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Anche Mitsubishi saluta la Cina. Il gruppo investe in Ampere
La notizia riguarda il gruppo Mitsubishi Motors, ma in realtà è più interessante per chi guarda alla Cina che per chi guarda al mercato del settore automotive. Il gruppo giapponese ha annunciato che presto interromperà la produzione della proprie vetture nella Repubblica Popolare Cinese, uno dei mercati più importanti del globo per questo tipo di produzioni. Dietro la decisione cambiamenti fondamentali nella domanda per certe tipologie di veicoli e la necessità, dice il gruppo, di reagire a un quadro di fondamentali cambiato radicalmente.
Mitsubishi abbandonerà così la quota della joint venture cedendo le proprie azioni al gruppo con il quale partecipa alla produzione di veicoli sul suolo cinese. Il tutto all’interno di un quadro, dice Mitsubishi stessa, profondamente cambiato per l’azienda, che non riesce a recuperare certi volumi di vendita. Il quadro però – almeno in via generale – è più preoccupante per la Cina, che continua a registrare abbandoni da parte di grandi società estere che producono – e tra poco sarà il caso di dire producevano – vetture nella Repubblica Popolare.
Dopo Stellantis, ora è Mitsubishi a salutare
Per quanto la situazione di Stellantis sia in realtà più complessa, siamo esattamente sulla stessa lunghezza d’onda. Mitsubishi ha annunciato un disimpegno dalla Cina e conseguente cessione delle quote della propria joint venture, citando questioni che riguardano il mancato raggiungimento di certi obiettivi di vendite e un rapido cambiamento del mercato, che starebbe richiedendo veicoli elettrici con sempre maggiore insistenza e su ritmi che erano inimmaginabili soltanto qualche mese fa.
Che sia questa la motivazione effettiva o meno, poco cambia. I grandi gruppi occidentali dell’auto non sembrano sentirsi più di casa in Cina e preferiscono svendere piuttosto che avere ancora una presenza produttiva alla corte di Xi Jinping. Per diversi analisti è parte di un trend più ampio, che coinvolge anche società di altri settori e che segnala una crescente inospitalità della Cina per le aziende straniere.
Per altri invece è un problema – importante – del settore auto di vecchia generazione, con tutti i principali brand che sembrano avere difficoltà a spostare il focus sulla produzione di veicoli elettrici. Difficoltà che sono testimoniate inoltre dallo scontro con i sindacati negli USA. Lo scontro a Detroit, che per Stellantis si è allargato ora anche a altri stabilimenti produttivi, riguarda infatti anche il futuro degli addetti nella transizione all’elettrico. Una transizione all’elettrico sul quale certi marchi e produttori sono terribilmente indietro e che è anche terreno di scontro politico tra Europa e Cina.
Il ritorno dell’onshoring?
La narrativa di una globalizzazione in ritirata, fiaccata da problemi politici e di supply chain, è più forte che mai. Nel caso di Mitsubishi non si tratterà però di un ritorno in patria. Nella stessa nota dell’azienda si legge infatti di un investimento in Ampere, divisione specializzata in elettriche che fa capo al gruppo Renault. Che sia una mossa da incasellare in una sorta di nuova guerra fredda o meno, il trend appare più chiaro che mai: è fuga dalla Cina, a ritmi da si salvi chi può – e non è chiaro come Pechino riuscirà a rimpiazzare una presenza straniera che ha giocato un ruolo importante nel boom economico del paese.
I problemi per Pechino non sembrano finire mai, con le borse che oggi hanno reagito timidamente al piano di stimoli deciso dal Partito – segno che di preoccupazioni continuano a essercene molte.
Sarà però da ridimensionare la corsa degli analisti verso l’India, individuata come nuovo paese delle magie finanziarie e produttive prima che il gatto cinese sia stato effettivamente messo nel sacco. La nostra opinione è che, nonostante le chiare difficoltà, sia ancora troppo presto per mettere da parte la Cina.