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Fuga dalla Cina. Imprese anticipano la politica

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Chi segue le evoluzioni dei rapporti diplomatici tra occidente e Cina, si sarà imbattuto più volte in quella che è la buzzword più utilizzata in questa epopea: de-risking. Una riduzione, in altre parole, dei rischi relativi all’operatività in Cina dei più grandi gruppi industriali occidentali. Di strategie però non sembrano essercene, almeno di comuni, con le aziende che si stanno muovendo alla spicciolata. C’è il caso di Hasbro, portato come esempio dell’atteggiamento più radicale possibile, con il gruppo che abbandonerà completamente la produzione in Cina.

Altri potrebbero avere maggiori difficoltà – e la strategia prevalente sembrerebbe essere quella di isolare, per quanto possibile, le operazioni cinesi rispetto al resto delle attività, con gli impianti produttivi o di assemblaggio nella Repubblica Popolare che dovrebbero finire per servire soltanto il mercato cinese. Movimenti che non saranno semplici, che non sono per il momento strutturati ma che in molti avvertono come necessari. E i problemi potrebbero esserci anche dal lato cinese delle interlocuzioni.

L’11% delle imprese UE già fuori dal paese

Tutti via dalla Cina? No, anche se…

La Cina è sulla bocca di tutti. La crisi economica che sembrerebbe aver fiaccato la vera tigre dell’economia globale è al centro di speculazioni non solo politiche, ma anche finanziarie. Sul fronte politico la situazione non sembra potersi placare a breve, con la Commissione Europea che ha deciso di intervenire con un’indagine sui produttori di veicoli elettrici che ha già inasprito rapporti vicini al baratro della rottura. Dal lato finanziario e economico le cose si sono mosse prima, con molti dei grandi gruppi che operano in territorio cinese che vorrebbero – seguendo le indicazioni politiche, muoversi quanto prima per isolare i rischi che arrivano da una rapida involuzione dei rapporti con Pechino.

Come abbiamo visto sopra, Hasbro ha fatto da capofila, impegnandosi a abbandonare completamente la produzione in Cina. Altri però – e la lista di gruppi è particolarmente lunga – non sanno come muoversi, tenendo conto del fatto che non solo vi è incertezza politica, ma anche sulla possibilità di dirigersi altrove. L’India, che è stata proposta come alternativa possibile alla vecchia fabbrica del mondo, potrebbe essere certamente pronta a offrire alternative, per quanto però eventuali traslazioni avranno bisogno di tempo e di ulteriori investimenti. Investimenti che in una fase di costo del capitale elevato si fanno sempre più difficoltosi.

India in sostituzione, ma basterà?

Reset delle relazioni con l’Europa?

I rapporti tra Cina e Europa hanno bisogno di un reset. Non lo pensano soltanto le autorità di Pechino, ma anche quelle europee e sarà questo il tema principale dell’incontro che vedrà partecipare Valdis Dombrovskis, a capo della commissione commercio, con i pari grado di Pechino. La sensazione dei mercati però è che questi incontri potrebbero essere arrivati in realtà in ritardo, con i privati che hanno già iniziato a muoversi e con certe decisioni che hanno il carattere della reversibilità.

Al centro ci saranno discussioni che riguarderanno principalmente l’organizzazione delle supply chain su scala globale, con la Cina che teme che il momento di domanda globale fiacca possa essere utilizzata come pretesto per trasformare Pechino in un partner di serie B, con i costi di questa decisione che sarebbero più bassi che mai.

11% delle società europee già altrove. La finanza segue

Secondo un recente rapporto che è stato pubblicato dalla Camera di Commercio Europea in Cina, circa l’11% delle società europee attive nella Repubblica Popolare avrebbero già optato di spostare le produzioni altrove, con un aggiuntivo 22% che starebbe valutando mosse di questo tipo.

La finanza segue con un certo ritardo. I grandi fondi e i grandi gestori stanno riorientando la loro allocazione di capitali verso l’India e verso altri paesi emergenti, temendo che la crisi di Pechino non sia temporanea e che nasconda problemi strutturali impossibili da risolvere sul breve. Esagerazioni del mercato e dei mercanti o segnale dell’inizio della fine per la narrativa di una Cina locomotiva del mondo?

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