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Shutdown USA quasi certo. Mercati finanziari col fiato sospeso
Sarà difficile ottenere un accordo per evitare lo shutdown negli Stati Uniti entro il 1° ottobre. È questa l’opinione maggioritaria sulle negoziazioni che stanno avendo luogo sia al Congresso sia ai piani più alti della politica USA. Di tempo ne rimane poco e per il momento non ci sono elementi che lascino pensare al superamento dell’impasse che a partire da domenica costringerà alla riduzione di quasi tutte le attività governative negli Stati Uniti.
Non è la prima volta che gli Stati Uniti arrivano – se questo sarà il caso – allo shutdown, anche se questa volta non solo le posizioni sembrano essere inconciliabili sul breve, ma anche sul medio periodo, creando il terreno giusto per uno shutdown che potrebbe essere il più lungo della storia. Se questo dovesse essere il caso, potrebbero esserci anche delle ripercussioni importanti sui mercati, come ha sottolineato mercoledì 27 settembre anche Kashkari di Fed Minneapolis.
Shutdown quasi certo: le posizioni sono inconciliabili
I giornali statunitensi attribuiscono la responsabilità di un eventuale shutdown alle richieste – ritenute eccessive – da parte del nucleo dei più irriducibili repubblicani affinché sia raggiunto un accordo. A guidare le trattative è l’House Speaker Kevin McCarthy, che già durante il possibile precedente shutdown – che fu poi evitato – aveva ottenuto delle concessioni ritenute importanti dalla Presidenza degli Stati Uniti e dal relativo governo.
Ai tempi – anche se parliamo di pochi mesi fa – ci fu accordo per una riduzione della spesa pubblica di lungo periodo insieme a altre rassicurazioni in termini di funding di determinate attività.Forti del successo già conseguito in passato, i repubblicani più irriducibili avrebbero formulato questa volta formulato richieste più articolate e – per i democratici – certamente irricevibili.
Le richieste comprenderebbero infatti un inasprimento delle politiche immigratorie, un riavvio della costruzione del muro con il Messico di trumpiana memoria, l’interruzione degli aiuti all’Ucraina e ancora tagli alla spesa federale. Pacchetto certamente ambizioso ma che difficilmente incontrerà il favore della Presidenza a trazione dem. A giocare a favore di Biden sia un fronte repubblicano poco compatto, sia la minore urgenza che questa volta presenta un eventuale shutdown, senza alcun tipo di rischio per il default del debito USA.
Effetti sui mercati
Non siamo davanti a una situazione simile alla precedente. Questa volta non c’è il rischio di un default del debito pubblico USA, per quanto temporaneo e i rischi sono in realtà non immediati, ma da valutarsi nel tempo. Ci sarà quasi certamente un rallentamento dell’attività economica negli USA, i cui effetti però cresceranno geometricamente e non esponenzialmente.
Al tempo stesso però, come ricordato da Kashkari di Fed Minneapolis, potrebbe essere quanto basta per cambiare gli atteggiamenti di Federal Reserve su eventuali ulteriori rialzi dei tassi di interesse.
Non ci si aspettano grosse ripercussioni sul settore azionario, così come non ci si aspettano ripercussioni eccessive sul mercato dei treasuries, i bond USA, che questa volta non sono a rischio. Se i repubblicani più intransigenti puntano a giocare sulla paura, questa volta ce n’è poca da mettere effettivamente sul tavolo.
A pagarne le conseguenze saranno principalmente, sul breve, i dipendenti pubblici che non percepiranno stipendio e che non si recheranno al lavoro.
Ci sarà inoltre un rallentamento delle attività anche per le agenzie governative che vigilano sui mercati. Su tutte SEC, che potrebbe pertanto accelerare certe decisioni sui tanto attesi ETF Bitcoin, per i quali però ci si attende un altro rinvio.
Per il resto – per dirla all’americana – sarà business as usual, mentre le parti cercheranno di ricomporre una frattura non solo tra dem e rep, ma anche tra gli stessi repubblicani, i quali non sarebbero tutti propensi per uno scontro frontale che questa volta può portare pochi vantaggi per la propria fazione politica.