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Borse USA giù su timori inflazione | Dati PPI preoccupano
La settimana dell’azionario USA non si chiude nel migliore dei modi. Arrivano infatti altri dati che lasciano intuire che Federal Reserve non avrà alcuna fretta nel tagliare i tassi. PPI più alto delle aspettative, così come continua a maturare un sentiment generalmente positivo da parte dei consumatori sia per quanto riguarda il ritorno dell’inflazione in target, sia per quanto concerne invece l’andamento futuro dell’economia. Continuano inoltre i problemi in termini di cresta dei prezzi, con i servizi che ancora trascinano l’inflazione, o meglio, le impediscono di tornare verso livelli ritenuti più consoni da Washington.
Questo insieme di dati e di atteggiamenti ha portato da un lato ad una crescita dei rendimenti sul mercato secondario dei bond a due anni, storicamente i più sensibili alle mosse di politica monetaria. E i principali indici USA pagano invece un prezzo forse non alto, ma che interrompe più di un mese di sentiment e di andamento bullish. Una situazione complessivamente però non da buttare via, almeno per chi ritiene che qualche battuta d’arresto per borse fuori controllo in senso rialzista non possa che fare bene.
Arrivano i dati che gelano, di nuovo, Wall Street
Dopo i dati sulla CPI questa volta a raffreddare mercati che hanno viaggiato per settimane sull’onda dell’ottimismo arrivano i dati dall’economia americana. I mercati, nei loro gangli più importanti, hanno già reagito alla convinzione che in realtà Federal Reserve non avrà alcuna fretta a intervenire sui tassi di interesse. Gli swap prezzano, come correttamente riportato da Bloomberg, tagli per una media di 85 punti base nel corso dell’anno, in calo importante rispetto ai 150 che erano invece preventivati soltanto un paio di settimane fa.
Un cambiamento importante di aspettative che non poteva che avere un impatto importante anche sulle borse. Nel momento in cui viene pubblicata questa news NASDAQ Composite perde intorno allo 0,40%, mentre SPX500 fa poco meglio, con perdite intorno allo 0,20%. Dati lontani da quelli di un’ecatombe, dato che i suddetti indici avevano già corretto dopo le prime avvisaglie, arrivate in settimana, di un’inflazione persistente e che vuole prendersi tutto il tempo possibile prima di tornare in target al 2%.
Fatta qualche rara eccezione, è una giornata di scambi fiacchi e leggermente ribassisti sulle più importanti borse del mondo, con l’appetito per il rischio che esce fortemente ridotto da una sette giorni che ha visto un ritorno, prepotente, delle preoccupazioni sull’inflazione. E sono anche spariti i commentatori che ritenevano la presa di posizione di Jerome Powell troppo dura e le previsioni del FOMC sui tagli, che parlano di circa 75 punti base di tagli, eccessive nella cautela.
Più persistente di quanto credessero i mercati
La lezione che arriva per gli investitori questa settimana è sul vecchio don’t fight the Fed. Nelle ultime apparizioni in pubblico Jerome Powell era apparso come sì possibilista, ma anche ancora preoccupato per il raggiungimento del target al 2% per il livello dei prezzi. Ha preannunciato un percorso ancora incerto e anche che Fed si sarebbe mossa solo e soltanto in vista del traguardo. Traguardo che ora si allontana alla luce dei due importanti indici di prezzo di cui abbiamo avuto tutti lettura nel corso di questa settimana.
Core PPI ha fatto registrare anno su anno un aumento del 2,0%, in rialzo rispetto alla precedente lettura e anche rispetto alle aspettative. Pesante anche il dato mese su mese, con un rialzo dello 0,5%.
Ci sono però altri problemi che si stagliano all’orizzonte di Federal Reserve: i dati sui permessi di costruzione parlano di un ulteriore rallentamento, contro le previsioni che si aspettavano un +1,3%. Segno che il credito caro sta facendo pagare un prezzo importante almeno ad alcuni settori.