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Thailandia, tassi in rialzo per la sesta volta consecutiva

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La banca centrale thailandese ha aggiornato i suoi tassi di interesse centrali, portandoli al 2% annuo. Si tratta di un incremento di 25 punti base rispetto ai tassi precedenti. La mossa era già stata ampiamente anticipata dagli analisti: 17 dei 22 intervistati da Reuters avevano espresso come previsione uno scatto dello 0,25% a rialzo. Questo passaggio segna la sesta volta consecutiva in cui la banca centrale decide di aumentare i tassi, ma lasciandoli comunque molto bassi rispetto a quelli praticati in Occidente e soprattutto in altre nazioni emergenti.

La Thailandia ha davvero segnato un esempio di come bilanciare crescita, occupazione e inflazione nel post-pandemia. Allo stesso modo di altre economie, si è trovata vittima dell’inflazione tra 2021 e 2022: l’indice dei prezzi al consumo è arrivato a toccare un valore del 8% annuo. Ad agosto dell’anno passato, la banca centrale ha deciso di intervenire sui tassi per la prima volta in questo ciclo economico. A distanza di quasi un anno, il tasso di inflazione attuale è del 2,83% annuo. Un grande risultato, considerando che il 2-3% annuo è visto come il target di riferimento da parte della maggior parte delle banche centrali.

Per la Thailandia il tasso di inflazione è già nei parametri della banca centrale, ma con un ulteriore rialzo dei tassi si assicura di tenere sotto controllo la pressione sui prezzi

Buona le crescita e contenuta l’inflazione

Molte banche centrali in Occidente hanno esitato ad alzare i tassi di interesse nel post-pandemia, ritrovandosi poi a fare i conti con un’inflazione ben oltre le aspettative. Il caso più emblematico è probabilmente quello della Bank of England, che si trova a remare contro un’inflazione ostinata da diversi mesi a questa parte. Interessante anche il fatto che la Bank of Thailand abbia deciso di continuare a rialzare i tassi, malgrado l’inflazione sia già rientrata nei suoi parametri desiderati. Probabilmente il direttivo non vuole correre il rischio di ritrovarsi di nuovo con la pressione dei prezzi in aumento, ed è disposto ad accettare le conseguenze di un rialzo di 25 punti base.

Conseguenze che sembrano comunque tutt’altro che problematiche: la Bank of Thailand fa sapere che per il 2023 rimane invariata la proiezione di crescita del PIL del 3,6% su base annua; per il 2024 ci si attende invece una crescita del 2,4%, anche se sono dati ancora molto preliminari. Per un’economia emergente che dovrebbe puntare sullo sviluppo, di certo non è un tasso di crescita elevato. Se però si considera la ripresa più lenta del previsto in Cina, il default dello Sri Lanka e le difficoltà economiche del Bangladesh e del Pakistan, è chiaro che in questo momento la Thailandia risenta della debolezza dei partner commerciali più prossimi geograficamente.

Il grafico mostra l’andamento del tasso di inflazione in Thailandia nel corso degli ultimi 5 anni

Tra interessi cinesi e Occidentali

La Thailandia si trova in una situazione favorevole dal punto di vista geoeconomico. Da una parte, i produttori cinesi che vedono lievitare il costo del lavoro in patria stanno delocalizzando parte della produzione low-cost. Anche settori specializzati stanno beneficiando degli investimenti diretti cinesi: l’industria delle auto elettriche e delle batterie per questo tipo di veicoli, ad esempio, sta prendendo piede soprattutto grazie agli investitori cinesi. Spesso le imprese che decidono di vendere i loro prodotti in Thailandia, poi, aprono fabbriche in loco per evitare i dazi: in questo modo, si dà impulso anche alla generazione di posti di lavoro.

Allo stesso tempo, la Thailandia interessa anche all’Occidente. Nell’ultimo incontro del G7 si è parlato molto di dipendenza economica dalla Cina e della necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento. Con il clima politico tra Pechino e Washington che si fa sempre più teso, non è una sorpresa che anche le imprese Occidentali guardino con interesse alla Thailandia. Un governo stabile, una diffusa conoscenza dell’inglese e una solida rete di infrastrutture permettono al leader economico del Sud-Est Asiatico di beneficiare dell’interesse cinese quanto di quello occidentale.

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