News
Fisker va in bancarotta: addio al sogno degli EVs di Henrik Fisker, la società è piena di debiti
Fisker, la startup dei veicoli elettrici fondata da Henrik Fisker e quotata tramite SPAC nel 2020, arriva al capolinea: l’azienda non è riuscita a farsi spazio in un’arena competitiva sempre più affollata e ha mandato in Chapter 11 -bancarotta amministrata- la sua filiale statunitense. Secondo quanto dichiarato dall’azienda non si tratta di una ristrutturazione, ma di una scelta presa per liquidare quanto rimane del patrimonio aziendale e dividerlo tra i tanti creditori della società. In questo momento il patrimonio di Fisker si aggira tra $500 milioni e $1 miliardo, mentre i debiti sono tra $1 miliardo e $10 miliardi. Con un modello di business che continua a bruciare liquidità, non ci sono più speranze.
Questa è la fine di un altro produttore di veicoli elettrici che durante la pandemia si era quotato con grandi speranze per il futuro di questo mercato. Proterra e Lordstown Motors hanno già dichiarato bancarotta e ci sono dei produttori, come Rivian e NIO, che rischiano di ritrovarcisi a loro volta a meno che non riescano a cambiare passo drasticamente nel loro business. Con una situazione difficile da affrontare nei conti dell’azienda e un interesse per i veicoli elettrici che quest’anno è diminuito rispetto allo scorso anno, tutte le società che si occupano esclusivamente di elettrico stanno soffrendo; quelle più piccole stanno addirittura scomparendo.
Una società mai decollata
La Fisker Ocean, SUV di lusso venduto come alternativa alla Model X con performance più sportive, non è mai riuscita a decollare. Fisker ha fallito il passaggio più importante per un produttore di EVs, cioè arrivare a una produzione su scala che permetta di abbassare i costi al punto da poter generare un profitto su ogni auto venduta. Gli investitori hanno iniziato a ritirare gradualmente il proprio supporto all’azienda e alla fine, inevitabilmente, si è giunti al momento della bancarotta. Pesano anche i problemi legati alla filiera di approvvigionamento mondiale, che in questo momento solo i colossi del settore stanno riuscendo a risolvere grazie alle loro filiere sparse nei diversi continenti.
Già a febbraio, in un meeting con gli azionisti, Fisker aveva pubblicamente annunciato la possibilità di non essere più in grado di proseguire con le proprie operazioni. L’azienda era poi entrata in dialoghi con le grandi case automobilistiche per trovare un accordo di vendita forzata, ma anche in questo caso non si è trovata una quadra. I dialoghi con Nissan avrebbero dovuto portare a un’iniezione di liquidità da $350 milioni: quando sono falliti, era già chiaro che Fisker avrebbe avuto i giorni contati.
Ancora più ombre sulle SPAC
Al pari di molte altre aziende che si sono quotate durante la pandemia, Fisker ha ottenuto la sua quotazione tramite SPAC fondendosi con una società già quotata che non aveva alcun business e serviva solo come veicolo per la fusione e la quotazione in Borsa. Questo tipo di operazione ha avuto un boom durante la pandemia, ma ha portato all’approdo sul Nasdaq e sul NYSE di molte aziende che poi non sono riuscite a sopravvivere alla prova del tempo: Selina, Doma Holdings, Proterra e molte altre. In totale almeno 23 aziende quotate come SPAC durante quegli anni hanno azzerato la loro capitalizzazione di Borsa, mentre in totale la perdita per gli investitori è stata di $56 miliardi.