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India: primo posto per la crescita del PIL per il 2023

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L'economia indiana crescerà a un ritmo solido per il resto di questo anno fiscale e il prossimo

L’economia indiana crescerà a un ritmo solido per il resto di questo anno fiscale e il prossimo, ma ben al di sotto del suo tasso potenziale. Secondo un sondaggio svolto da un team di economisti Reuters, è stato affermato che la situazione occupazionale migliorerà solo leggermente.

Il paese più popoloso del mondo aspira a raggiungere lo status di nazione sviluppata, cavalcando un dividendo demografico senza precedenti, che richiede un tasso di crescita annuale del prodotto interno lordo (PIL) di circa l’8% per i prossimi 25 anni. Ma il raggiungimento di questo traguardo dipende dall’attuazione di riforme chiave in materia di istruzione, infrastrutture, assistenza sanitaria e tecnologia.

L'economia indiana crescerà a un ritmo solido per il resto di questo anno fiscale e il prossimo
L’economia indiana crescerà a un ritmo solido per il resto di questo anno fiscale e il prossimo

I dettagli delle previsioni economiche presentate nel sondaggio

L’economista di ANZ Research, Dhiraj Nim, ha affermato che se il suo paese vuole realizzare quel potenziale di crescita dell’8% per questo decennio, la sfida più grande che i responsabili politici devono affrontare è riallocare il lavoro in eccesso dall’agricoltura a settori più produttivi con posti di lavoro remunerativi. Aggiungendo che se lo slancio riformista dell’India risulterà poco brillante, si profila un quadro meno entusiasmante.

L’ultimo sondaggio Reuters di 53 economisti condotto tra il 13 e il 21 luglio ha mostrato che l’economia indiana crescerà del 6,1% quest’anno fiscale, un tasso rispettabile quando si prevede che le altre principali economie rallentino, mantenendo un ambiente favorevole alla creazione di nuovi posti di lavoro. Si prevedeva una crescita del 6,5% nel prossimo anno fiscale, con aspettative di crescita del 6,2% in questo trimestre, seguite dal 6,0% e dal 5,5%. Le prospettive sono rimaste sostanzialmente invariate rispetto a un sondaggio di giugno. L’economista di ANZ Research, Dhiraj Nim, ha rassicurato che dal 6,0% al 6,5% sia una previsione molto realizzabile e molto prudente per la traiettoria di crescita dell’India.

Il presidente della Banca mondiale Ajay Banga ha recentemente affermato che la chiave della storia della crescita dell’India è attraverso più posti di lavoro, delineando l’opportunità di incassare la strategia “China Plus One”, uno schema adottato da molte aziende per costruire unità produttive al di fuori della Repubblica Popolare Cinese.

Il reddito pro capite dell’India è attualmente stimato a $ 2.500, mentre deve essere superiore a $ 21.664 entro il 2047, secondo gli standard della Banca mondiale, per essere classificato come un paese ad alto reddito. Per raggiungere quel livello di crescita sostenuta, l’India richiede investimenti in capitale fisico e riforme in tutti i settori che coprono l’istruzione, le infrastrutture, la sanità e la tecnologia. Il settore industriale e dei servizi del paese dovrebbe crescere di oltre il 13% annuo per questi 25 anni affinché l’India raggiunga lo status di economia sviluppata.

L'economia indiana risulta ancora troppo legata al settore primario
L’economia indiana risulta ancora troppo legata al settore primario

Domanda e offerta nel mercato del lavoro indiano

Alla domanda su come cambierà la situazione occupazionale nel corso del prossimo anno, 17 economisti su 25 hanno affermato che migliorerà leggermente. Radhika Piplani, capo economista di DAM Capital Advisors, ha affermato che la situazione relativa alla disoccupazione non è ancora migliorata e in una certa misura mancano anche le competenze. Quindi, c’è un divario in termini di domanda rispetto all’offerta. Soprattutto perché il mercato del lavoro necessita di una manodopera più qualificata che si fatica ancora a trovare nel paese. 

Alla domanda sull’impatto che lo schema PLI (Production-Linked Incentive), progettato per attrarre i produttori stranieri a creare stabilimenti in India, avrebbe sul PIL del paese quest’anno fiscale, 21 economisti su 27 hanno affermato che lo aumenterà solo modestamente. I restanti sei hanno affermato che il regime PLI, che ha stanziato miliardi di rupie come incentivi dal bilancio dell’Unione nel 2023-24, non avrà alcun impatto. L’economista Piplani ha riferito che tutti i settori in cui è stato avviato il PLI sono in forte espansione, ma l’effettivo impatto di esso sull’occupazione sul campo è ancora qualcosa che deve essere rilevato.

Mentre l’India ha molto più terreno da percorrere per sostituire la Cina come hub manifatturiero mondiale, alcuni economisti hanno riconosciuto che lo schema PLI è stato un passo nella giusta direzione. Altre riforme economiche potrebbero rafforzare le prospettive del programma e creare milioni di posti di lavoro, hanno aggiunto gli economisti che hanno redatto il sondaggio. E Suman Chowdhury, capo economista di Acuite Ratings and Research, ha affermato che la produzione industriale ha bisogno di vedere una forte crescita e ciò è possibile solo quando verranno risolti i problemi che impediscono di attrarre nuovi investimenti nel settore.

Dopo aver concluso il doppio titolo di laurea magistrale in Relazioni Internazionali tra l'Università di Torino e la Tongji University di Shanghai, ha lavorato in Portogallo nell'ambito della gestione social per le aziende. Nella collaborazione con Tradingonline.com ha trovato il giusto connubio tra i suoi interessi verso la Green economy e la gestione delle materie prime a livello internazionale, insieme al suo stile di vita da nomade digitale.

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FOMC: CROLLO per mercati. NASDAQ e SPX500 in rosso. Bitcoin perde il 5%

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CROLLO MERCATI FOMC

Il FOMC non porta delle buone nuove. Scontato il taglio ai tassi di 25 punti base, a gettare nel pieno sconforto tutti i principali indici USA sono in realtà le previsioni sui tagli per il 2025 e le proiezioni sull’inflazione. In breve: FOMC prevede tagli per soli 50 punti base per il 2025, cosa che dovrebbe far rimanere la politica monetaria degli USA in territorio restrittivo, senza che arrivi quel fiume di liquidità che, almeno sul breve periodo, è linfa vitale per i mercati risk on.

Pagano tutti gli indici azionari, così come paga il mercato delle criptovalute, seppur Bitcoin riesca a tenere i 100.000$, segnale di un momento di forza straordinaria per l’asset che è stato il vero Trump trade di questo ciclo. Ad ogni modo di proiezioni interessanti che sono venute fuori dal FOMC ce ne sono tante, e andranno almeno a nostro avviso analizzate anche sul medio e lungo periodo. Non tutto è probabilmente perduto – e anzi, siamo in una situazione che sei mesi fa sarebbe stata forse impensabile, in positivo.

Meno tagli e non solo a causa della persistente inflazione

Jerome Powell è contento del mercato del lavoro e dell’andamento dell’economia, ed è meno contento della velocità con la quale l’inflazione sta cercando di tornare verso il target del 2%. Nessuna sorpresa neanche qui: la situazione è più che evidente anche dando uno sguardo molto superficiale agli ultimi dati. Ed era altrettanto scontato aspettarsi un FOMC con un dot plot molto meno ripido – cosa che indica per l’appunto che il cammino verso tassi più bassi sarà… come quello dell’inflazione, ovvero più lento del previsto.

Cose che i mercati, smaniosi di reagire sul brevissimo periodo, sembrano aver dimenticato. Così come sembrerebbero aver dimenticato quanto fallaci siano certe previsioni del FOMC. Previsioni che storicamente sono una fotografia del presente, un se rimaniamo così, allora faremo questo, più che uno strumento preciso di quanto avverrà in futuro. Per chi non dovesse ancora crederci, basterà andarsi a guardare il dot plot e relative previsioni dello scorso novembre.

E, chiudiamo così, le previsioni non sono neanche così pessime: PIL che tiene, disoccupazione che non supererà il 5% nel peggiore dei casi e inflazione comunque al 2% nel 2026. Qualche settimana fa in tanti avrebbero dato tutto per trovarsi in una situazione del genere.

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Tassi: Fed decide il 18 dicembre. BCE più aggressiva. Boom per le surroghe mutui

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FED BCE SURROGA

Anche questa parte finale del 2024 è dominata dalla discussione sui tassi di interesse, tanto in Europa – con BCE che sta correndo più di Fed – sia negli Stati Uniti, con l’ultima decisione dell’anno che sarà presa mercoledì 18 dicembre alle 20:00 ora italiana. Una questione che interessa i mercati finanziari, ma anche le famiglie e i privati, che dal taglio ai tassi possono ricavare rate del mutuo meno esose. I tagli di BCE, piuttosto aggressivi, hanno già innescato una corsa alla surroga.

I privati europei dovranno tenere d’occhio anche i movimenti di Federal Reserve? Oppure le due politiche monetaria sono ormai completamente separate? La storia più recente sembrerebbe far propendere per questa seconda interpretazione: BCE si è mossa prima e in completa autonomia, complice anche una situazione molto diversa – a livello macro – tra i due blocchi. Gli scenari però potrebbero cambiare molto rapidamente – e sarà appunto questa la principale preoccupazione tanto dei mercati quanto dei privati in ottica mutui.

Corsa ai tagli anche per Federal Reserve?

Forse è eccessivo parlare di corsa. Il 18 dicembre la riunione del FOMC deciderà quasi certamente per tagliare di altri 25 punti base, ripetendo la decisione che era stata presa a novembre. La grande incognita gravita però sul 2025: Jerome Powell ha più volte affermato, forte di dati che raccontano di un’economia USA piuttosto resiliente, che non ci sarà motivo di correre, a meno di dati che indichino il contrario.

Il 2025 si aprirà dunque come si era chiuso il 2024: con una Federal Reserve che sarà data driven e dunque aspetterà meeting per meeting per decidere come muoversi.

La grande incognita per il momento rimane quella dei tassi neutrali: nessuno sa – anche scientificamente – dove siano, in particolare per questo ciclo – e il rischio è quello di farsi ingannare dal lag tipico tra decisioni e risposte da parte dell’economia.

La situazione invece in Europa è diversa: comandano già la preoccupazione per un’economia che è in aperta sofferenza e l’assenza invece totale di preoccupazioni per un ritorno dell’inflazione, con l’aiuto che arriva anche da difficoltà della domanda interna. In queste condizioni è molto più probabile che anche per il 2025 la Banca Centrale Europea si mostri più reattiva rispetto a Fed, fosse anche soltanto per le differenze importanti in termini di condizioni economiche.

Surroga ora o più tardi?

Con ogni probabilità il 2025 sarà l’anno di un ritorno tanto veloce verso tassi più bassi tanto più sarà problematica la situazione dell’economia europea.

Difficile, se non impossibile, fermarsi qui. Lagarde ha confermato di essere ancora in territorio restrittivo. E almeno ad avviso di chi vi scrive, è impossibile pensare che si rimanga ancora a lungo in questo territorio, soprattutto con un’economia in grande sofferenza.

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Mercoledì i dati sull’inflazione USA: Fed con la bocca chiusa fino al FOMC del 18 dicembre

FOMC alle porte, mercoledì i dati sull’inflazione. Sarà una settimana dedicata alla politica monetaria degli Stati Uniti.

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FOMC analisi

Nessuno dei membri di Federal Reserve potrà parlare con la stampa: comincia infatti la settimana di microfoni chiusi prima del FOMC. Un FOMC che sarà condizionato, nella decisione tagli si / tagli no da un importante dato che arriverà mercoledì alle 14:30 ora italiana. È il dato sull’inflazione, che dovrebbe contribuire a far capire che tipo di direzione prenderà la politica monetaria negli Stati Uniti. Tutto questo in una settimana che si aprirà anche con i dati sull’inflazione cinese (che sta vivendo un problema opposto, ovvero quello di un’inflazione troppo bassa) e di dati interessanti dal Giappone.

Per i trader del Forex e anche quelli azionari potrebbero esserci numeri interessanti e una volatilità spiccata proprio in occasione dei dati. Per ora il consenso per l’inflazione classica è al 2,7%, leggermente in rialzo rispetto alla lettura di novembre per ottobre. E una Core ferma al 3,3%. Una situazione forse non ideale, ma che non dovrebbe avere un grosso impatto sulla decisione di Fed: altri 25 punti base di taglio farebbero comunque rimanere i tassi in territorio restrittivo, permettendo a Fed di non rimanere indietro rispetto al ciclo.

Occhi puntati sull’inflazione

Gli occhi sono puntati sull’inflazione, per quanto la questione prezzi sia passata in secondo piano almeno durante le ultime uscite di Jerome Powell. A preoccupare ora è la possibilità che ci si avvicini a una recessione. Il mercato del lavoro tuttavia sta tenendo, così come l’inflazione, non senza qualche difficoltà, sta cercando di tornare verso il target del 2%. Per ora si è fondamentalmente in linea con le previsioni più rosee da parte di analisti e anche delle proiezioni di Federal Reserve.

Jerome Powell ha affermato recentemente di trovarsi in una condizione che non gli impone di correre per il taglio dei tassi. Un riferimento però questo più al ritmo dei futuri tagli che invece alla decisione del 18 dicembre. I mercati si aspettano dei tagli, e a meno di clamorose sorprese da parte dell’inflazione, non dovrebbero esserci questioni. Da qui a mercoledì però i mercati cercheranno di anticipare un dato che ancora non conosce nessuno. È sempre consigliata la massima attenzione.

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Disoccupazione ok e parole di Austen Golsbee aiutano i mercati: NASDAQ +0,80%

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Lavoro bullish

Disoccupazione ancora sotto controllo negli USA, con un lieve aumento che fissa il dato relativo a novembre a 4,2%, in linea con le previsioni più pessimiste ma comunque non molto distante dal dato precedente, al 4,1%. Per quanto ci sia un peggioramento, siamo davanti ad una situazione tutto sommato tranquilla, che i mercati risk on hanno apprezzato, probabilmente giudicandola come la migliore delle possibilità effettivamente sul tavolo. Un soft landing è possibile, anzi più possibile per ogni dato che arriva e non lascia presagire disastri. Tutto questo mentre i mercati si godono anche un aumento, importante, delle possibilità di taglio per i tassi di dicembre, con la riunione del FOMC che procederà (così prezzano in mercati) con un taglio di 25 punti base.

Nel frattempo, a poca distanza dalla pubblicazione dei dati, è intervenuto anche Austan Goolsbee – Federal Reserve di Chicago – che ha espresso il desiderio di vedere Fed ai tassi di interesse neutrali entro la fine del prossimo anno. Non per imporre un ritmo ai tagli, ma piuttosto per raffigurare quale sarà la migliore delle soluzioni possibili: un mercato del lavoro che tiene, un’economia che non affronta periodi di grande difficoltà e un ritorno mansueto a tassi neutrali che però – secondo gli intendimenti di Fed, dovrebbero essere più alti del precedente ciclo.

Niente disastro sul lavoro: lattina ancora calciata in avanti

La preoccupazione principale dei mercati era quella di vedere un dato peggiore per quanto riguarda la disoccupazione e anche i non farm payrolls, dato che registra la creazione di nuovi posti di lavoro da parte dell’industria non agraria. Dati che invece sono stati positivi e che raccontano di un mercato del lavoro lentamente verso il cammino della normalità, non più surriscaldato (cosa di cui si è lamentato lo stesso Powell per mesi) e tutto sommato in salute.

Da qui al 18 dicembre – data in cui dovrà decidere il FOMC sui tassi – ci saranno altri dati importanti. Per ora però i mercati si godono un ritorno all’80% delle probabilità di taglio, almeno secondo quanto hanno prezzato i futures sui tassi. Una situazione ideale, che combacia anche con la storicamente ricorrente luna di miele post-elezioni.

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Donald Trump minaccia i BRICS: pronti dazi del 100% se attaccheranno il dollaro

Donald Trump torna su dazi e minaccia di nuovo i BRICS. Niente accesso agli USA se…

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Dazi Trump BRICS

Continuano le discussioni sui dazi negli Stati Uniti, dazi che dovranno arrivare – almeno secondo programmi – dopo il giuramento del futuro presidente Donald Trump, il prossimo 20 gennaio. Dazi che hanno già fatto discutere per quanto riguarda gli alleati storici degli Stati Uniti e che però potrebbero farsi molto più seri nei confronti dei BRICS, o meglio, dei paesi che amano maggiormente un consesso di paesi non allineati e del quale si parla con sempre maggiore insistenza. Secondo quanto affermato da Donald Trump direttamente sul social Truth, il governo USA potrà imporre dazi del 100% sui paesi BRICS che proveranno a attaccare il dollaro USA.

Secondo quanto è stato riportato da Yahoo Finance, il messaggio sarebbe stato indirizzato a tutti i principali membri dei BRICS, tra i quali figurano non solo la Russia, ma anche Brasile, India, Cina, Iran, Emirati, Egitto e Etiopia. Un consesso che presto potrebbe allargarsi e che potrebbe vedere anche l’ingresso di un alleato storico, ovvero la Repubblica di Turchia. Non è chiaro però a quali manovre per minare la supremazia del dollaro faccia riferimento Donald Trump.

Una questione emersa già in campagna elettorale

Una difesa del dollaro – costi quel che costi – era già venuta fuori durante la campagna elettorale che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca. Questa volta però ha preso la forma di un avviso a mezzo social, che afferma che se BRICS cercherà di creare una valuta o di supportarne altre per rimpiazzare il dollaro, si vedranno negare l’accesso ai mercati USA, con dazi del 100%.

La questione è di massimo interesse politico, dato che recentemente anche Vladimir Putin si era espresso sul tema, dicendo che l’interesse nella ricerca di alternative era dettato principalmente dal controllo politico della valuta che è ad oggi ancora riserva mondiale e – soprattutto – anima principale del commercio su scala internazionale.

Trump si è dimostrato comunque in più occasioni piuttosto convinto della capacità del dollaro di preservare il suo primato. E, a quanto parrebbe dopo il post di oggi, sarebbe pronto a qualunque cosa (o quasi) affinché tale minaccia non prenda forma.

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