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Google: il DoJ chiederà lo spezzatino? Ipotesi separazione per Chrome e Android

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GOOGLE DOWN

Ci sarebbero diverse opzioni sul tavolo del Dipartimento di Giustizia per la questione Google e antitrust, dopo che il colosso di Mountain View ha perso la causa su pratiche anti-concorrenziali che riguardano tra le altre cose anche accordi privati con parti terze – vedi Apple – affinché il proprio motore di ricerca fosse quello automaticamente pre-impostato sui dispositivi più popolari. Tra le ipotesi che stanno circolando in queste ore sulla stampa statunitense la più suggestiva è certamente quella che riguarda la possibilità di dividere alcuni rami d’azienda del gruppo.

Secondo quanto riportato da The New York Times l’ipotesi potrebbe essere quella di separare Chrome e Android dalle operazioni principali, mentre si starebbero discutendo anche ipotesi più soft come la cancellazione degli accordi con Apple e altre società terze. Una situazione complicata e che con ogni probabilità richiederà del tempo prima che venga proposta una soluzione al gigante dei motori di ricerca e della pubblicità online.

Lo spezzettamento forse non è l’ipotesi peggiore per Google?

L’ipotesi di cui però nessuno sembrerebbe voler parlare è quella della possibilità di costringere Google a fornire i dati in suo possesso anche alla concorrenza, che per quanto non definitiva sarebbe comunque un potenziale duro colpo al dominio della grande G nel settore delle ricerche. A raccontare le diverse ipotesi sul tavolo del Dipartimento di Giustizia sarebbero due fonti interne che però non sono state rivelate dal NYT.

Sempre secondo lo stesso giornale, sarebbero in corso degli incontri tra il Dipartimento di Giustizia e diverse grandi aziende del settore al fine di trovare una soluzione che più che punire Google finisca per ristabilire normali pratiche e condizioni di libero mercato, che sarebbe poi l’obiettivo principale degli interventi dell’antitrust.

I prossimi passi a livello processuale saranno stabilità tra il 4 e il 6 settembre prossimo, quando partiranno nuove udienze per quella che sarà la fase 2 di uno dei processi più importanti del settore tech a livello globale di sempre.

Monopolio da smontare

Il mantra che sottende a tutte le possibili proposte è quello di limitare se non cancellare completamente il monopolio che Google ha costruito in più di due decenni e che vede il gruppo essere il più rilevante per le ricerche e a cascata per tutti i servizi pubblicitari connessi. Una posizione di dominio assoluto che è impensierita, per quanto in modo lieve, dall’arrivo di aziende del settore AI come OpenAI, che proporranno a breve alle grandi masse la propria ricerca potenziata.

Anche in caso di maggiore prestanza sul piano tecnico, sarà difficile però impensierire un dominio Google che per il momento è saldo, almeno fino al prossimo eventuale intervento del Dipartimento di Giustizia.

Le azioni Google perdono quasi il 3% a fronte di un NASDAQ pressoché statico dopo i dati sull’inflazione che si sono rivelati essere pressoché perfettamente allineati alle aspettative. I problemi a Mountain View sono però per il momento diversi da quelli dei normale ciclo economico, con una decisione del DoJ che potrebbe essere quella di maggiore impatto della storia dell’antitrust.

Analista economico dal 2009. Collabora con TradingOnline.com offrendo analisi su Forex, Macroeconomia e Azioni, con un occhio vigile sui mercati emergenti come Turchia, Brasile, Indonesia e Cina. Gianluca Grossi è anche caporedattore per la nota testata giornalistica Criptovaluta.it, quotidiano dedicato al mondo Crypto e Bitcoin ed è anche analista per Criptovaluta.it® Magazine, il settimanale della medesima organizzazione. Segue da vicino il mercato ETF, in particolare sulla piazza di New York.

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Le azioni di Donald Trump fanno +17%: assist da Elon Musk e Kamala Harris

Le azioni della compagnia media di Donald Trump fanno +17%. Ecco perché.

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TRUMP STOCKS

Trump Media & Technology Group – ticker $DJT – è tra le migliori di una giornata molto particolare sui mercati. Un movimento in larga parte fuori trend, che segnala come i mercati abbiano interpretato due tipi di questioni in modo favorevole alla corsa per la Casa Bianca di Donald Trump. La prima è stata un’intervista a Kamala Harris della quale si sta discutendo, con toni particolarmente accesi, anche sui social. La seconda, forse più rilevante, è invece l’apparizione di Elon Musk – già noto sostenitore di Trump – a sostegno della campagna elettorale dello stesso.

Un’apparizione non programmata – o comunque della quale non si aveva notizia fino a poco prima dell’evento, che ha contribuito a spingere il titolo sopra il +17%. Tutto questo in una giornata che vede relativamente pochi vincitori e che sta facendo i conti principalmente con l’incertezza che arriva dal Medio Oriente e sulle future politiche monetarie di Federal Reserve.

Il titolo che segue le possibilità di Trump

DJT non è certamente un titolo per stomaci deboli. Ha seguito quasi pedissequamente la corsa di Trump alla Casa Bianca e i suoi guai giudiziari, salendo in caso di eventi positivi per il candidato repubblicano e scendendo in caso di eventi negativi.

I due eventi dell’ultima giornata – per l’appunto l’intervista a Kamala Harris nella quale la candidata sembrerebbe essere apparsa in difficoltà da un lato – e il sostegno aperto di Musk – che ha arringato la folla durante uno degli appuntamenti elettorali di Donald Trump, hanno fatto il resto.

Il titolo, da qui alla prima settimana di novembre, che sarà quella delle elezioni negli Stati Uniti che eleggeranno il prossimo presidente, continuerà ad essere titolo per scambi molto volatili, molto rischiosi e per qualcuno anche una professione di fede elettorale. Professione di fede elettorale che però, almeno durante le ultime settimane, ha dimostrato di non poter reggere al mercato, quando questo ha rivenuto frustrate le ambizioni di Trump a farsi rieleggere come presidente degli USA.

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Petrolio perde il 4,5% durante sessione USA: calma in Medio Oriente affonda il prezzo

Il petrolio offre una pessima performance sulle piazze durante la sessione USA.

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Petrolio rosso

Disastro petrolio, dopo gain per 5 sessioni consecutive. A pesare sulle quotazioni del greggio, che fanno registrare un -4,5% rispetto all’apertura USA, c’è il rallentamento dell’escalation del conflitto tra Israele e Iran, che sembrerebbe aver riportato il buonumore sulle piazze finanziarie e ridotto preoccupazioni che erano durate anche durante tutta la sessione asiatica. Preoccupazioni che certamente andranno valutate con un respiro più ampio e che potrebbero tornare a riaccendersi nel caso del ritorno del conflitto su livelli di maggiore intensità.

Per ora però il greggio WTI scarica una larga parte dei gain fatti registrare nel corso della precedente settimane e a nulla può anche un recupero dell’economia USA almeno secondo le previsioni che sono state fatte girare da GDPNow di Federal Reserve Atlanta. Il livello di attività economica degli USA andrà infatti misurato da dati e modelli più solidi, con il grande discostamento (+3,2% contro +2,5% delle previsioni) che non è riuscito ad avere grande voce in capitolo, se non su mercati periferici.

Il prezzo del greggio in picchiata

Sui futures di più vicina scadenza si è tornati sotto i 74$ al barile, dopo durante la scorsa settimana sembrava fosse possibile puntare in agilità verso gli 80$. Mattane da petrolio che in questo momento sono tutte condizionate, innescate e disinnescate dal conflitto che è diventato ora tra Israele e Iran. I lanci di missili non fanno più paura e almeno per il momento non si teme una reazione importante da parte di Israele, per quanto la situazione potrebbe cambiare molto rapidamente.

Il petrolio rimarrà il termometro di una situazione in evoluzione e per la quale si alternano molto rapidamente aperture, chiusure, ottimismo e pessimismo. Per chi trada il petrolio, una situazione ricca di occasioni ma anche di grandi rischi. Almeno fino al ritorno di una normalità che per ora sembrerebbe essere molto lontano.

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Northvolt, una divisione chiude per fallimento. I debiti sono stimati in 3 miliardi di corone svedesi

Una divisione di Northvolt ha dichiarato fallimento. Il resto del gruppo, seppur con molte difficoltà, continua le operazioni.

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Northvolt, una divisione chiude per fallimento. I debiti sono stimati in 3 miliardi di corone svedesi

Dopo che un progetto che stava seguendo è stato annullato, una sussidiaria della Northvolt ha dichiarato fallimento. Il resto del gruppo, benché a corto di liquidità, ha continuato a consolidare le operazioni.

Stando a quanto ha riferito Dagens Industri, curatore fallimentare nominato dal tribunale, l’unità Northvolt Ett Expansion AB aveva debiti stimati tra i 2 e i 3 miliardi di corone svedesi (tra 194 e 290 milioni di dollari).

Il progetto che stava seguendo questa divisione di Northvol avrebbe dovuto triplicare la capacità della gigafactory, ma il consiglio di amministrazione ha annullato l’intera operazione.

Un portavoce dell’azienda, in un’email inviata a Reuters, ha affermato che quello effettuato è un passaggio necessario poiché l’espansione di Northvolt Ett è stata interrotta e ulteriori investimenti avrebbero messo a rischio le basi finanziarie di Northvolt.

Ad ogni modo, la dichiarazione di fallimento non ha avuto alcun impatto sulle altre attività del Northvolt Group.

Northvol verso la riduzione delle attività

Nel corso del mese di settembre, Northvolt ha dichiarato che avrebbe ridotto le dimensioni e tagliato posti di lavoro, alimentando il timore che l’azienda ha abbandonato l’opportunità per diventare un campione europeo di batterie per veicoli elettrici. Un’aspettativa destinata ad arenarsi a causa di problemi di produzione, scarsa domanda e concorrenza cinese.

Nel giorno in cui ha dichiarato fallimento, Northvolt Ett Expansion AB aveva circa 459.000 corone svedesi di debiti in sofferenza e doveva far fronte a richieste di insolvenza per 47 milioni di corone.

In una nota la società ha confermato che Northvolt continua a dialogare con le parti interessate per una cooperazione continuativa nell’ambito delle operazioni in corso del Gruppo Northvolt.

Northvolt ha già ricevuto più di 10 miliardi di dollari in finanziamenti azionari e obbligazionari da Volkswagen, Goldman Sachs e BlackRock. E ha cercato di raccogliere più denaro per finanziare la sua costosa crescita.

All’inizio dell’anno, Northvolt aveva concluso un accordo per un pacchetto di prestiti verdi da 5 miliardi di dollari con un gruppo di finanziatori, destinato a finanziare l’ampliamento di un grande stabilimento in Svezia, ma l’annullamento del progetto di costruzione il mese scorso ha messo a rischio il finanziamento.

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PepsiCo taglia le previsioni di crescita annuale. I ricavi netti si attestano a 23,32 mld di dollari

PepsiCo deve tagliare le previsioni di crescita annuale, condizionata dal cambio di abitudini dei consumatori, che cercano snack e bibite meno costose.

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PepsiCo taglia le previsioni di crescita annuale. i ricavi netti si attestano a 23,32 mld di dollari

PepsiCo ha tagliato previsioni di crescita annuale delle vendite. I consumatori del Nord America, sempre più esigenti, hanno deciso di limitare la spesa per le bibite gassate e gli snack salati, preferendo dei marchi più economici.

PepsiCo – proprietaria anche dei marchi Mountain Dew, 7up e Lays – ha previsto che le vendite organiche possano scendere in un intervallo basso ad una sola cifra per l’anno fiscale 2024. In precedenza era stato previsto un aumento del 4%.

Secondo Ramon Laguarta, Ceo di PepsiCo, l’aumento dei costi determinati dall’inflazione e i maggiori costi di indebitamento degli ultimi anni hanno continuato a incidere sui bilanci dei consumatori e sui modelli di spesa.

A pesare sulle famiglie sono l’aumento del prezzo del cibo e di altri prodotti, che hanno costretto a ridurre le abitudini di spesa. Optando, nella maggior parte dei casi, a delle porzioni più piccole e a fare meno acquisti nei minimarket, che costituiscono uno dei principali punti di vendita di PepsiCo.

I conti di PepsiCo

PepsiCo, nel terzo trimestre 2024, ha registrato un calo a sorpresa dei ricavi. A determinare questa situazione è stato principalmente il calo del 13% delle vendite di Quaker Foods, che sta ancora subendo le conseguenze dei richiami di prodotti effettuati all’inizio di quest’anno.

Gli aumenti dei prezzi, i controlli dei costi e le misure volte a promuovere l’efficienza in tutte le sue attività hanno aiutato PepsiCo a sostenere gli utili, mantenendo al contempo l’obiettivo di utile rettificato per l’intero anno.

Aarin Chiekrie, analista di Hargreaves Lansdown, spiega che la varietà di marchi di prima classe di PepsiCo ha contribuito ad attutire in qualche modo il colpo delle ricadute di Quaker Oats. Ma se la domanda non riprenderà presto, i profitti inizieranno a subire pressioni.

Anche i mercati internazionali di PepsiCo, tra cui America Latina, Cina ed Europa, stanno assistendo a un rallentamento dei volumi.

Brian Mulberry, gestore del portafoglio clienti presso Zacks Investment Management, ritiene che PepsiCo abbia bisogno di una dose di energia per incrementare i ricavi.

L’amministratore delegato Laguarta prevede che in alcuni mercati internazionali continueranno ad esserci forti tensioni geopolitiche, tra cui il conflitto in Medio Oriente, e pressioni macroeconomiche.

I ricavi netti sono scesi dello 0,6% a 23,32 miliardi di dollari nel trimestre conclusosi il 7 settembre, al di sotto delle stime di 23,76 miliardi di dollari. Secondo i dati raccolti da LSEG, l’azienda ha guadagnato 2,31 dollari ad azione su base rettificata, superando le aspettative di 2,29 dollari ad azione.

Le azioni della società hanno registrato un andamento stabile nelle prime contrattazioni.

La campagna acquisti di PepsiCo

PepsiCo acquisterà la società madre di Siete Foods, Garza Food Ventures, per 1,2 miliardi di dollari. La società riuscirà, in questo modo,  a rafforzare il suo portafoglio di snack.

L’azienda, sostenuta dall’attrice Eva Longoria, è nota per le tortilla chips e i taco shell senza cereali. Produce anche prodotti come la salsa enchilada e i biscotti da matrimonio messicani.

L’azienda con sede in Texas, fondata nel 2014 da Veronica Garza, è di proprietà e gestita da sette membri della famiglia Garza. Dopo diversi trimestri di aumenti dei prezzi da parte dei produttori di alimenti confezionati per attenuare l’impatto dei maggiori costi di produzione, i consumatori si sono rivolti a marchi privati ​​più accessibili per i loro spuntini.

Nel frattempo, anche la conclusione di accordi nel settore degli alimenti confezionati è stata robusta. Il produttore di Snickers Mars ha acquistato il produttore di Pringles Kellanova in un accordo da quasi 36 miliardi di dollari ad agosto.

I volumi per la sua attività di snacking in Nord America sono scesi del 4% nel trimestre che si è chiuso lo scorso luglio. La società dovrebbe comunicare i suoi guadagni del terzo trimestre la prossima settimana.

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Litio, la sovraproduzione cinese ne ha fatto crollare i prezzi. Una politica che si rivolta contro la stessa Pechino

La sovraproduzione cinese ha avuto un impatto immediato sui prezzi del litio, che sono scesi drasticamente. Ma la politica ha delle conseguenze per la stessa Pechino.

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Litio, la sovraproduzione cinese ne ha fatto crollare i prezzi. Una politica che si rivolta contro alla stessa Pechino

Obiettivo abbassamento delle quotazioni del litio. Possiamo sintetizzare in questo modo la politica commerciale attuata dai produttori cinesi, che stanno provocando un vero e proprio calo dei prezzi, con l’intento di eliminare i progetti dei concorrenti. A renderlo noto è un alto funzionario statunitense citato da Reuters, che in questi giorni è in viaggio in Portogallo, un paese in cui ci sono ampie riserve di litio.

Nel corso di una briefing che si è tenuto ieri, lunedì 7 ottobre 2024, Jose Fernandez, sottosegretario per la crescita economica, l’energia e l’ambiente del Dipartimento di Stato statunitense, ha affermato che la Cina starebbe producendo molto più litio di quanto sia necessario in questo momento.

Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa sta accadendo.

Litio, la Cina produce più di quanto sia necessario

Ma cosa sta accadendo in questo momento. E perché l’attenzione della maggior parte degli osservatori è rivolta proprio al litio? Jose Fernandez ha spiegato che quella messa in atto da Pechino è, a tutti gli effetti, una risposta intenzionale a quanto gli Stati Uniti stanno cercando di fare attraverso l’Inflation Reduction Act, uno dei più importanti pacchetti di investimento per il clima e l’energia della storia degli Usa, che è valutato oltre 400 miliardi di dollari.

Secondo Fernandez la Cina si sta impegnando in prezzi predatori, abbassando i prezzi in modo da annullare e far scomparire del tutto la concorrenza.

In questo momento la Cina rappresenta circa due terzi della produzione chimica di litio al mondo. Ricordiamo che questa commodity viene utilizzata principalmente nelle batterie, comprese quelle delle auto elettriche. Nel corso dell’ultimo anno, i prezzi del litio sono scesi dell’80%: a determinare questo crollo delle quotazioni è principalmente la sovrapproduzione cinese e il calo della domanda di veicoli elettrici. Il crollo dei prezzi, ad ogni modo, ha colpito anche la stessa Cina, perché molte aziende – tra le quali il gigante delle batterie CATL – sono state costrette a sospendere la produzione in alcune miniere.

L’impatto della riduzione del prezzo del litio

L’Unione europea ha intenzione di ridurre la propria dipendenza dalle importazioni di litio e di altri minerali necessari per la transizione verde. Soprattutto quando provengono dalla Cina e da altri paesi.

Il prezzo basso del litio, secondo Fernandez, limita la capacità di diversificare le catene di fornitura su vasta scala globale. Ma soprattutto danneggia alcuni paesi – come il Portogallo – che hanno bisogno di una serie di investimenti per sviluppare queste industrie. Il calo dei prezzi ha costretto molti produttori mondiali di litio a ridurre la produzione e a tagliare posti di lavoro.

Il Portogallo, con circa 60.000 tonnellate di riserve note, è già il più grande produttore europeo di litio, tradizionalmente estratto per la ceramica.

Insieme alla vicina Spagna, il Paese vuole sfruttare i giacimenti locali di litio, puntando a coprire l’intera filiera, dall’estrazione e raffinazione alla produzione di celle e batterie, fino al riciclaggio delle batterie. Diverse società minerarie in Portogallo sono alla ricerca di finanziamenti, clienti e fornitori per avviare i loro progetti.

Fernandez ha spiegato che l’intenzione è quella di aiutarli e ritiene di poterlo fare. Le aziende minerarie del litio, ovunque esse siano, devono sopravvivere a questa fase difficile, creata dai prezzi predatori.

A giugno, il premier cinese Li Qiang ha utilizzato il suo discorso al World Economic Forum di Dalian per rispondere alle accuse degli Stati Uniti e dell’Unione Europea secondo cui le aziende cinesi traggono vantaggio da sussidi ingiusti e sono pronte a inondare i loro mercati con tecnologie verdi a basso costo.

Le tensioni commerciali si sono intensificate venerdì scorso quando l’Unione Europea ha dichiarato che avrebbe continuato a imporre pesanti dazi sui veicoli elettrici fabbricati in Cina per contrastare quelli che considera sussidi cinesi ingiusti, dopo un’indagine anti-sovvenzioni durata un anno. Martedì la Cina ha imposto misure anti-dumping temporanee sulle importazioni di brandy dall’UE.

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