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USA pronti a finanziare con altri $6 miliardi la produzione di microchip: andranno ai piccoli player

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Il CHIPS Act, la misura introdotta dall’amministrazione Biden per lanciare la produzione di microchip negli Stati Uniti, è stata un successo. Samsung, Intel e TSMC hanno tutte aperto grandi stabilimenti produttivi, con le società che ultimamente si sono affrettate a mettere le mani sugli ultimi fondi disponibili. La sola Samsung ha recentemente lanciato un piano di investimenti da $44 miliardi, una chiara testimonianza di come i giusti incentivi possano rimpatriare qualunque filiera. Le imprese hanno ottenuto fondi e gli USA, oltre ai posti di lavoro, hanno ottenuto quello che cercavano da tempo: l’indipendenza nella produzione di chip, una strada su cui già Trump aveva incamminato il paese.

Ora restano $6 miliardi con cui finanziare gli ultimi progetti per la stabilizzazione della filiera. Questa volta, però, non andranno ai pochi grandi colossi che si occupano del business della fonderia: il governo federale ha deciso di investirli su piccole e medie imprese che fanno parte della filiera e sono indispensabili per assicurarne il corretto funzionamento. Si guarda anche alle startup promettenti che, potenzialmente, potrebbero portare a nuovi passi in avanti sull’AI generativa e sugli altri grandi temi che in questo momento rendono i semiconduttori una delle filiere più seguite da Wall Street.

$500 milioni saranno riservati alle imprese con progetti che richiedono un basso capitale iniziale, in prevalenza startup

Spazio ai piccoli

La fonderia di chip è uno dei business più complicati e costosi che esistano, necessitando di macchinari che solo un’azienda al mondo è in grado di produrre. Per questo risulta piuttosto coerente che la maggior parte dei fondi siano andati a finanziare le grandi imprese che producono microchip, ma fino a questo momento non è stato fatto quasi nulla per incentivare le imprese che si trovano a monte e a valle della produzione. Saranno queste le società che riceveranno il maggior numero di incentivi con i 6 miliardi rimasti: da chi si occupa della fornitura di materiali e macchinari, fino a chi si occupa degli speciali tipi di packaging necessari per mantenere totalmente isolati i microchip dall’ambiente esterno.

Una parte dei fondi verrà anche destinata alle piccole startup in cerca di riscossa con tecnologie promettenti. Secondo il Segretario del Commercio, Gina Raimondo, ci sono oltre 600 aziende che hanno fatto richiesta per ricevere una parte dei fondi del CHIPS Act e che fino a questo momento non sono riuscite a ottenere nemmeno una piccola parte degli oltre $280 miliardi che la misura ha complessivamente mobilitato.

La produzione dei wafer stessi è solo uno dei passaggi della filiera, anche se il più critico

Si cerca di mobilitare l’investimento privato

Fino a questo momento gli Stati Uniti hanno dato priorità al finanziamento di aziende geopoliticamente rilevanti: player come Samsung che, fino a pochi anni fa, producevano tutti i loro chip al di fuori degli USA. Particolarmente sensibile è il caso di TSMC, che essendo un’azienda taiwanese rischia di essere presa nel fuoco incrociato delle dispute di potere tra USA e Cina. Ora invece l’obiettivo passa a essere quello di finanziare le aziende che mobiliteranno la maggior quantità di risorse proprie in cambio dei finanziamenti ricevuti dal governo. In questo modo si cerca di dare al CHIPS Act anche un ritorno economico maggiore per le casse pubbliche; l’unica eccezione saranno i $3,5 miliardi che il governo ha destinato al settore della difesa, specificamente con l’obiettivo di produrre chip rilevanti per il settore militare.

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