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Javier Milei: domenica parte la missione impossibile

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Domenica 10 dicembre Javier Milei diventerà ufficialmente il nuovo Presidente dell’Argentina. Dopo una vittoria elettorale netta, ora si inizia a fare sul serio. Sulla poltrona più importante di Buenos Aires andrà a sedersi un personaggio con un impianto ideologico radicalmente diverso da quello che ha dominato l’Argentina per decenni. Per quanto si tratti di un’economia relativamente periferica, gli occhi di analisti, investitori e anche grandi giornali sono tutti puntati su Milei.

In ballo c’è tanto: non solo il futuro economico (e già compromesso, per l’ennesima volta) dell’Argentina, ma anche l’esito di quella lotta tra destra e sinistra, che per qualcuno è tra bene e male, in Sud America. A seconda degli intendimenti individuale, c’è chi è disposto a chiudere un occhio sul Venezuela di Maduro, chi è disposto a chiuderlo sul Brasile che fu di Bolsonaro e chi ora guarda invece all’esperimento di Milei come la cosa più interessante accaduta nel continente da molto tempo a questa parte. La questione più concreta riguarderà però il tentativo di recupero per un’economia che, secondo qualunque tipo di fondamentale, appare come irrimediabilmente compromessa.

CC – La Libertad Avanza

A Javier Milei servirà un miracolo

Partiamo dal concreto: a Javier Milei servirà un autentico miracolo. Il bilancio è sconquassato, la spesa pubblica molto al di sopra di quello che l’Argentina può permettersi, la presenza dello stato nell’economia raddoppiata nel giro degli ultimi 20 anni, l’impiego pubblico è cresciuto del 34% nel giro di 10 anni, a fronte di un ben più modesto +3% per il settore privato. Il tutto è condito da un debito che l’Argentina ha pochissime possibilità di restituire, con lo spettro dell’ennesimo default che è ben presente e visibile da prima che Javier Milei vincesse le elezioni.

Questo per quanto riguarda le questioni misurabili. Per quelle meno misurabili, anche qui arriva in soccorso quanto riportato da Michael Sott su Financial Times, una cultura che è fatta ormai di spesa fuori controllo cronica, una gestione della politica monetaria fantasiosa e una banca centrale che, se dovesse venir meno, certamente non vedrà grandi folle ai suoi funerali.

Ci sarà anche da fare i conti con un’inflazione particolarmente alta anche per gli standard argentini, cosa che a nostro avviso ha giocato un ruolo importante affinché la dollarizzazione dell’economia diventasse un fulcro della campagna elettorale di Javier Milei.

Sarà una missione impossibile o quasi

Vincere nel momento più duro

Milei continuerà a essere tra due fuochi: il primo è quello di chi non ritiene che un paese possa andare avanti senza la dozzina di ministeri che El Peluca ha già abolito. Il secondo sarà quello, che si formerà assai presto e che in realtà sta già prendendo posizione sui social, di chi riterrà gli sforzi di Milei troppo modesti rispetto alla fulmicotonica campagna elettorale.

La politica è però anche arte del possibile: senza una maggioranza al Congresso e dopo aver dovuto chiedere aiuto a Patricia Bullrich per vincere le elezioni, Milei dovrà arrangiarsi anche con degli inevitabili compromessi.

Questo gli impedirà di rivoltare il Paese come un calzino, cosa che invece fu forse più facile per chi in Sud America prese il potere con la forza e lo mantenne nelle sue mani per decenni. Dell’assenza di poteri assoluti però non si potrà certamente farne una colpa di Milei, a patto di non voler rendere ridicole le critiche di chi lo accusa al tempo stesso di estraneità al processo democratico.

Sarà dura, sarà difficile far passare i punti più radicali del programma e sarà ancora più duro salvare l’Argentina senza portare i libri in tribunale. Ancora più difficile però prendere sul serio chi ritiene che di questa situazione sia responsabile il nuovo presidente, che si insedierà soltanto tra 2 giorni. Con una certezza, per ora ai mercati piace.

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