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Euro verso la parità con il dollaro? Parlano gli analisti
Gli analisti delle principali banche d’affari non hanno sempre ragione, ma quasi sempre vale la pena ascoltare quanto hanno da dire. Le previsioni che arrivano da JP Morgan e da Citibank questa volta riguardano l’euro e il suo importante trend negativo. Entrambe le banche ritengono che siamo ancora lontani dalla possibilità di inversione, che punta invece dritta, sempre secondo le due banche in questione, alla parità.
Non che si sia così lontani: l’euro viene scambiato contro il dollaro a 1,05 nel momento in cui scriviamo, complice un trend negativo che ha accelerato durante l’estate e che – dati alla mano – potrebbe continuare anche se dipendesse soltanto dal differenziale tra i tassi UE e quelli fissati da Federal Reserve. Per le due banche d’affari però il problema sarebbe più ampio e difficile da invertire, ammesso e non concesso che esista la volontà politica di farlo.
Ancora guai per l’euro: parlano due delle principali banche d’affari mondiali
Come abbiamo scritto in apertura, una fonte autorevole non trasforma comunque le opinioni in realtà. Sia JP Morgan che Citibank hanno in passato offerto analisi sbagliate e contrarie a quanto poi si è verificato. Non che sia una colpa – nessuno può effettuare previsioni corrette il 100% delle volte – ma è bene specificarlo prima di affrontare l’analisi offerta dai due gruppi. Sono analisi concordanti su un fatto specifico che interessa il mercato del Forex: la discesa dell’euro nei confronti del dollaro potrebbe essere ancora lontana dalla fine.
Da metà luglio la valuta dell’Unione ha perso il 6% e potrebbe perdere, secondo le previsioni dei due gruppi, un ulteriore 5% – perdita che porterebbe EUR/USD alla parità. È una previsione che parte da lontano e che guarda altrettanto lontano: secondo gli analisti l’euro non avrebbe ancora prezzato diverse incertezze presenti a Francoforte ma non a Washington, tra le quali i rischi geopolitici e la crescita stagnante che ha colpito la sua locomotiva. Situazioni che sarebbero però – aggiungiamo noi – soltanto parzialmente lontane da Washington, la quale dovrà fare fronte almeno sul fronte geopolitico a rischi altrettanto importanti.
Washington è più credibile
Torna un vecchio leitmotiv del mondo finanziario globale: in situazioni di crisi, la valuta degli Stati Uniti assume quasi sempre lo status di safe haven, di porto sicuro al quale si rivolgono i più dubbiosi, i più incerti e i più preoccupati. A questo status che il dollaro USA si è guadagnato con decenni di ottime performance rispetto alle altre valute, si aggiunge una resilienza maggiore dell’economia USA rispetto alle altre economie sviluppate, nonché una maggiore indipendenza di Federal Reserve da pressioni politiche.
Pressioni politiche che per quanto trovino poco spazio all’interno della stampa finanziaria, stanno invece già montando in Europa, in particolare in concomitanza con la crisi che sta colpendo almeno due delle quattro principali economie dell’Unione. Se per l’Italia non è una novità esercitare pressioni per tassi più bassi (e per chiudere un occhio sull’inflazione), lo è per la Germania, che a fronte di problemi importanti per la crescita (che in molti ritengono strutturali) potrebbe ammorbidire i suoi atteggiamenti hawkish sui tassi.
Il differenziale tra i tassi è già importante e la maggior parte degli operatori di mercato, per quanto si stia avvicinando il termine del ciclo restrittivo anche negli USA, ritengono Fed nella posizione di poter imporre un ulteriore rialzo, possibilità che invece a Francoforte perde quota.
Con questi presupposti è naturale che i mercati continuino a maturare un sentiment bearish sull’euro nei confronti del dollaro.
E anche se è un tema del quale parleremo approfonditamente più avanti, per l’Europa pesa anche il pessimo outlook energetico, o almeno pesa più che negli States.