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Africa vuole tasse mondiali per finanziare transizione green

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Dopo tre giorni di eventi, presentazioni e discussioni, giunge alla fine il Green Summit ospitato dal Kenya, che ha visto la partecipazione di oltre 30 capi di Stato africani. Come previsto, alla fine del summit è stato presentato un documento di sintesi chiamato Nairobi Declaration. In questa dichiarazione si leggono tutti gli obiettivi e le richieste delle nazioni africane per affrontare la transizione green. Si tratta delle basi comuni con cui i rappresentanti dei governi della regione intendono presentarsi al COP28 di dicembre, l’evento sul clima più atteso dell’anno a cui parteciperanno anche tutti i principali capi di stato delle economie avanzate. Alcuni dei punti della dichiarazione sono stati subito accettati di buon grado dalla comunità internazionale, mentre altri hanno sollevato dei forti dubbi non soltanto sulla fattibilità, ma anche sulle legittimità delle richieste avanzate.

I temi di dibattito sono stati principalmente incentrati sul cambiamento climatico, sulla preservazione delle risorse naturali -incluse le riserve forestali e la fauna locale- e sugli eventi climatici drastici che stanno fortemente impattando la regione: si stima che l’Africa necessiti di $300 miliardi all’anno per finanziare tutti gli sforzi necessari a contrastare l’avanzata del cambiamento climatico, ma di questi la regione ne riceve attualmente solo il 12%. La necessità di investimenti è presto diventata l’elemento comune a tutte le discussioni che si sono tenute durante il vertice di Nairobi, e ha portato a una proposta particolarmente controversa: introdurre un sistema di tassazione mondiale, in modo che le nazioni che producono il maggiore inquinamento siano tassate di più e che questi proventi fiscali vengano destinati alla transizione ecologica nelle economie emergenti.

Malgrado le nazioni africane siano tra le meno inquinanti al mondo, sono anche tra quelle che patiscono i maggiori effetti del cambiamento climatico

Si chiede una Carbon Tax globale

La Dichiarazione di Nairobi appoggia l’idea di una tassa mondiale, calcolata in base alle emissioni inquinanti di ogni nazione. Attualmente, secondo il Fondo Monetario Internazionale, 24 nazioni del mondo hanno già introdotto un sistema di credito e debito fiscale simile a questo; le risorse vengono però gestite internamente, senza essere ridistribuite a paesi terzi. La proposta avanzata dalle nazioni africane è quella di implementare un sistema simile, nel quale però si abbia anche un principio di ripartizione delle risorse. Questo anche considerando che l’Africa rappresenta attualmente meno del 10% delle emissioni inquinanti di tutto il mondo. Chiaramente l’obiettivo sarebbe quello di dirottare delle risorse dai paesi più ricchi -e anche inquinanti- verso i paesi che inquinano di meno. Simili proposte erano già state avanzate in passato, ma finiscono puntualmente per incontrare una forte opposizione.

Uno dei problemi più evidenti, di fronte a una proposta di questo genere, è la possibilità che la proposta non venga sottoscritta anche solo da un circoscritto numero di nazioni. L’effetto a cascata sarebbe piuttosto prevedibile: nel caso in cui la Cina non accetti di pagare una carbon tax sulle proprie emissioni, ad esempio, difficilmente gli Stati Uniti opterebbero per ratificare una soluzione di questo genere. Quando si parla di sistemi di tassazione globali, è sempre molto difficile mettere d’accordo tutte le parti in gioco. Il Presidente del Kenya, William Ruto, ritiene che il modello con cui l’Unione Europea tassa le transazioni finanziarie che avvengono tra i diversi Stati Membri sia un modello che può essere replicato anche per la realizzazione di questa nuova carbon tax mondiale. Sarà una delle proposte che saranno avanzate nel prossimo COP 28, ma al momento è difficile dire se verrà approvata.

La carbon tax proposta dal summit di Nairobi andrebbe a colpire prima di tutto il settore dei trasporti, in particolare l’aviazione e le navi cargo

In cerca di una coordinazione maggiore degli sforzi

Fino a questo momento, le nazioni africane hanno già visto provenire diversi fondi dalle economie più avanzate. Si tratta però quasi sempre di interventi non coordinati, che spesso hanno l’obiettivo di influenzare le relazioni diplomatiche tra le nazioni coinvolte. Nel corso dell’ultimo anno sono state annunciate diverse iniziative internazionali: gli Emirati Arabi hanno messo a disposizione un fondo da $4.5 miliardi per finanziare lo sviluppo di una rete da 15 GW per la produzione di energia sostenibile in varie nazioni africane; la Germania si è impegnata per 450 milioni di euro, finanziando vari progetti tra cui un impianto da 60 milioni di euro per la produzione di idrogeno verde in Kenya. Gli Stati Uniti sono stati tra gli attori meno attivi, con un impegno da 30 milioni di dollari per finanziare sistemi di agricoltura per la resilienza della filiera alimentare in Africa.

Il summit di Nairobi, però, è stato una vera e propria svolta: nell’arco di soli tre giorni sono stati firmati impegni finanziari per $23 miliardi, una cifra senza precedenti per gli investimenti sostenibili in Africa. La maggior parte di questi investimenti sono direttamente mirati alla riduzione delle emissioni inquinanti, e sono stati proposti anche dei nuovi strumenti che includono dei periodi di grazia fino a 10 anni per il ripagamento del capitale iniziale investito. C’è stato anche un forte appello alle istituzioni sovranazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, due realtà da cui ci si aspetta un ruolo di protagonista nella lotta al cambiamento climatico in Africa. Diventa sempre più evidente che la lotta alla sostenibilità sia uno sforzo mondiale, che non può essere sostenuto soltanto da alcuni paesi.

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