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Gran Bretagna, gli investimenti esteri diretti scendono al 2,7%. La mossa per attrarne di nuovi

Dal 2016 in poi gli investimenti esteri in Gran Bretagna sono letteralmente crollati. Adesso si cerca di attrarne di nuovi, cambiando la normativa di riferimento.

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Gran Bretagna, gli investimenti esteri diretti scendono al 2,7%. La mossa per attrarne di nuovi

L’obiettivo è quello di eliminare la normativa che impedisce la crescita degli investimenti in Gran Bretagna. È quanto ha affermato Keir Starmer, primo ministro inglese, nel corso di una conferenza ideata per attrarre le più importanti aziende sul suolo inglese.

A luglio Keir Starmer è salito al potere e, fin da subito, ha iniziato a lavorare per mettere la parola fine ad una serie di anni di instabilità politica. Ma soprattutto ha tentato di riconquistare la fiducia degli investitori privati per rivitalizzare le infrastrutture obsolete e degradate del paese. Ora come ora sta cercando di attirare degli investimenti nei servizi pubblici della Gran Bretagna.

Gran Bretagna, la politica per attirare gli investitori

In Gran Bretagna il governo sta tentando di attrarre degli investitori. Ma molti di questi, ad ogni modo, rimangono cauti, preoccupati del tempo che ci vuole per costruire qualsiasi cosa.

Il paese, purtroppo, risulta essere vincolato da una serie di norme fiscali che limitano la sua capacità di contrarre nuovi prestiti. Grazie a questo summit la Gran Bretagna spera di riuscire ad attrarre decine di miliardi di sterline di investimenti e dimostrare di poter tornare ad essere una destinazione privilegiata per il capitale privato.

L’impegno di Keir Starmer in questo senso è forte: ha intenzione di eliminare la burocrazia che blocca gli investimenti. Tenta di accelerare la costruzione di abitazioni, data center, magazzini e connettori alla rete elettrica. E ha fatto una promessa: si impegna di chiedere alla Competition and Markets Authority (CMA) di dare priorità alla crescita, agli investimenti e all’innovazione.  Per questo verrà rivisto il ruolo degli altri enti di regolamentazione.

Per Keir Starmer, infatti, è necessario esaminare la regolamentazione che ostacola inutilmente gli investimenti, per far progredire il Paese.

La Gran Bretagna è stata una delle destinazioni più gettonate per gli investimenti internazionali fino a quando il voto del 2016 per lasciare l’Unione Europea non ha scatenato incertezza sulle sue future regole commerciali e ha dato inizio a un lungo periodo di instabilità politica.

Stando ad alcuni calcoli effettuati da Reuters, il valore complessivo degli afflussi di investimenti diretti esteri in percentuale dell’economia britannica ha raggiunto, nel secondo trimestre 2024, il 2,7% ossia il minimo degli ultimi nove anni del nel secondo trimestre del 2024.

Investire in Gran Bretagna

David Ricks, a capo del colosso farmaceutico Eli Lilly, ha affermato che la Gran Bretagna è diventata un mercato relativamente piccolo dopo l’uscita dall’Unione Europea.  Secondo Ricks per renderlo interessante, bisogna che ci sia qualcosa di completamente diverso.

Per dare una spinta al governo, i dirigenti di un gruppo di banche, assicurazioni, società di private equity e società tecnologiche hanno dichiarato, in una lettera al quotidiano Times, che la Gran Bretagna conserva molte delle caratteristiche che la rendono attraente per gli investitori, come le università leader a livello mondiale e un solido settore legale e dei servizi finanziari.

Purtroppo, però, la regolamentazione non è l’unica preoccupazione degli investitori. I mercati stanno abbandonando le scommesse rialziste sulla Gran Bretagna, poiché le speranze di una ripresa della crescita sono offuscate dalle preoccupazioni per l’economia gravata dal debito e dai possibili aumenti delle tasse nel bilancio del 30 ottobre.

Dopo aver annunciato di aver ereditato un buco nero di 22 miliardi di sterline nelle finanze pubbliche, il primo bilancio del partito laburista sarà fondamentale per definire l’umore del partito.

David Stevenson, gestore di fondi presso Amati Global Investors, ha affermato che non esiste una soluzione miracolosa per migliorare il sentiment degli investitori, poiché incentivi fiscali e miglioramenti alle agevolazioni fiscali sono difficili da attuare ora, data la situazione fiscale.

Jonathan Reynolds, ministro per le Imprese, nella giornata di domenica sembrava suggerire che il governo potesse aumentare i contributi previdenziali nazionali per i datori di lavoro nel bilancio.

Laureato in materie letterarie e giornalista pubblicista iscritto all'Albo dal 2002 [Link di verifica iscrizione all'Albo]. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin da subito, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, tasse, diritto, economia e finanza.

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Donald Trump: il programma economico raccontato a Bloomberg. Tasse giù al 15% per il made in USA

Donald Trump parla a Bloomberg e illustra il suo programma economico.

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Trump programma

Donald Trump ha partecipato ad un’evento-intervista organizzato da Bloomberg, nel quale ha illustrato almeno in parte la sua politica economica. Ampio spazio al debito – da parte di un pubblico forse poco amico – e per la supposta soluzione: quella di puntare sulla crescita degli Stati Uniti per rendere meno minaccioso un debito che in realtà già lo è. I temi economici hanno per ora toccato poco una campagna elettorale maggiormente concentrata su altre questioni, per quanto dai sondaggi emerga un’attenzione molto elevata da parte dell’elettorato.

C’è poi spazio per altro: confermata la volontà di imporre dazi di enorme rilevanza – che non saranno attribuiti però sulla base della vicinanza politica con Washington, dato che nella lista sono finite anche aree e mercati perfettamente allineati ai desiderata americani. Spazio anche a deregolamentazione, aumento dei tagli alle tasse per chi produce negli USA e altre misure che farebbero pensare ad un’importante onshoring. Tra il dire e il fare c’è certamente di mezzo il mare, ma il programma è stato almeno a grandi linee… delineato.

A qualcuno non quadra

I punti dei quali si tornerà certamente a parlare nei prossimi giorni sono diversi: è difficile trovare, anche munendosi del proverbiale lanternino, un solo economista che non ritenga i dazi come una misura che finirà per impattare in modo rilevante sulla capacità di spesa delle famiglie.

Difficile però al momento che arrivino commenti di segno opposto da Kamala Harris: il tema dei dazi e di una sorta di re-industrializzazione degli USA sembrerebbe avere un forte ascendente con l’elettorato.

L’intervista che trovate allegata a questo approfondimento rimane comunque il documento forse più importante fino ad oggi per la campagna elettorale USA e per iniziare a valutare le possibili conseguenze di una vittoria di Donald Trump. I mercati lo faranno durante tutto il cammino di avvicinamento al 5 novembre, data delle elezioni.

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ASML: disastro in borsa. Il titolo perde il 17%. Ordini sotto del 50% rispetto alle aspettative

ASML: è una giornata da ricordare in negativo per il gruppo dei chip olandese.

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ASML CROLLO

È un pomeriggio disastroso quello di ASML, la società che produce le macchine necessarie per produrre chip. Gli ordini sono esattamente la metà di quanto si aspettassero – in un momento altrimenti felice per il comparto – gli analisti e il titolo perde, nel momento in cui pubblichiamo questa notizia, circa il 17%. La stagione delle trimestrali parte così con un duro colpo a quello che è il settore sul quale un po’ tutto il mondo punta per uscire da un impasse economica più che aspettata dopo una stagione di tassi estremamente alti.

Per il terzo trimestre il gruppo ha portato sul banco ordini per 2,6 miliardi di euro, con gli analisti che invece si aspettavano cifre vicine ai 5,2-5,3 miliardi di euro. Un miss da storia della finanza e dell’economia e che ha innescato vendite a catena, esacerbate dal fatto che nessuno – dopo i dati di Nvidia degli ultimi giorni – si sarebbe aspettato. La compagnia olandese che produce macchinari per realizzare chip è uno dei (pochi) fiori all’occhiello dell’Europa Continentale.

Ordini più bassi da 1 anno a questa parte

Il numero è relativamente basso anche se messo in prospettiva. Era da terzo trimestre del 2023 infatti che non si vedevano ordini su questi livelli – per un trimestre che anche allora fu foriero di preoccupazioni importanti per tutti gli addetti ai lavori.

Il gruppo ha inoltre annunciato di aspettarsi una ripresa più graduale – con la lentezza che procederà anche per tutto il 2025 – cosa che ha peggiorato il sentiment sul titolo e ha contribuito ad una giornata da incubo che in molti ricorderanno molto a lungo.

A complicare ulteriormente la situazione è il fatto che il report si aspettava per domani ed è stato invece pubblicato per errore, secondo quanto è stato riportato da Bloomberg citando una persona informata dei fatti.

Nel complesso non si tratta comunque di un buon momento per una società europea che è la più importante dell’intera economia continentale e che ha perso oltre un terzo della propria capitalizzazione di mercato, complici anche sanzioni e stop alle vendite di origine politica.

La Cina, sempre secondo i dati che riporta Bloomberg, rimane e rimarrà il primo mercato per il gruppo (47% delle vendite), con le tensioni di carattere geopolitico che hanno per ovvi motivi ripercussioni anche sulle prospettive future del gruppo.

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Il rally del dollaro si prende una pausa. I trader guardano alla Fed

Il rally del dollaro si prende una pausa, anche se secondo molti analisti il biglietto verde può guadagnare ancora molto.

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Il rally del dollaro si prende una pausa. I trader guardano alla Fed

Si ferma il rally del dollaro, che si è indebolito nei confronti delle principali valute. A condizionare lo stop, almeno in parte, sono stati dei problemi tecnici. Il dollaro, nel corso degli ultimi due mesi, è riuscito a sfiorare i massimi, spinto dalle aspettative che la Fed proceda con dei modesti tagli dei tassi d’interesse da qui ad un anno e mezzo.

Il recente trend rialzista del dollaro, almeno secondo parte degli analisti, ha ancora molta strada da fare, anche se c’è molta incertezza geopolitica ed elettorale.

Jayati Bharadwaj, stratega globale FX presso TD Securities, ha spiegato che il dollaro può ancora portare a casa dei modesti guadagni: c’è molta incertezza macroeconomica che deve essere scontata. Secondo Bharadwa siamo a poche settimane dalle elezioni statunitensi, la più grande incertezza. E il mercato FX non ha affatto scontato questa incertezza.

Cosa condiziona il dollaro

Una serie di dati statunitensi hanno mostrato che l’economia è resiliente, mentre l’inflazione a settembre è aumentata più del previsto, spingendo i trader a ridurre le scommesse su ulteriori ampi tagli dei tassi da parte della Fed.

La banca centrale statunitense ha dato il via al suo ciclo di allentamento monetario con una mossa aggressiva di 50 punti base (bp) durante l’ultima riunione di politica monetaria di settembre, ma le aspettative del mercato si sono spostate verso un ritmo più lento dei tagli, rafforzando il dollaro.

Secondo i calcoli del LSEG, gli operatori stimano ora una probabilità dell’89% di un taglio di 25 punti base a novembre e una probabilità dell’11% di una pausa da parte della Fed, mantenendo il tasso dei fondi federali nell’intervallo obiettivo del 4,75%-5,0%.

Nelle contrattazioni di tarda mattinata, l’indice del dollaro, che misura la valuta statunitense rispetto a sei rivali, è scivolato dello 0,05% a 103,14, non lontano da 103,36, il livello più alto dall’8 agosto toccato lunedì.

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Volkswagen riapre le trattative con i sindacati il 30 ottobre. A rischio gli stabilimenti tedeschi

Le trattative tra Volkswagen ed i sindacati riprenderanno il prossimo 30 ottobre 2024. A rischio ci sono gli stabilimenti tedeschi.

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Volkswagen riapre le trattative con i sindacati il 30 ottobre. A rischio gli stabilimenti tedeschi

Volkswagen e il sindacato tedesco IG Metall avvieranno il secondo round di trattative sui tagli pianificati alle attività tedesche della casa automobilistica il 30 ottobre. I raprpesentanti dei lavoratori stanno insistendo sul fatto che l’azienda deve mantenere aperti tutti i siti tedeschi.

La tensione è alle stelle, poiché lo spettro della chiusura degli stabilimenti, che sarebbe una prima assoluta per l’azienda in Germania, metterebbe Volkswagen in rotta di collisione con i rappresentanti dei lavoratori, che costituiscono metà del consiglio di sorveglianza e possono influenzare le decisioni sulla strategia aziendale.

I problemi di Volkswagen

Volkswagen ha già provveduto ad annullare un vecchio accordo che garantiva posti di lavoro in sei stabilimenti tedeschi fino al 2029. Il gruppo automobilistico ha affermato di dover intensificare la campagna di riduzione dei costi per far fronte al calo della domanda, che ha determinato un sottoutilizzo della capacità produttiva degli stabilimenti. Volkswagen, tra l’altro, si scontra con la forte concorrenza dei produttori cinesi, che producono solo veicoli elettrici.

Thorsten Groeger, negoziatore dell’IG Metall, ha spiegato che è ormai trascorso abbastanza tempo dai primi negoziati perché il consiglio di amministrazione possa fare i suoi compiti. Il sindacato si aspetta che l’azienda presenti finalmente un piano generale per il prossimo decennio, che garantisca occupazione e utilizzo della capacità produttiva.

Nel primo round di trattative, tenutosi a fine settembre, i sindacati hanno chiesto il ripristino delle garanzie occupazionali oltre il 2030, l’utilizzo di tutti i siti tedeschi e un aumento di stipendio del 7%, in linea con le richieste salariali avanzate da IG Metall per l’intero settore, sulle quali sono in corso trattative separate.

Dopo che la Volkswagen respinse le richieste, i colloqui si conclusero senza un accordo e i sindacati hanno minacciato di dichiarare uno sciopero se non si fosse trovata una soluzione prima del 1° dicembre.

Le critiche dei sindacati tedeschi

Il più grande sindacato industriale tedesco ha criticato aspramente la proposta di aumento salariale per quasi 4 milioni di lavoratori in settori chiave, definendola insufficiente e troppo tardiva, innescando difficili trattative di contrattazione collettiva e possibili scioperi nella più grande economia europea.

L’aumento del 3,6% in un periodo di 27 mesi, annunciato formalmente dall’associazione regionale dei datori di lavoro Nordmetall, è in linea con quanto sarebbe stato messo sul tavolo a livello nazionale, è notevolmente inferiore al 7% chiesto dal sindacato.

Daniel Friedrich, capo negoziatore del distretto regionale del sindacato IG Metall nella Germania settentrionale, sostiene che è troppo poco: gli aumenti salariali arrivano troppo tardi e la durata è troppo lunga. Questo renderà difficile raggiungere rapidamente una buona soluzione.

Tra i datori di lavoro rappresentati nei colloqui, che si svolgono in tutto il Paese, figurano la Siemens, Mercedes-Benz e BMW.

Il gruppo dell’IG Metall per la Germania settentrionale ha dichiarato che valuterà l’offerta la prossima settimana e deciderà le ulteriori misure, tra cui potrebbe rientrare uno sciopero a partire dal 29 ottobre.

Lena Stroebele, che sta guidando le trattative per conto dei datori di lavoro nel distretto settentrionale, ha spiegato che la proposta prevede un aumento salariale scaglionato dell’1,7% a partire dal 1° luglio 2025 e dell’1,9% all’anno successivo.

Secondo Lena Stroebele l’offerta del sindacato è un segno di apprezzamento per i dipendenti, anche in tempi di crisi. Allo stesso tempo, siamo al limite di ciò che le nostre aziende associate possono gestire in generale.

Angelique Renkhoff-Muecke, rappresentante dei datori di lavoro del distretto meridionale della Baviera, ritiene accettare la proposta del sindacato creerebbe un danno enorme, dato che l’intera industria tedesca sta attraversando una crisi strutturale dell’industria tedesca e la contrazione degli ordini.

In questo round di colloqui non è inclusa nei colloqui la Volkswagen, che ha le proprie trattative collettive interne, il cui secondo round dovrebbe iniziare il 30 ottobre.

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Rupia al suo minimo storico. Scambiata a 84,07 dollari

La rupia indiana ha sfiorato il suo minimo storico, toccando quota 84,07 dollari. Si comporta, ad ogni modo, meglio delle altre valute locali.

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Rupia al suo minimo storico. Scambiata a 84,07 dollari

Nel corso della giornata la rupia indiana è oscillata vicina al suo minimo storico. A condizionare le quotazioni sono state le altre valute regionali, mentre le vendite dei dollari hanno sostanzialmente sostenuto le rupia, che nel corso del mese è stata, ad ogni modo, debole.

In tarda mattinata, la valuta indiana era scambiata a 84,07 dollari Usa, invariata rispetto alla chiusura di lunedì, quando si era attestata a 84,06. Nel corso dell’ultima sessione la moneta era scesa al minimo storico di 84,0750, dopo essersi indebolita per la prima volta sotto quota 84 la scorsa settimana.

Rupia ai minimi storici

Nel corso del mese di ottobre la rupia è scesa dello 0,3%, anche se ha avuto un andamento migliore rispetto a quello delle altre valute regionali, che hanno registrato dei cali compresi tra lo 0,8% e il 3% a fronte di un dollaro Usa in ripresa.

L’indice del dollaro era a 103,3 martedì, il suo livello più forte in oltre due mesi. Le altre valute asiatiche erano in calo tra lo 0,1% e lo 0,8%.

Secondo alcune fonti citate da Reuters, alcune banche avrebbero acquistato dei dollari, con ogni probabilità per conto dei loro clienti depositari.  I continui deflussi dai titoli azionari locali, questo mese, hanno danneggiato la rupia: gli investitori stranieri hanno finora ritirato circa 8 miliardi di dollari.

Gli indici azionari di riferimento – il BSE Sensex e il Nifty 50 – hanno registrato un calo dello 0,2% oggi, divergendo dai guadagni registrati dalla maggior parte delle altre azioni asiatiche.

Amit Pabari, amministratore delegato della società di consulenza FX CR Forex, ritiene che nel breve termine, la valuta locale possa essere scambiata tra 83,90 e 84,10. Tuttavia, con il giusto mix di intervento della RBI e trend globali favorevoli, la rupia potrebbe tornare a 83,80.

Nel frattempo, i premi forward dollaro-rupia sono scesi, con il rendimento implicito a 1 anno in calo di 1 punto base al 2,20%, pressato da un aumento dei rendimenti dei titoli obbligazionari statunitensi prossimi alla scadenza. Il rendimento dei Treasury Usa a 1 anno è salito di 7 punti base al 4,25% nelle ore asiatiche.

La rupia e le riserve valutarie indiane

Stando ai dati diffusi dalla Reserve Bank of India (RBI), le riserve valutarie dell’India sono scese per la prima volta in otto settimane e hanno superato il massimo storico attestandosi a 701,18 miliardi di dollari al 4 ottobre.

Le riserve sono diminuite di 3,71 miliardi di dollari nella settimana in esame, dopo essere aumentate complessivamente di quasi 35 miliardi di dollari nelle sette settimane precedenti. Avevano raggiunto il massimo storico di 704,89 miliardi di dollari e sono aumentati di 12,6 miliardi di dollari nella settimana conclusasi il 27 settembre, registrando il loro più grande incremento settimanale da metà luglio 2023.

Le variazioni delle attività in valuta estera sono state causate dall’intervento della banca centrale sul mercato dei cambi e dall’apprezzamento o dal deprezzamento delle attività estere detenute nelle riserve.

La RBI è intervenuta su entrambi i lati del mercato forex per impedire un’eccessiva volatilità della rupia. Le riserve valutarie includono anche la posizione di riserva dell’India nel Fondo monetario internazionale.

Nel periodo a cui si riferiscono i dati sulle riserve valutarie, la rupia ha registrato la sua settimana peggiore da maggio ed è scesa dello 0,3% su base settimanale, poiché i deflussi azionari sono aumentati vertiginosamente e i prezzi del petrolio greggio sono aumentati a causa del peggioramento del conflitto in Medio Oriente.

I trader ritengono che la RBI è intervenuta sia sui forward non consegnabili che sul mercato forex spot locale per aiutare la rupia a mantenersi sopra la soglia psicologicamente importante di 84.

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