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Isole Cayman cercano soluzioni legali dopo il crollo di SVB

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La Cayman Islands Monetary Authority (CIMA), il principale regolatore dei servizi finanziari delle Isole Cayman che gestisce la valuta dell’arcipelago, regola e supervisiona i servizi finanziari, fornisce assistenza alle autorità di regolamentazione estere e consulenza al governo, ha annunciato di star esplorando le diverse opzioni legali a seguito del crollo di Silicon Valley Bank, la banca regionale statunitense che è fallita lo scorso marzo. È quanto è stato riportato mercoledì 24 maggio dal Wall Street Journal, il noto quotidiano internazionale pubblicato a New York, che ha citato un funzionario governativo.

Il sequestro dei depositi di SVB da parte della Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), la società governativa degli Stati Uniti che fornisce assicurazione sui depositi ai depositanti delle banche commerciali e delle casse di risparmio statunitensi, infatti, includevano anche i depositi detenuti presso la filiale di Silicon Valley Bank nel territorio delle Isole Cayman.

immagine di presentazione della notizia sulle azioni legali della CIMA per il sequestro dei depositi di SVB
Il regolatore delle Isole Cayman cerca di aiutare i depositanti colpiti dal sequestro dei depositi della filiale di Silicon Valley Bank nel territorio dell’arcipelago

Il sequestro dei depositi scuote l’arcipelago

Il ministro dei servizi finanziari e del commercio delle Isole Cayman, André Ebanks, ha incontrato alcuni dei depositanti di SVB la scorsa settimana a Hong Kong e ha riferito loro che il regolatore finanziario CIMA ha incaricato avvocati ed è alla ricerca di modi per aiutarli, secondo quanto riportato nell’articolo, che cita partecipanti alla riunione.

La CIMA non ha risposto immediatamente a una richiesta di commento.

I regolatori della California hanno chiuso Silicon Valley Bank a marzo e First Citizens Bancshares Inc., la holding bancaria con sede a Raleigh, nella Carolina del Nord, attraverso la sua filiale principale First Citizens Bank, ha acquistato la banca con l’aiuto della FDIC in un accordo che ha prosciugato 20 miliardi di dollari da un fondo assicurativo finanziato dalle banche e gestito dal governo.

Le azioni legali dell’autorità monetaria delle Isole Cayman prendono forma

Situazione economica delle Isole Cayman

Le Isole Cayman sono un centro finanziario internazionale noto per i fondi di investimento, il settore bancario, l’assicurazione e altri servizi finanziari regolamentati secondo gli standard globali. Il successo dei servizi finanziari delle Cayman è attribuito al loro solido regime normativo, alla stabilità politica ed economica e alla piattaforma fiscale neutrale, supportata da fornitori di servizi altamente qualificati ed esperti. Le principali industrie sono i servizi finanziari, il turismo e le vendite e lo sviluppo immobiliare.

Secondo gli ultimi dati ufficiali sull’economia dell’arcipelago pubblicati il mese scorso, nel 2019, il prodotto interno lordo (PIL) delle Isole Cayman è stimato essere cresciuto del 3,1%. L’industria della costruzione è rimasta solida, con un’espansione del 6,1% dell’attività economica nel settore. Il settore alberghiero e della ristorazione ha beneficiato di un numero record di arrivi di visitatori, con un aumento del 8,5% rispetto al 2018, registrando un’espansione del 5,3% nell’anno. L’aumento della crescita economica ha portato a un aumento della forza lavoro, con un tasso di disoccupazione del 3,5%.

Le operazioni fiscali del governo centrale hanno registrato un surplus di 102,1 milioni di dollari nel 2019, grazie a una crescita del 3,6% delle entrate totali, che ha superato le spese totali. Tuttavia, a causa delle significative interruzioni agli arrivi dei turisti e delle restrizioni politiche per ridurre la diffusione del COVID-19, si prevede che l’economia delle Isole Cayman si contrarrà tra l’11,4% e il 12,2% nel 2020. L’implementazione di misure di stimolo economico è prevista per favorire la ripresa economica, l’occupazione e la crescita economica, con una contrazione stimata del 7,3% nel 2020.

Le Isole Cayman non hanno tasse dirette come l’imposta sul reddito, l’imposta sulle società, l’imposta sulle successioni, sulle plusvalenze o sulle donazioni. Non ci sono tasse o imposte sulla proprietà e il possesso di terreni è aperto ai non residenti. Tuttavia, vi è un’imposta di bollo del 7,5% sulla vendita di immobili, con tariffe ridotte per i cittadini delle Cayman. La valuta delle Isole Cayman è la stessa del dollaro americano e circola insieme ad esso.

immagine di pesci in acqua alle Isole Cayman
Il turismo è comunemente definito uno dei due pilastri dell’economia delle Isole Cayman, che si basa principalmente anche sulla finanza.

Il costo della vita nelle Isole Cayman è generalmente più elevato rispetto agli Stati Uniti o al Regno Unito, a causa dell’importazione di beni che devono sostenere il costo del trasporto, dell’assicurazione e dei dazi doganali. Tuttavia, l’assenza di imposte sul reddito e sulla proprietà compensa in parte questo costo. Gli affitti mensili nelle zone di pregio sono più alti rispetto a proprietà comparabili negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Il costo della benzina è inferiore rispetto al Regno Unito, ma più alto rispetto agli Stati Uniti. Anche i costi dell’elettricità e dell’acqua possono essere più elevati rispetto a quelli cui sono abituati i residenti del Regno Unito o degli Stati Uniti.

Con un forte interesse per i fondamentali delle società e le notizie interne, è una persona curiosa e versatile che cerca di approfondire le sue conoscenze e rimanere sempre aggiornata leggendo report trimestrali.

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FOMC: CROLLO per mercati. NASDAQ e SPX500 in rosso. Bitcoin perde il 5%

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CROLLO MERCATI FOMC

Il FOMC non porta delle buone nuove. Scontato il taglio ai tassi di 25 punti base, a gettare nel pieno sconforto tutti i principali indici USA sono in realtà le previsioni sui tagli per il 2025 e le proiezioni sull’inflazione. In breve: FOMC prevede tagli per soli 50 punti base per il 2025, cosa che dovrebbe far rimanere la politica monetaria degli USA in territorio restrittivo, senza che arrivi quel fiume di liquidità che, almeno sul breve periodo, è linfa vitale per i mercati risk on.

Pagano tutti gli indici azionari, così come paga il mercato delle criptovalute, seppur Bitcoin riesca a tenere i 100.000$, segnale di un momento di forza straordinaria per l’asset che è stato il vero Trump trade di questo ciclo. Ad ogni modo di proiezioni interessanti che sono venute fuori dal FOMC ce ne sono tante, e andranno almeno a nostro avviso analizzate anche sul medio e lungo periodo. Non tutto è probabilmente perduto – e anzi, siamo in una situazione che sei mesi fa sarebbe stata forse impensabile, in positivo.

Meno tagli e non solo a causa della persistente inflazione

Jerome Powell è contento del mercato del lavoro e dell’andamento dell’economia, ed è meno contento della velocità con la quale l’inflazione sta cercando di tornare verso il target del 2%. Nessuna sorpresa neanche qui: la situazione è più che evidente anche dando uno sguardo molto superficiale agli ultimi dati. Ed era altrettanto scontato aspettarsi un FOMC con un dot plot molto meno ripido – cosa che indica per l’appunto che il cammino verso tassi più bassi sarà… come quello dell’inflazione, ovvero più lento del previsto.

Cose che i mercati, smaniosi di reagire sul brevissimo periodo, sembrano aver dimenticato. Così come sembrerebbero aver dimenticato quanto fallaci siano certe previsioni del FOMC. Previsioni che storicamente sono una fotografia del presente, un se rimaniamo così, allora faremo questo, più che uno strumento preciso di quanto avverrà in futuro. Per chi non dovesse ancora crederci, basterà andarsi a guardare il dot plot e relative previsioni dello scorso novembre.

E, chiudiamo così, le previsioni non sono neanche così pessime: PIL che tiene, disoccupazione che non supererà il 5% nel peggiore dei casi e inflazione comunque al 2% nel 2026. Qualche settimana fa in tanti avrebbero dato tutto per trovarsi in una situazione del genere.

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Tassi: Fed decide il 18 dicembre. BCE più aggressiva. Boom per le surroghe mutui

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FED BCE SURROGA

Anche questa parte finale del 2024 è dominata dalla discussione sui tassi di interesse, tanto in Europa – con BCE che sta correndo più di Fed – sia negli Stati Uniti, con l’ultima decisione dell’anno che sarà presa mercoledì 18 dicembre alle 20:00 ora italiana. Una questione che interessa i mercati finanziari, ma anche le famiglie e i privati, che dal taglio ai tassi possono ricavare rate del mutuo meno esose. I tagli di BCE, piuttosto aggressivi, hanno già innescato una corsa alla surroga.

I privati europei dovranno tenere d’occhio anche i movimenti di Federal Reserve? Oppure le due politiche monetaria sono ormai completamente separate? La storia più recente sembrerebbe far propendere per questa seconda interpretazione: BCE si è mossa prima e in completa autonomia, complice anche una situazione molto diversa – a livello macro – tra i due blocchi. Gli scenari però potrebbero cambiare molto rapidamente – e sarà appunto questa la principale preoccupazione tanto dei mercati quanto dei privati in ottica mutui.

Corsa ai tagli anche per Federal Reserve?

Forse è eccessivo parlare di corsa. Il 18 dicembre la riunione del FOMC deciderà quasi certamente per tagliare di altri 25 punti base, ripetendo la decisione che era stata presa a novembre. La grande incognita gravita però sul 2025: Jerome Powell ha più volte affermato, forte di dati che raccontano di un’economia USA piuttosto resiliente, che non ci sarà motivo di correre, a meno di dati che indichino il contrario.

Il 2025 si aprirà dunque come si era chiuso il 2024: con una Federal Reserve che sarà data driven e dunque aspetterà meeting per meeting per decidere come muoversi.

La grande incognita per il momento rimane quella dei tassi neutrali: nessuno sa – anche scientificamente – dove siano, in particolare per questo ciclo – e il rischio è quello di farsi ingannare dal lag tipico tra decisioni e risposte da parte dell’economia.

La situazione invece in Europa è diversa: comandano già la preoccupazione per un’economia che è in aperta sofferenza e l’assenza invece totale di preoccupazioni per un ritorno dell’inflazione, con l’aiuto che arriva anche da difficoltà della domanda interna. In queste condizioni è molto più probabile che anche per il 2025 la Banca Centrale Europea si mostri più reattiva rispetto a Fed, fosse anche soltanto per le differenze importanti in termini di condizioni economiche.

Surroga ora o più tardi?

Con ogni probabilità il 2025 sarà l’anno di un ritorno tanto veloce verso tassi più bassi tanto più sarà problematica la situazione dell’economia europea.

Difficile, se non impossibile, fermarsi qui. Lagarde ha confermato di essere ancora in territorio restrittivo. E almeno ad avviso di chi vi scrive, è impossibile pensare che si rimanga ancora a lungo in questo territorio, soprattutto con un’economia in grande sofferenza.

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Mercoledì i dati sull’inflazione USA: Fed con la bocca chiusa fino al FOMC del 18 dicembre

FOMC alle porte, mercoledì i dati sull’inflazione. Sarà una settimana dedicata alla politica monetaria degli Stati Uniti.

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FOMC analisi

Nessuno dei membri di Federal Reserve potrà parlare con la stampa: comincia infatti la settimana di microfoni chiusi prima del FOMC. Un FOMC che sarà condizionato, nella decisione tagli si / tagli no da un importante dato che arriverà mercoledì alle 14:30 ora italiana. È il dato sull’inflazione, che dovrebbe contribuire a far capire che tipo di direzione prenderà la politica monetaria negli Stati Uniti. Tutto questo in una settimana che si aprirà anche con i dati sull’inflazione cinese (che sta vivendo un problema opposto, ovvero quello di un’inflazione troppo bassa) e di dati interessanti dal Giappone.

Per i trader del Forex e anche quelli azionari potrebbero esserci numeri interessanti e una volatilità spiccata proprio in occasione dei dati. Per ora il consenso per l’inflazione classica è al 2,7%, leggermente in rialzo rispetto alla lettura di novembre per ottobre. E una Core ferma al 3,3%. Una situazione forse non ideale, ma che non dovrebbe avere un grosso impatto sulla decisione di Fed: altri 25 punti base di taglio farebbero comunque rimanere i tassi in territorio restrittivo, permettendo a Fed di non rimanere indietro rispetto al ciclo.

Occhi puntati sull’inflazione

Gli occhi sono puntati sull’inflazione, per quanto la questione prezzi sia passata in secondo piano almeno durante le ultime uscite di Jerome Powell. A preoccupare ora è la possibilità che ci si avvicini a una recessione. Il mercato del lavoro tuttavia sta tenendo, così come l’inflazione, non senza qualche difficoltà, sta cercando di tornare verso il target del 2%. Per ora si è fondamentalmente in linea con le previsioni più rosee da parte di analisti e anche delle proiezioni di Federal Reserve.

Jerome Powell ha affermato recentemente di trovarsi in una condizione che non gli impone di correre per il taglio dei tassi. Un riferimento però questo più al ritmo dei futuri tagli che invece alla decisione del 18 dicembre. I mercati si aspettano dei tagli, e a meno di clamorose sorprese da parte dell’inflazione, non dovrebbero esserci questioni. Da qui a mercoledì però i mercati cercheranno di anticipare un dato che ancora non conosce nessuno. È sempre consigliata la massima attenzione.

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Disoccupazione ok e parole di Austen Golsbee aiutano i mercati: NASDAQ +0,80%

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Lavoro bullish

Disoccupazione ancora sotto controllo negli USA, con un lieve aumento che fissa il dato relativo a novembre a 4,2%, in linea con le previsioni più pessimiste ma comunque non molto distante dal dato precedente, al 4,1%. Per quanto ci sia un peggioramento, siamo davanti ad una situazione tutto sommato tranquilla, che i mercati risk on hanno apprezzato, probabilmente giudicandola come la migliore delle possibilità effettivamente sul tavolo. Un soft landing è possibile, anzi più possibile per ogni dato che arriva e non lascia presagire disastri. Tutto questo mentre i mercati si godono anche un aumento, importante, delle possibilità di taglio per i tassi di dicembre, con la riunione del FOMC che procederà (così prezzano in mercati) con un taglio di 25 punti base.

Nel frattempo, a poca distanza dalla pubblicazione dei dati, è intervenuto anche Austan Goolsbee – Federal Reserve di Chicago – che ha espresso il desiderio di vedere Fed ai tassi di interesse neutrali entro la fine del prossimo anno. Non per imporre un ritmo ai tagli, ma piuttosto per raffigurare quale sarà la migliore delle soluzioni possibili: un mercato del lavoro che tiene, un’economia che non affronta periodi di grande difficoltà e un ritorno mansueto a tassi neutrali che però – secondo gli intendimenti di Fed, dovrebbero essere più alti del precedente ciclo.

Niente disastro sul lavoro: lattina ancora calciata in avanti

La preoccupazione principale dei mercati era quella di vedere un dato peggiore per quanto riguarda la disoccupazione e anche i non farm payrolls, dato che registra la creazione di nuovi posti di lavoro da parte dell’industria non agraria. Dati che invece sono stati positivi e che raccontano di un mercato del lavoro lentamente verso il cammino della normalità, non più surriscaldato (cosa di cui si è lamentato lo stesso Powell per mesi) e tutto sommato in salute.

Da qui al 18 dicembre – data in cui dovrà decidere il FOMC sui tassi – ci saranno altri dati importanti. Per ora però i mercati si godono un ritorno all’80% delle probabilità di taglio, almeno secondo quanto hanno prezzato i futures sui tassi. Una situazione ideale, che combacia anche con la storicamente ricorrente luna di miele post-elezioni.

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Donald Trump minaccia i BRICS: pronti dazi del 100% se attaccheranno il dollaro

Donald Trump torna su dazi e minaccia di nuovo i BRICS. Niente accesso agli USA se…

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Dazi Trump BRICS

Continuano le discussioni sui dazi negli Stati Uniti, dazi che dovranno arrivare – almeno secondo programmi – dopo il giuramento del futuro presidente Donald Trump, il prossimo 20 gennaio. Dazi che hanno già fatto discutere per quanto riguarda gli alleati storici degli Stati Uniti e che però potrebbero farsi molto più seri nei confronti dei BRICS, o meglio, dei paesi che amano maggiormente un consesso di paesi non allineati e del quale si parla con sempre maggiore insistenza. Secondo quanto affermato da Donald Trump direttamente sul social Truth, il governo USA potrà imporre dazi del 100% sui paesi BRICS che proveranno a attaccare il dollaro USA.

Secondo quanto è stato riportato da Yahoo Finance, il messaggio sarebbe stato indirizzato a tutti i principali membri dei BRICS, tra i quali figurano non solo la Russia, ma anche Brasile, India, Cina, Iran, Emirati, Egitto e Etiopia. Un consesso che presto potrebbe allargarsi e che potrebbe vedere anche l’ingresso di un alleato storico, ovvero la Repubblica di Turchia. Non è chiaro però a quali manovre per minare la supremazia del dollaro faccia riferimento Donald Trump.

Una questione emersa già in campagna elettorale

Una difesa del dollaro – costi quel che costi – era già venuta fuori durante la campagna elettorale che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca. Questa volta però ha preso la forma di un avviso a mezzo social, che afferma che se BRICS cercherà di creare una valuta o di supportarne altre per rimpiazzare il dollaro, si vedranno negare l’accesso ai mercati USA, con dazi del 100%.

La questione è di massimo interesse politico, dato che recentemente anche Vladimir Putin si era espresso sul tema, dicendo che l’interesse nella ricerca di alternative era dettato principalmente dal controllo politico della valuta che è ad oggi ancora riserva mondiale e – soprattutto – anima principale del commercio su scala internazionale.

Trump si è dimostrato comunque in più occasioni piuttosto convinto della capacità del dollaro di preservare il suo primato. E, a quanto parrebbe dopo il post di oggi, sarebbe pronto a qualunque cosa (o quasi) affinché tale minaccia non prenda forma.

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