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Promesse false sul clima: NY fa causa al colosso della carne

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La procuratrice generale dello Stato di New York, Letitia James, sta diventando una delle più importanti figure nella lotta all’inquinamento prodotto dai grandi colossi industriali. Dopo la sua celebre causa contro Pepsi, accusata di aver inquinato il fiume più importante dello Stato con tonnellate di plastica monouso, ora nel mirino della procuratrice c’è l’industria della carne. Più nello specifico c’è JBS, società brasiliana quotata anche negli Stati Uniti, che da alcuni anni vanta il titolo di maggior produttore di carne al mondo. JBS è al centro di diversi scandali, tra cui anche un recente report sulla deforestazione che la vede accusata di aver supportato la deforestazione di grandi aree boschive acquistando capi di bestiame coltivati su terreni abusivi.

La causa tra New York e JBS riguarda alcuni claim pubblicitari che il produttore di carne starebbe utilizzando per promuoversi di fronte ai consumatori americani. Uno in particolare è quello secondo cui la società starebbe puntando ad arrivare al net zero, cioè al totale equilibrio climatico, entro il 2040: lo stesso anno in cui puntano ad arrivarci anche Amazon e molte delle altre imprese più grandi al mondo. Secondo Letitia James, però, la società non avrebbe “alcuna opzione possibile” per raggiungere questo obiettivo e starebbe in questo modo influenzando i consumatori con delle promesse insostenibili. Si tratta di un caso molto interessante, perché non riguarda le azioni commesse da una società ma dei claim legati al futuro.

Se New York vincesse la causa, molto probabilmente sarà replicata anche da altri Stati

Claim insostenibili: NY non ci sta

New York ritiene che JBS non abbia alcun modo credibile per arrivare al 2040 con un bilancio climatico neutrale. Queste promesse sarebbero basate sul fatto che la società non tiene conto in maniera corretta di tutte le emissioni causate lungo la filiera, inclusa la deforestazione e l’inquinamento prodotto dai capi di bestiame. Teoricamente JBS si limita a comprare e processare la carne, non ad allevarla. Tuttavia, affinché una società possa dichiarare di non avere alcun impatto climatico, deve essere un’affermazione valida per tutta la supply chain e non soltanto per le attività realizzate dall’azienda stessa. Come è facile immaginare, il business stesso di JBS sarebbe pressoché impossibile da rendere totalmente neutrale dal punto di vista climatico.

Inoltre l’accusa ritiene che JBS stia effettivamente traendo profitto da queste promesse. I consumatori, soprattutto in luoghi molto attenti al clima come lo Stato di New York, sono disposti a spendere di più per i prodotti che hanno un occhio di riguardo per l’ambiente. Lo Stato chiede che JBS paghi 5.000$ di multa, ma soprattutto che restituisca i profitti generati in maniera illegittima con le sue promesse sul clima. La cosa molto difficile da fare, nel caso in cui questa richiesta venga accolta, sarà stabilire effettivamente quanto abbia beneficiato il business di JBS da questi claim sul clima.

L’industria dell’allevamento bovino è difficilmente compatibile con il target del net-zero

JBS nega tutto

La società, dal canto suo, dice di trovarsi in disaccordo con la causa intentata da Letitia James e ha sottolineato che continuerà a lavorare con gli allevatori per garantire un futuro migliore al pianeta. La società, che non ha ancora riportato i suoi dati legati al Q4 2023, ha realizzato ricavi per $53.5 miliardi nei primi 9 mesi dello scorso anno: si tratta di una delle aziende più grandi al mondo, anche se non è un nome che in Europa si sente spesso. Negli Stati Uniti è invece una delle società più note dai consumatori di ogni angolo della nazione, non soltanto per la sua carne bovina: da diversi anni, JBS è la proprietaria di Pilgrim’s Pride, un marchio di carne di pollo che da decenni si trova sugli scaffali di tutti i grandi supermercati americani.

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