quella di Mia Mottley, Primo Ministro delle Barbados. Ha apertamente additato le nazioni più ricche, ma senza fare nomi. Lo ha fatto dicendo che chi può avere più impatto sulla sopravvivenza di isole e arcipelaghi è così sicuro di sopravvivere all’aumento del livello dei mari da non essere interessato ad agire rapidamente in aiuto di chi corre i rischi più grandi. Intervento simile da parte di Wesley Simina, presidente della Micronesia, secondo la quale gli sforzi e le risorse messe in campo dalle nazioni più ricche sarebbero ben lontani dal riuscire a ottenere i risultati promessi negli scorsi anni.

Per molte nazioni insulari, pochi centimetri di innalzamento dei mari sarebbero già sufficienti per una catastrofe

Gli obiettivi internazionali di contrasto alla situazione

Nel 2015 è stato raggiunto un accordo storico a Parigi, che fissa un obiettivo ben chiaro: quello di limitare l’aumento delle temperature globali a 1.5 °C rispetto all’epoca pre-industriale. La comunità scientifica ha rapidamente svolto i calcoli, indicando che per raggiungere questo obiettivo sarebbero state necessarie forti misure d’intervento. Entro il 2030, il mondo avrebbe dovuto dimezzare le emissioni; entro il 2050, bisognerà raggiungere il net zero. Tantissime nazioni Occidentali, tra cui anche l’Unione Europea e tutti i suoi membri, si sono impegnati per raggiungere questi importanti obiettivi di lungo termine. Spesso, però, si torna a parlare di come queste nazioni siano in ritardo.

Questa è stata anche la tematica centrale dell’intervento del presidente dello stato delle Isole Marshall, David Kabua, all’Assemblea Generale. Ha chiesto alle nazioni del COP 28, che si riuniranno nuovamente a dicembre, di riconoscere che stanno fallendo nel loro tentativo di raggiungere il net zero. Joe Biden ha deciso di convocare alla Casa Bianca i leader delle nazioni del Pacifico, con la riunione attesa per lunedì prossimo. Gli Stati Uniti vorrebbero muoversi in aiuto di queste nazioni, sia per l’importanza sociale del tema che per vincere la guerra dell’influenza politica nel Pacifico con la Cina.

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 0 Media: 0]

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Trending

Exit mobile version