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Scontro tra governo e banca centrale in Brasile: bond decennali al 12% e Wall Street sta comprando
In Brasile si sta consumando una battaglia politica tra il governo di Luiz Ignacio Lula da Silva e la banca centrale guidata da Roberto Campos Neto. Campos Neto è stato eletto per il suo ruolo durante il governo di Bolsonaro e ha sempre favorito una politica di tassi d’interesse elevati, con l’obiettivo di non fare svalutare il real nel mercato Forex e per mantenere a bada l’inflazione; Lula invece vorrebbe che i tassi cominciassero a scendere per poter dare uno stimolo economico al paese e per permettere a più persone di stipulare mutui per comprare la prima casa. Le due istituzioni si sono scambiate commenti di accusa durante tutta la legislatura, ma ora stanno arrivando ai ferri corti e il mercato obbligazionario ne subisce gli effetti: i bond decennali brasiliani hanno visto i rendimenti aumentare di 54 punti base in un singolo mese, mentre il cambio USD/BRL ha superato la soglia psicologica di 5.50.
La diatriba in corso potrebbe determinare un cambio di direzione drastico per il paese, dal momento che alla fine dell’anno l’attuale presidente della banca centrale brasiliana verrà sostituito con un candidato eletto da Lula. Questo potrebbe portare alla selezione di un candidato molto diverso, interessato ad abbassare i tassi d’interesse e a lasciar svalutare il real. I mercati stanno già ponderando questa possibilità in modo molto concreto, con i bond decennali brasiliani che in questo momento rendono il 12,54%. I tassi d’interesse centrali, nel frattempo, rimangono fissi al 10,50%.
Il presidente attacca la banca centrale
Lula ritiene che la colpa per la svalutazione del real sia della banca centrale, commentando che i mercati non hanno fiducia nella capacità del governo di poter intraprendere iniziative economiche importanti con un livello di tassi così elevato. Inoltre ha aggiunto che il governo in questo momento non può permettersi di aumentare le imposte per cementificare la posizione finanziaria del paese, perché le imprese sono già schiacciate dai tassi elevati e perché un cambio fiscale disincentiverebbe i capitali stranieri che potrebbero essere investiti nel paese. Di conseguenza il governo federale sta puntando soprattutto sui tagli alla spesa pubblica per rimettere in sesto le finanze brasiliane, cosa che aumenta il malcontento popolare.
Dall’altra parte, Campos Neto difende le decisioni della banca centrale sottolineando che la priorità rimane contenere il tasso d’inflazione intorno al 3%. E malgrado i tassi al 10,50%, la previsione per il 2024 è che l’inflazione sia più alta rispetto al target della banca centrale. Lula accusa la banca centrale per l’incapacità di riportare l’inflazione sotto controllo a discapito dei tassi elevati, e le due istituzioni sono ormai arrivate a un punto evidente di rottura. Ora i mercati rimangono solo in attesa di sapere chi sostituirà Campos Neto, ma sembra evidente che un secondo mandato sia da escludere.
L’instabilità pesa sui bond
Il rendimento dei bond brasiliani a media scadenza è aumentato del 5% nel corso di giugno e il real ha perso quasi il 10% del proprio valore contro il dollaro americano. Anche se la situazione non è ancora complicata come quella giapponese, la valuta nazionale brasiliana sta soffrendo e presto potrebbe trovarsi in una situazione simile. Se il prossimo presidente della banca centrale brasiliana dovesse decidere di seguire le idee di Lula per tagliare aggressivamente i tassi a discapito di un tasso d’inflazione ancora alto, si correrebbe il rischio concreto di vedere una crisi della valuta nazionale di uno dei colossi dei paesi emergenti. Con i suoi depositi di terre rare, petrolio e gas, insieme alla forte produzione agricola che viene esportata verso l’Europa e gli Stati Uniti, il Brasile gioca un ruolo molto importante nello stabilizzare il mercato mondiale delle materie prime.