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Google e Facebook sotto tiro: nuova legge antitrust USA

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Un gruppo di senatori bipartisan degli Stati Uniti ha presentato un nuovo disegno di legge che mira a limitare l’enorme influenza delle grandi aziende di pubblicità digitale: oltre a Google e Facebook, anche Amazon e Apple. Il disegno di legge, presentato giovedì 30 marzo, rappresenta un segnale precoce che i legislatori americani continueranno a cercare di fare pressioni sui giganti della tecnologia in questa nuova sessione del Congresso.

La legge proibirebbe alle grandi aziende di pubblicità digitale, con Google come la più grande, di possedere più di una parte del servizio che connette gli inserzionisti con le aziende che offrono spazio per gli annunci pubblicitari.

immagine di presentazione della notizia di una nuova legge bipartisan negli USA per limitare il potere pubblicitario delle grandi aziende
Disegno di legge bipartisan negli Stati Uniti contro la concentrazione di potere pubblicitario di Google e Facebook

I dettagli del nuovo disegno di legge negli Stati Uniti

Il provvedimento, chiamato Advertising Middlemen Endangering Rigorous Internet Competition Accountability Act (mediatori pubblicitari che mettono in pericolo la rigorosa legge sulla responsabilità della concorrenza su Internet, letteralmente), noto anche come AMERICA Act, riguarderà solo le società che effettuano più di 20 miliardi di dollari in transazioni pubblicitarie digitali.

Il disegno di legge, infatti, prende di mira Google di Alphabet e Facebook di Meta, così come Amazon e Apple. L’iniziativa prevede che queste grandi aziende di pubblicità digitale, con Google in testa, non possano possedere più di una parte dei servizi che mettono in contatto gli inserzionisti con le aziende che offrono spazi pubblicitari, evitando quindi il conflitto di interessi e permettendo una maggiore concorrenza. Ciò significa che Google e Facebook, i due colossi della pubblicità digitale, potrebbero essere obbligati a cedere importanti porzioni del loro business pubblicitario, che costituiscono gran parte dei loro ricavi pubblicitari.

L’ufficio del senatore repubblicano Mike Lee ha dichiarato in una nota che, se promulgato, questo disegno di legge richiederebbe molto probabilmente a Google e Facebook di cedere significative porzioni delle loro attività pubblicitarie, ovvero le unità aziendali che rappresentano o facilitano una grande parte del loro fatturato pubblicitario.

Inoltre, le società che generano più di 5 miliardi di dollari in transazioni pubblicitarie digitali avrebbero quattro obblighi:
– agire nell’interesse dei clienti;
– fornire trasparenza per verificare che stiano agendo nel loro interesse;
– se operano su entrambi i lati del mercato, dovranno “erigere firewall” per prevenire abusi e conflitti di interesse;
– dare ai clienti l’accesso alle informazioni per verificare le prestazioni su transazioni pubblicitarie, processi di scambio e funzionalità.

Secondo Charlotte Slaiman, direttrice della politica sulla concorrenza del gruppo di pressione Public Knowledge, la mancanza di concorrenza nella tecnologia della pubblicità online danneggia non solo gli inserzionisti e gli editori, ma anche i consumatori, che pagano di più per i prodotti e vedono online notizie e contenuti di qualità inferiore. Al momento, la pubblicità è il modello di business principale per gran parte di Internet. È essenziale che la pubblicità online sia un ecosistema aperto con una concorrenza dinamica e leale, ha aggiunto.

Le aziende interessate non hanno ancora commentato la questione.

Il disegno di legge è stato sponsorizzato da un gruppo di senatori bipartisan che includono esperti di antitrust, tra cui i senatori Mike Lee, repubblicano, e Amy Klobuchar, democratica. Tra i sostenitori ci sono anche la senatrice democratica Elizabeth Warren e i senatori repubblicani scettici nei confronti della tecnologia, come Josh Hawley e John Kennedy.

Nell’ultima sessione legislativa, il Congresso ha approvato leggi per aumentare i budget degli enti preposti all’antitrust e rafforzare i procuratori generali degli Stati, ma la legislazione volta a limitare le grandi aziende di tecnologia è stata respinta.

immagine in 3d di annunci pubblicitari su internet
Secondo i senatori USA, è essenziale che la pubblicità online sia un ecosistema aperto con una concorrenza dinamica e leale

Non è la prima volta che le grandi aziende tech si trovano sotto la lente d’ingrandimento dell’antitrust. Anche l’azienda madre di Google, Alphabet, sta affrontando una battaglia legale antitrust negli Stati Uniti. Il governo degli Stati Uniti sta cercando di smantellare le varie parti del suo business per aiutare a ripristinare la concorrenza nel mercato della pubblicità online, così come in una serie di altre aree tecnologiche.

Il disegno di legge AMERICA Act è, infatti, solo l’ultimo tentativo di limitare l’influenza delle grandi aziende tech negli Stati Uniti. Molti osservatori ritengono che la tendenza a concentrare sempre più potere nelle mani di poche aziende sia un problema che richiede una soluzione, per proteggere la concorrenza e garantire un mercato più equo e aperto.

Di recente, un altro gruppo di senatori degli Stati Uniti ha presentato una proposta di legge bipartisan che mira ad ampliare i poteri del Presidente Joe Biden per vietare TikTok e altre applicazioni di servizi simili in tutto il Paese. Il progetto di legge richiederebbe al Segretario del Commercio di identificare le minacce legate alle tecnologie delle comunicazioni e delle informazioni e creare soluzioni per affrontarle, dandogli maggiori poteri, tra cui l’autorità di vietare la tecnologia straniera.

Con un forte interesse per i fondamentali delle società e le notizie interne, è una persona curiosa e versatile che cerca di approfondire le sue conoscenze e rimanere sempre aggiornata leggendo report trimestrali.

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Investimenti

Indagine di Fed: mercati temono recessione più di inflazione. Timore per i dazi di Donald Trump e per spesa pubblica

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Paura Mercati Inflazione Fed

Secondo una recente indagine di Federal Reserve, l’inflazione non sarebbe più una preoccupazione, almeno per i professionisti della finanza. A preoccupare maggiormente ci sono gli effetti che la vittoria di Trump avrà sul debito pubblico, insieme a preoccupazioni per una recessione e anche per limitazioni al commercio globale. La prima e la terza, senza dubbio alcuno, sono legate al prossimo ciclo politico degli USA, che sarà governato da un presidente che ha promesso dazi importanti verso i paesi non allineati e anche verso quelli allineati che non riconosceranno la supremazia del dollaro.

Sul debito pubblico in crescita, ci saranno invece da valutare gli impegni, per ora solo di propositi, sulla riduzione considerevole delle agenzie federali e conseguentemente della spesa pubblica. Si tratta di DOGE, il dipartimento guidato da Elon Musk e Vivek Ramaswamy, i cui esiti per il momento però non possono che essere incerti.

Addio preoccupazioni per l’inflazione, benvenute preoccupazioni per la recessione

In realtà sono preoccupazioni che albergano sui mercati – e che sono parzialmente riflesse nel mercato dei bond – ormai da qualche settimana. L’atteggiamento più hawkish in pubblico di Jerome Powell non sembrerebbe aver tolto dalla mente dei mercati che ora il rischio è quello di essere in ritardo sul ciclo e di arrivare con tassi troppo alti (e superiori al tasso neutrale). Tassi troppo alti che finirebbero per favorire un trend di rallentamento atteso per l’economia USA e più in generale per l’economia a livello mondiale.

A esacerbare il rischio recessione, i dazi di Trump: un rallentamento considerevole dei commerci internazionali avrebbe, secondo gli specialisti, un effetto recessivo importante su tutte le principali economie. Siamo però ancora nel campo delle ipotesi. Chi ha una certa esperienza delle cose dei mercati e di quelle politiche non potrà che ricordarsi di quanto, in passato, le promesse elettorali siano state poi diverse dalla realtà.

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Investimenti

Parla Jerome Powell: a rischio tagli da 25 punti base a dicembre? Mercati risk on giù!

Parla Jerome Powell e gela chi attende tagli certi e spediti: mancano segnali da economia.

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FED TAGLI PARLA POWELL

Jerome Powell conferma quello che è il sentiment che ha iniziato a serpeggiare sui principali mercati già da oggi. Non vi è alcuna fretta, dice il Presidente di Federal Reserve, di mettere mano ai tagli. Una situazione complessivamente articolata, quella che si sta verificando negli USA, che si basa però su un caposaldo importante: l’economia sta andando bene e le pressioni sono tornate sulla necessità di tagliare l’inflazione piuttosto che sullo stimolo all’economia.

I mercati ancora aperti, come quello di Bitcoin, hanno reagito con una contrazione importante, testimoniando così la dipendenza almeno sul medio e lungo periodo del ritorno su livelli di tassi non restrittivi. Per la reazione delle borse principali, al netto di quanto sta avvenendo sull’after hours, si dovrà comunque aspettare domani. Di tempo affinché i mercati digeriscano quanto in realtà avevano iniziato a digerire già da oggi ce n’è.

Un Jerome Powell titubante: tagli potranno aspettare

Non è chiaro se si sia riferito già all’appuntamento del 18 dicembre, ultimo dell’anno, durante il quale i mercati si attendono comunque in maggioranza che ci siano dei tagli da 25 punti base. Ad ogni modo Jerome Powell è stato relativamente chiaro: l’economia non sta mandando segnali che spingano Federal Reserve ad affrettarsi nel taglio ai tassi.

Un gioco di equilibri all’interno di una singola frase che però lascia aperta la porta comunque a tagli a gennaio per poi rivalutare la situazione già a gennaio 2025. Jerome Powell continua inoltre a indicare nei dati l’unica bussola che Fed seguirà per le prossime decisioni. Dichiarazioni che non indicano in realtà nulla di nuovo, ma che sono bastate a gettare nello sconforto almeno parte degli asset risk on. La sentenza definitiva arriverà domani, alla riapertura di mercati tradizionali, che decreteranno se ci sarà ulteriore spazio per la corsa oppure se sarà il caso riconsiderare la corsa incredibile che ha comunque occupato tutto il 2024.

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News Economia

Inflazione secondo aspettative negli USA: +2,6% per CPI, +3,3% per CORE. Ora tagli in dubbio?

Arrivano i dati dell’inflazione USA, perfettamente allineati con le previsioni. Bitcoin spinge verso il record.

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INFLA USA COSA

Tutto secondo previsioni, o forse no. L’inflazione negli USA fa registrare una Core ferma al 3,3%, e un’inflazione classica al 2,6%, vicina a quella delle previsioni che si erano però rapidamente innalzate nel corso delle ultime ore. Siamo dunque in linea con quanto i mercati si aspettavano, per quanto questi dovranno emettere la loro sentenza definitiva durante la riapertura dei mercati alle 15:30 ora italiana. Difficile interpretare per ora, alla luce del rimbalzo per l’inflazione classica, quali saranno gli intendimenti di Federal Reserve per l’incontro del FOMC di dicembre, che è ancora in bilico per quanto riguarda la possibilità di tagliare o non tagliare i tassi di ulteriori 25 punti base.

Una situazione che comunque non è di particolare angoscia per i mercati, che non prenderebbero forse troppo male la possibilità di rallentare il percorso di ritorno verso i tassi neutrali (che però nessuno conosce), cosa che potrebbe essere interpretata anche come maggiore fiducia verso il soft landing, l’atterraggio morbido per l’economia USA che potrebbe a questo punto evitare la recessione.

Intanto i mercati già aperti…

Per ora atteggiamento pimpante anche sul mercato di riferimento quando le borse USA sono chiuse, ovvero quello di Bitcoin. Spike verso l’alto poi ampiamente corretto e poi ripartito, segno che di incertezza ce n’è ancora tanta e che servirà a conferma la guida da parte delle borse USA per capire quale direzione prendere.

Dati che dunque non cambiano granché a livello macro – con i prossimi sul mercato del lavoro che potrebbero essere i più importanti per quanto riguarda la prossima decisione di Federal Reserve. Decisione che comunque non sarà granché decisiva in termini di ritorno verso tassi espansivi. Come ha già ricordato infatti Jerome Powell, siamo ancora ampiamente in territorio restrittivo e con ogni probabilità dovremo rimanerci ancora a lungo, almeno fino a quando non si sarà convinti al 100% della traiettoria dell’inflazione verso il 2%.

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Investimenti

Parla Neel Kashkari di Fed Minneapolis: se inflazione sopra +2,4% no tagli ai tassi

Si riapre lo scenario del “no tagli” a dicembre. Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis.

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KASHKARI TAGLI

Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis – tra i falchi designati di questo ciclo – che mette le mani avanti sulle prossime decisioni di Federal Reserve per quanto riguarda i tassi di interesse, che saranno dettate anche dal dato sull’inflazione in arrivo il 13 novembre. Un dato sull’inflazione che ci si aspetta relativamente alto e in controtendenza rispetto al calo degli scorsi mesi.

Un dato alto che potrebbe, dice Kashkari, mettere in dubbio il taglio previsto per dicembre, ovvero il secondo dei tagli che sarebbero dovuti arrivare a conclusione del 2024. Poco male, per quanto i mercati preferirebbero certamente avere un altro taglio e dunque un ritorno a maggiore liquidità il prima possibile.

Tra il dire e il fare, lo spauracchio dell’inflazione…

Il problema torna a essere quello di qualche mese fa. L’inflazione potrebbe tornare a fare capolino. Tenendo conto di un mercato del lavoro che è però ancora forte, potrebbe essere proprio l’aumento dei prezzi per i consumatori a tornare preponderante e dunque a indirizzare le prossime decisioni di Fed. Questo almeno nella lettura di Neel Kashkari, che ha un atteggiamento mediamente hawkish e che i mercati non sembrerebbero condividere appieno.

Servirebbe un dato importante – nel senso di un dato più alto delle previsioni – che sono fissate intorno al 3,3% in termini di consenso per la Core e al 2,4% invece per l’inflazione classica. Per ora Fed Watchtool indica come probabilità dei tagli di 25 punti base a dicembre il 62%. Qualcosa che potrebbe cambiare comunque secondo il dato di domani, come ha appunto indicato Kashkari, che sarà anche hawkish, ma che nel caso di inflazione più alta del previsto potrebbe finire per avere ragione. Una ragione che potrebbe avere un impatto negativo su borse che stanno vivendo un grande 2024. E che aprirebbe però di nuovo ad una lettura ancor più interessante: se si può rallentare sui tagli, vuol dire che Fed ha enorme fiducia sulla possibilità di un soft landing, fiducia dettata dallo stato complessivo dell’economia USA.

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Investimenti

Federal Reserve taglia di 25 punti base. Occhi puntati sul discorso di Jerome Powell

Federal Reserve taglia i tassi di 25 punti base. Ora parla Powell che darà una direzione ai mercati.

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Fed tagli tassi

Il FOMC delibera quanto era più che scontato. Taglio di 25 punti base ai tassi di interesse negli USA, seguendo quanto Powell aveva già indicato nella precedente riunione. Dovrebbe essere, a meno di clamorosi rimbalzi da parte dell’inflazione, il penultimo dei tagli di questo 2024. Cosa che però dovrà essere confermata anche dalla conferenza stampa di rito di Jerome Powell che si terrà alle 20.30 ora italiana. Una conferenza stampa che arriva al termine di una settimana che è stata dominata dalla questione elettorale.

La vittoria di Donald Trump non impatterà in alcun modo sulle prossime decisioni di una banca centrale, Federal Reserve, che rimane la più indipendente dal potere politico al mondo. Cii sarà però da fare qualche considerazione di medio e lungo periodo, in particolare in corrispondenza con politiche fiscali che si preannunciano come fortemente espansive, politiche fiscali che dovranno con ogni probabilità portare ad una sorta di contenimento delle politiche monetarie gestite da Federal Reserve.

Tutto secondo programma

Tutto secondo programma da Federal Reserve, con il FOMC che chiude la riunione comunicando tagli da 25 punti base. Tagli che erano stati in realtà anticipati da Jerome Powell e che sono giustificati sia da un rallentamento dell’inflazione, sia al tempo stesso da un rallentamento del mercato del lavoro. Per ora le condizioni per un soft landing sembrerebbero confermate: trimestrali e PIL confermano un’economia USA ancora in salute.

L’ultima parola però dovranno darla i mercati, per ora relativamente fiduciosi di quanto sta facendo Powell – tenendo però sempre conto del fatto che non tutto sarà nelle mani di Federal Reserve. Ora occhi puntati sulla conferenza stampa di Jerome Powell: il Presidente di Federal Reserve non è uomo di grandi proclami – e gli analisti si produrranno in esegesi di gesti, sguardi e parole per cercare di capire quale sarà la prossima direzione di Federal Reserve in termini di tassi.

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