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Il grande abbaglio: la cantonata dei big player sulle azioni cinesi
Passerà alla storia come il grande abbaglio. Soltanto ad inizio anno una parte rilevante degli analisti e delle grandi banche d’affari brindavano al ritorno della normalità post-pandemica per Pechino, indicando target più elevati non solo dei prezzi di allora, ma anche di quelli che si sono poi effettivamente configurati sui mercati. Una grande allucinazione collettiva, anche a Wall Street, che segnala la necessità, nel mercato azionario, di valutare chi dice cosa e quanto dovrà essere ritenuto affidabile anche per il futuro.
Ne ha parlato recentemente anche Financial Times, ripercorrendo quelle che sono le tappe che hanno portato ad uno dei più grandi abbagli non solo per i trader della domenica, ma anche per le banche d’affari e per i loro specialisti di analisi, ai quali è imputabile una maggiore attendibilità nelle previsioni, almeno sulla carta.
Un errore macroscopico, commesso da (quasi) tutti
Il tema del contendere, il tema della resa dei conti a mezzo stampa che sta avvenendo ai piani alti dell’analisi tecnica e dell’analisi fondamentale in campo azionario parte da Financial Times, che sta cercando di ricostruire i passi che hanno portato ad uno dei più grandi abbagli degli ultimi anni, quello che riguarda il bullish sentiment che aveva governato scelte e analisi sul mercato azionario cinese.
Il contesto, è bene ricordarlo, è quello della fine delle stringenti misure pandemiche che avevano rallentato la manifattura cinese e creato problemi alle supply chain su scala globale. Restrizioni rimosse, tutto finito. Con i fondamentali che parlavano chiaramente di un ritorno ai ruggiti del vero leone dell’economia da più di un decennio a questa parte.
Il mondo reale, tuttavia, si preoccupa spesso di smentire previsioni e modelli, anche quando questi arrivano da soloni che in genere non sbagliano un colpo.
Il fallimento di modelli, previsioni e anticipazioni
Chi è andato long seguendo le indicazioni di banche d’affari prestigiose come Goldman Sachs oggi non è neanche vicino al raggiungimento degli obiettivi che erano stati fissati dagli analisti.
Dal picco di gennaio infatti le azioni quotate sulle piazze cinesi hanno perso il 20%, in trend non solo negativo, ma pienamente contrario a quanto avevano previsto gli esperti. E senza che questo si trasformi in un attacco populista alla struttura informativa e analitica che vive di mercati, è motivo di una seria riconsiderazione se non dell’intero sistema, quantomeno degli errori e degli orrori che questo ha commesso. E sulle accuse di populismo, sarà il caso di notare che a muovere certe critiche è in primo luogo uno dei giornali più organici a Wall Street, e cioè il Financial Times.
Cosa è andato storto?
In primo luogo le tensioni tra USA e Cina, che oltre a preoccupazioni per un eventuale conflitto a Taiwan hanno anche inasprito la guerra commerciale fatta di ban, di embarghi e restrizioni. Questo per quanto attiene al mondo dell’imprevedibile e dell’imperscrutabile.
Per quanto riguarda invece quanto era forse sotto gli occhi di tutti e pronto a corroborare più convincenti analisi c’è tutto quello che abbiamo incluso in una nostra recente analisi, e che spazia dalla disoccupazione giovanile alla crisi del settore immobiliare, che da solo vale, secondo gli stessi dati utilizzati dalle banche d’affari, fino a 1/5 dell’intero prodotto interno lordo cinese.
Abbagli? Voglia di guardare da un’altra parte? Il dibattito è aperto. E c’è già chi, fortunatamente, si ricorda della necessità di valutare per conto proprio cosa inserire in portafoglio, senza curarsi eccessivamente dei target che vengono diffusi dai big player del comparto.