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UE valuta misure per arginare i pannelli solari cinesi
L’Unione Europea si trova a fare i conti con una situazione già disastrosa per quanto riguarda la produzione di pannelli fotovoltaici. Non soltanto il blocco produce meno del 3% dei pannelli che servirebbero ogni anno per arrivare a raggiungere i target climatici europei, ma nelle ultime settimane altri quattro impianti hanno chiuso i battenti. Una storia di perdita di competitività, quote di mercato e posti di lavoro, che purtroppo non accenna ad arrestarsi. Secondo la Commissione Europea, in meno di tre mesi la gran parte dei produttori rimasti potrebbe scomparire: alcuni destinati a chiudere per sempre, altri a spostarsi negli USA dove alle società manifatturiere di celle e componenti fotovoltaiche sono concessi grandi sussidi federali.
L’UE ha anche identificato un chiaro responsabile di tutto questo: la concorrenza cinese. Oltre il 90% dei pannelli fotovoltaici installati ogni anno in Europa provengono dalla Cina, senza alcun tipo di dazio o limite all’importazione. Nel 2013 i pannelli fotovoltaici cinesi erano stati sottoposti a misure punitive dopo un’accusa di dumping da parte del Parlamento Europeo, cioè di stare esportando i pannelli a un prezzo inferiore a quello a cui venivano venduti sul mercato domestico cinese. Queste restrizioni sono poi state rimosse nel 2018, nel tentativo di aumentare l’offerta e di accelerare la transizione verso il raggiungimento degli obiettivi fissati da Bruxelles.
Impossibile competere sui prezzi con i cinesi
Johan Lindahl del European Solar Manufacturing Council ritiene che il mercato europeo, in questo momento, sia colpito da due forze allo stesso tempo: da una parte, un eccesso di offerta a livello globale che rende molto difficile piazzare sul mercato i pannelli di qualunque società. Dall’altra, il fatto chiaro ed evidente della mancanza di competitività dei pannelli prodotti in Europa. Lo scorso anno sono entrate in vigore delle normative per promuovere la produzione domestica di pannelli fotovoltaici negli Stati Uniti, che hanno sbarrato la strada ai produttori cinesi; una cosa molto simile è avvenuta anche in India, altro mercato di sbocco naturale per le società in Cina.
Il risultato è che le imprese manifatturiere cinesi si sono ritrovate con un eccesso di pannelli fotovoltaici, con una sola possibile destinazione a parte il mercato interno: l’Unione Europea. E all’interno dell’Unione, dove non esistono delle misure di tutela dei produttori locali come ci sono negli Stati Uniti, i prezzi di produzione sono estremamente più alti. Non è nemmeno un classico caso di alta qualità contro prezzi bassi: le società cinesi non sono soltanto più competitive in termini di listino, ma anche a livello tecnologico. Tutto questo ha causato una profonda crisi dei produttori europei, di cui si trova una particolare concentrazione soprattutto in Germania.
Si studiano nuove proposte
Alcuni membri della Commissione Europea, parlando con il Financial Times, hanno avanzato delle ipotesi riguardo alle azioni che si potrebbero intraprendere per tornare a rendere competitivi i produttori europei. Si pensa soprattutto all’ipotesi di imporre dei dazi sulle importazioni di pannelli cinesi, ma questa è una strada che presenta sfide non da poco. La capacità produttiva europea è ancora estremamente bassa rispetto ai target ambientali, che tra l’altro stanno andando verso un nuovo aggiornamento ancora più stringente. Un’altra ipotesi sarebbe un sistema di incentivi per kilowatt prodotto, in maniera da stimolare la domanda, ma questo non andrebbe probabilmente a favore dei produttori europei. Il risultato è che al momento non ci sono ancora delle proposte concrete, ma il tempo per salvare chi produce i pannelli in Europa sta finendo.