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Dollaro giù dopo i dati USA. DXY ai minimi da sei settimane

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I dati sul mercato del lavoro USA, peggiori delle aspettative, hanno avuto un impatto immediato anche sul dollaro, con l’indice DXY che ha toccato i minimi da 6 settimane a questa parte e con l’outlook che ora si avvicina verso quella lateralizzazione di cui si parla da tempo, dopo che il 2023 è stato un anno certamente da ricordare in positivo per la divisa nazionale di Washington. Tra i segnali dovish di Jerome Powell e i segnali di rallentamento del mercato del lavoro, i mercati sono ora pronti a scommettere su una politica monetaria più tranquilla e sugli interessi a 5,5% come picco per questo ciclo.

I tool che vengono messi a disposizione dal CME e che partono dall’analisi delle posizioni sui Fed Fund mostrano infatti bassa probabilità, sempre secondo quanto hanno già prezzato i mercati, di ulteriori rialzi tanto in dicembre quanto a anno nuovo, con maggio che potrebbe essere il mese del pivot per una Federal Reserve che è stata di gran lunga la banca centrale più aggressiva del pianeta. Tutte questioni che non possono che avere un impatto negativo sul dollaro, la cui traiettoria discendente però dovrà essere valutata da angoli di più ampio respiro.

Dollaro debole dopo dati sul mercato del lavoro

I massimi del dollaro sono già alle spalle? USD corregge dopo i dati dal mercato del lavoro

Come avevamo scritto sulle pagine di questa pubblicazione, le mosse delle banche centrali sarebbero rimaste al centro dell’andamento del mercato del Forex, anche e soprattutto in una fase di grande confusione sui mercati finanziari come quella che stiamo affrontando. Il dollaro USA ha potuto cavalcare un sentiment rialzista anche grazie alla convinzione, in realtà ben riposta, di un maggiore rigore da parte della sua banca centrale rispetto a quelle di Francoforte, di Tokyo e di Londra. Aspettative certamente ben riposte, che però ora devono scontrarsi con la dura realtà dei numeri.

Quali numeri? Quelli che arrivano dal mercato del lavoro USA e che raccontano di un mercato in leggero raffreddamento e che vede, seppur in modo lieve, crescere la disoccupazione. È uno dei segnali che, in passato, Jerome Powell ha indicato come segno che si è sulla buona strada per riportare l’inflazione vicina ai target fissati dalla banca centrale. La cosa si traduce nella maggiore possibilità per la banca centrale di evitare ulteriori rialzi dei tassi, che finirebbero per aggiungere pressioni importanti ad un sistema economico che è già in sofferenza. La lettura sarebbe pertanto lineare: anche a Washington si è al capolinea e non vi è motivo di considerare come possibili altri rialzi dei tassi, che aumenterebbero il differenziale dei tassi stessi con quelli tenuti dalle altre banche centrali.

Per Fed si avvicina, secondo i mercati, il momento del pivot

Troppo presto per cantare vittoria contro lo strapotere del dollaro

La narrativa che parla di un’estensione eccessiva della corsa del dollaro circola ormai da qualche settimana, per quanto continui ad essere alimentata in modo parecchio debole da temporanei cali del valore del dollaro nei confronti delle principali divise.

Affinché il trend sia confermato, servirà anche essere certi del fatto che le altre banche centrali non saranno costrette, e mancano per ora gli strumenti per valutare quando il pivot finirà per presentarsi, come necessità, anche da quelle parti. E da quel punto in avanti, sarà difficile considerare come finita la corsa del dollaro.

I problemi dello yen – e della banca centrale giapponese nel tenere la situazione sotto controllo – sono sotto gli occhi di tutti. Così come presto potrebbero esserlo quelli dell’area euro, dove l’economia è già al palo e dove di libertà di manovra per la BCE sembra essercene sempre meno. Una rondine, o un calo in questo caso, non è necessariamente segno della primavera che arriva per le valute alternative al dollaro USA.

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