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Troppi rifiuti: l’UE prepara nuove misure sul fast fashion

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Produzione di massa, e-commerce che vendono direttamente dalla Cina e mode che durano sempre meno: il mondo del fast fashion, sempre più identificato da brand come Shein e Wish, produce troppi rifiuti. Questa è l’indicazione di Dijana Lind, analista ESG presso Union Investment. Ma è anche la conclusione di vari altri esponenti dell’industria e della politica europea. Fonti interne all’industria del fast fashion, parlando con Reuters, hanno indicato che l’Unione Europea si starebbe preparando a introdurre delle misure più stringenti per evitare che i rifiuti generati dall’abbigliamento diventino un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi sulla sostenibilità.

In nessun posto il problema è più evidente che nei centri Moda Re che sorgono in Spagna, parzialmente di proprietà del gruppo Inditex che possiede, tra i tanti marchi, anche Bershka e Zara. Qui ogni anno si riciclano 40.000 tonnellate metriche di vestiti ogni anno e lo stabilimento di Barcellona si sta preparando a raddoppiare la capacità entro la fine del prossimo anno.

L’Unione Europea ha richiesto agli Stati membri che, dal 2025 in avanti, tutti i rifiuti tessili vengano separati dagli altri rifiuti. Questa è solo una prima iniziativa, volta quantomeno a favorire il riciclo. Rimane però evidente, guardando i numeri, che al momento non ci sia abbastanza capacità negli stabilimenti esistenti per promuovere una completa riuscita del piano: lo stesso amministratore delegato di Moda Re lo ammette, indicando che l’espansione attuale rappresenta solo l’inizio del piano a lungo termine.

Attualmente meno del 25% dei rifiuti tessili prodotti in Europa viene riciclato

Si insiste sul riciclo, ma mancano i numeri

Per il momento l’Unione Europea non ha ancora una politica precisa legata agli obiettivi di sostenibilità sullo smaltimento dei rifiuti che provengono dalla filiera tessile. La misura che renderà obbligatorio separare gli indumenti dal resto dei rifiuti è un inizio, ma guardando i numeri si nota subito come siano necessari incentivi agli investimenti: la stessa Commissione Europea, in un report pubblicato a luglio, ha evidenziato come meno del 25% dei rifiuti tessili venga riciclato in questo momento all’interno dell’Unione. Particolarmente significativo il fatto che complessivamente siano 5.2 milioni di tonnellate di vestiti a venire scartati ogni anno, sostituiti da una mole ancora maggiore di indumenti. Questo significa che circa 3.9 milioni di tonnellate di vestiti finiscono nelle discariche o negli inceneritori, almeno per ora. L’Unione sta lasciando l’iniziativa al libero mercato, nella speranza che chi fa impresa veda un’opportunità per trasformare gli scarti in nuovi filati rivendibili alle imprese tessili.

Rimane però un forte ostacolo al raggiungimento di questi obiettivi, e cioè l’ingente mole di capitali che sarebbero necessari affinché tutti i rifiuti tessili recuperabili vengano effettivamente riciclati. Uno studio di McKinsey, la società di consulenza più accreditata al mondo, rivela che mancano €6-7 miliardi di investimenti per riuscire a raggiungere gli obiettivi climatici europei. E non si sta parlando di recuperare l’intera quantità recuperabile di abbigliamento, ma solo il sufficiente per arrivare all’obiettivo del 40% di fibre riciclate che l’Unione Europea ha fissato per il 2030. Con ogni anno che passa l’investimento necessario si fa più alto, perché il tempo stringe. Il problema alla base rimane evidenziato comunque da tutti gli analisti interrogati in materia: c’è un iperconsumo di abbigliamento che porta a un ricambio molto rapido dei capi d’abbigliamento e a una difficile sostenibilità dell’intera filiera.

Gran parte dei vestiti non riciclati vengono inviati in Africa, dove esiste un mercato per la rivendita

Il percorso non è semplice per l’Unione

Scorrendo il report di McKinsey si trovano alcuni numeri importanti: il più significativo è la stima sulla quantità di centri di riciclo che sarebbero necessari per raggiungere l’obiettivo di riciclare 2.5 milioni di tonnellate di vestiti in Europa entro il 2030. Secondo i dati della società di consulenza, mancano centinaia di stabilimenti all’appello per raggiungere la capacità indicata. Su un sondaggio condotto da Fashion For Good nel 2022, 14 dei 52 centri di riciclo intervistati avevano intenzione di espandere la propria capacità di riciclo nel futuro a breve termine. Questo indica che, per quanto l’industria stia effettivamente crescendo, lo sta facendo a un ritmo troppo basso per poter raggiungere realmente gli obiettivi fissati dall’Unione Europea. Senza un’accelerazione, l’obiettivo 2030 rischia di venire mancato di molto.

Inoltre i centri di riciclo non riciclano tutti i capi di abbigliamento che ricevono. Un caso evidente è quello della citata Moda Re, che riceve capi provenienti da 7.000 punti per le donazioni situati nei punti vendita di Zara e di Mango. Attualmente il 40% dei capi che l’azienda riceve vengono inviati ad altre aziende per il ciclo e solo il 20% di questi viene trasformato in nuove fibre tessili impiegabili per realizzare indumenti. Circa la metà del tonnellaggio complessivo che giunge a Moda Re viene inviato in Africa, dove spesso questi capi di abbigliamento vengono rivenduti. Particolarmente in Camerun, in Ghana e in Senegal, esiste una filiera composta da grossisti che acquistano in stock questi capi e li distribuiscono per la rivendita ai negozi del posto. Chiaramente, però, la sostenibilità di questo processo è messa in serio dubbio dal lungo tragitto che questi capi d’abbigliamento devono compiere per arrivare alla loro destinazione.

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