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ENI e Snam diventano pionieri del Carbon Capture in Italia

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Eni e Snam lanciano un progetto congiunto per lavorare sul carbon capture, una tecnologia che permette di catturare direttamente l’anidride carbonica emessa dai grandi impianti industriali. L’obiettivo è quello di abbassare drasticamente le emissioni di gas serra dell’industria italiana: si parla addirittura di 16 milioni di tonnellate di CO2. Il riferimento diventa estremamente intuitivo quando si pensa al fatto che questo numero equivale al 50% delle emissioni annuali di CO2 dei settori più inquinanti dell’industria italiana: acciaierie, cemento e industria chimica. Tutto questo potrebbe avere anche importanti risvolti sui progetti futuri, come già accennato sia da ENI che da Snam. Le due società indicano che sarebbe possibile utilizzare questa stessa tecnologia per catturare la CO2 emessa dalle centrali a gas, aprendo la porta a un metodo per produrre idrogeno verde a bassi costi.

Secondo la International Energy Agency (IEA), la tecnologia di cattura diretta del diossido di carbonio è essenziale per raggiungere gli obiettivi climatici internazionali. Considerando che l’Unione Europea ha fissato l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, è necessario velocizzare le operazioni per abbattere le emissioni inquinanti. L’energia rinnovabile è importante, ma altrettanto importante è cercare di prevenire il problema delle emissioni inquinanti controllando l’inquinamento prodotto dagli stabilimenti industriali. Fino a questo momento, però, l’Italia non ha nemmeno un impianto di cattura diretta di carbonio che possa definirsi di dimensioni significative.

Eni e Snam ritengono che l’Italia possa diventare il player più grande del sud d’Europa nella cattura diretta del carbonio

Combinando sostenibilità e posti di lavoro

La tecnologia di cattura diretta del carbonio è particolarmente importante per tutte quelle imprese che non possono facilmente abbassare le loro emissioni inquinanti. Settori come la metallurgia, dove si sta iniziando a valutare l’uso dell’idrogeno verde, ma pur sapendo che una completa transizione verso questa nuova forma di combustibili richiederà molto tempo. Il problema principale, fino a questo momento, è che l’idrogeno verde rimane molto caro e prevede anche delle importanti sfide logistiche per il trasporto e lo stoccaggio rispetto al classico gas naturale. I settori industriali più toccati dalla decisione di Snam e Eni, soltanto in Italia, generano un indotto di 62.5 miliardi di euro e generano 1.27 milioni di posti di lavoro. Chiaramente l’impatto economico rende necessario mantenere il più possibile i posti di lavoro, ma cercando di combinare questa direzione con quella della sostenibilità.

Eni ha indicato di avere già una grande esperienza nello stoccaggio di gas naturale e altri prodotti che contengono carbonio, per cui il suo compito sarà essenzialmente quello di decretare le migliori soluzioni per lo stoccaggio dell’anidride carbonica a cui verrà prevenuta la dispersione nell’atmosfera. Invece sembra che Snam sarà soprattutto coinvolta nello sviluppo tecnologico delle soluzioni per la cattura diretta dell’anidride carbonica. Le due società hanno anche annunciato nella Conferenza di Cernobbio 2023 di aver ottenuto l’interesse di diverse società francesi, alle quali interessa la possibilità di installare i sistemi di cattura diretta del carbonio nei loro impianti. L’Italia ha la possibilità di attirare investimenti per la cattura del carbonio e di diventare un punto di riferimento per il Sud d’Europa in questo mercato.

I giacimenti esausti di gas e petrolio possono essere utilizzati per conservare la CO2 al sicuro, lontano dall’atmosfera

L’avvento della CCS e le domande sulla sostenibilità

La cattura diretta del carbonio (CCS, dall’inglese Carbon Capture and Storage) rappresenta uno degli approcci tecnologici più discussi e promettenti per combattere il cambiamento climatico. Al centro di questa tecnologia c’è l’idea di catturare direttamente l’anidride carbonica (CO2) dall’atmosfera o, in alcuni casi, direttamente dai gas di scarico delle industrie, per poi stoccarla sottoterra o utilizzarla in altre applicazioni. La CCS utilizza dei solventi che hanno la capacità di legarsi con le molecole di CO2 presenti nell’aria. Una volta che l’aria viene aspirata nelle strutture di cattura, viene messa in contatto con questi solventi. La reazione chimica che segue lega la CO2 ai solventi, separandola effettivamente dall’aria. Dopodiché, mediante riscaldamento, i solventi vengono separati dalla CO2.

Una volta catturata, la CO2 può seguire due percorsi principali: stoccaggio o utilizzo. Parlando di stoccaggio, l’idea è quella di confinare la CO2 in profondità sottoterra, in particolari formazioni geologiche chiamate serbatoi geologici. Questi serbatoi possono essere antiche formazioni rocciose porose che una volta contenevano gas naturale o petrolio. L’idea fondamentale è che la CO2 viene confinata in modo sicuro, lontano dall’atmosfera per migliaia di anni. Naturalmente, la scelta del sito e la monitorizzazione post-iniezione sono cruciali per assicurarsi che non ci siano perdite.

L’altro percorso che la CO2 può seguire dopo la cattura è l’utilizzo. Invece di vedere la CO2 come un rifiuto, molti ricercatori e imprese la vedono come una risorsa. Una volta catturata, la CO2 può essere utilizzata per produrre carburanti sintetici, materiali da costruzione come il calcestruzzo, o addirittura nella produzione di prodotti chimici di base. Nel caso di Eni e Snam si parla soprattutto di stoccaggio, che può essere effettuato presso i vari giacimenti esausti di gas naturale che sorgono al largo delle coste italiane.

Anche se la tecnologia di cattura diretta del carbonio è affascinante e offre una soluzione potenziale al problema delle emissioni di CO2, presenta delle sfide importanti. Una delle principali sfide è il costo. Attualmente la CCS è ancora relativamente costosa, sia in termini di installazione che di funzionamento. Inoltre l’energia necessaria per alimentare il processo di cattura e separazione può essere significativa, il che solleva domande sulla sostenibilità complessiva del processo, specialmente se l’energia proviene da fonti non rinnovabili.

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