News Economia
NatWest: profitti da capogiro, ma crollano le azioni
La National Westminster Bank (NatWest), la banca commerciale britannica sussidiaria del gruppo Royal Bank of Scotland, ha registrato profitti da capogiro nel primo trimestre del 2023 grazie all’aumento dei tassi d’interesse nel Regno Unito.
Il gruppo bancario, infatti, ha dichiarato di non aver risentito delle turbolenze bancarie che hanno portato al fallimento della Silicon Valley Bank e di Credit Suisse il mese scorso e, nonostante l’incertezza, è riuscito a registrare un aumento del 50% dei profitti a 1,9 miliardi di sterline (pari a più di 2 miliardi di dollari) nei primi tre mesi dell’anno. Il risultato è di gran lunga migliore rispetto alle previsioni di 1,6 miliardi di sterline degli analisti.
Dati deludenti dei depositi nonostante l’aumento degli utili
Secondo quanto è stato dichiarato venerdì 28 aprile, i ricavi sono aumentati del 29% a 3,9 miliardi di sterline (poco meno di 5 miliardi di dollari), appena sopra le stime degli analisti di 3,8 miliardi. La forte performance di NatWest è stata trainata dall’aumento dei tassi d’interesse nel Regno Unito, che nell’ultimo anno sono saliti al 4,25% e hanno permesso agli istituti di credito britannici di chiedere più prestiti e mutui.
Nonostante ciò, gli analisti sono rimasti delusi dal fatto che le prospettive per l’anno in corso, con un fatturato di 14,8 miliardi di sterline (circa 18,5 miliardi di dollari), siano rimaste invariate nonostante i tassi di interesse siano saliti a marzo di 0,25 punti percentuali in più rispetto alle aspettative dei risultati annuali della banca.
NatWest ha anche dichiarato che il suo reddito netto da interessi, che rappresenta la differenza tra ciò che paga ai risparmiatori e ciò che addebita ai mutuatari, è balzato del 43% a 2,9 miliardi di sterline (pari a circa 3,6 miliardi di dollari) nel primo trimestre.
Nonostante le pressioni inflazionistiche, gli accantonamenti della banca per i crediti inesigibili, pari a 70 milioni di sterline (più di 87 milioni di dollari), sono stati significativamente inferiori alle stime degli analisti di 238 milioni di sterline (circa 296 milioni di dollari) e si sono confrontati con un rilascio di 36 milioni di sterline nello stesso periodo del 2022.
Tuttavia, gli investitori, che rimangono nervosi sulla scia della crisi bancaria di marzo, hanno venduto le azioni della banca, che venerdì sono scese del 5%, facendo di NatWest il maggior ribassista del FTSE 100, un indice azionario delle 100 società più capitalizzate quotate alla borsa valori London Stock Exchange.
Il calo del prezzo delle azioni è sembrato guidato da una serie di fattori che hanno portato alla perdita di valore della banca. Il calo del titolo è stato determinato dalla delusione per le prospettive della banca per l’intero anno, che sono rimaste invariate, e per il calo di quasi 20 miliardi di sterline (pari a quasi 25 miliardi di dollari) dei depositi.
Gli azionisti si sono preoccupati di qualsiasi segnale di potenziale sofferenza, dopo che gli investitori hanno iniziato a ritirare il loro denaro dalle piccole banche statunitensi e a scaricarlo sui grandi istituti di credito statunitensi, tra cui JP Morgan.
Tuttavia, l’amministratrice delegata di NatWest, Alison Rose, ha dichiarato che le turbolenze del mese scorso non sono state la forza trainante del calo dei depositi. Al contrario, il calo è in gran parte legato alla cessione della Ulster Bank in Irlanda e al pagamento delle tasse da parte dei clienti alla fine dell’anno finanziario.
Anche la concorrenza con le banche rivali ha giocato un ruolo importante, con i clienti che hanno cercato di ottenere tassi di risparmio più elevati, ma Rose ha anche rivelato che NatWest ha visto i clienti iniziare ad attingere ai propri risparmi per pagare debiti costosi e tenere il passo con l’inflazione dei prezzi. L’inflazione globale nel Regno Unito è attualmente del 10,1%, ben al di sopra dell’obiettivo del 2% fissato dalla Banca d’Inghilterra.
Il comunicato stampa di NatWest ha inoltre sottolineato che il calo dei saldi è stato influenzato anche dalla minore liquidità delle famiglie, suggerendo che i clienti hanno avuto meno denaro a disposizione a causa della crisi del costo della vita. Tuttavia, Rose ha affermato che si tratta di un segno di prudenza da parte dei clienti nei confronti delle loro finanze.
Monitorando il comportamento dei clienti e osservando da vicino i segnali di difficoltà finanziaria, la banca, che è ancora per il 41,5% di proprietà dei contribuenti dopo il salvataggio statale del 2008, è comunque in grado di mettere in atto misure proattive per aiutare chi è in difficoltà in questo momento e chi è preoccupato per il futuro, è stato aggiunto.
Investimenti
Indagine di Fed: mercati temono recessione più di inflazione. Timore per i dazi di Donald Trump e per spesa pubblica
Secondo una recente indagine di Federal Reserve, l’inflazione non sarebbe più una preoccupazione, almeno per i professionisti della finanza. A preoccupare maggiormente ci sono gli effetti che la vittoria di Trump avrà sul debito pubblico, insieme a preoccupazioni per una recessione e anche per limitazioni al commercio globale. La prima e la terza, senza dubbio alcuno, sono legate al prossimo ciclo politico degli USA, che sarà governato da un presidente che ha promesso dazi importanti verso i paesi non allineati e anche verso quelli allineati che non riconosceranno la supremazia del dollaro.
Sul debito pubblico in crescita, ci saranno invece da valutare gli impegni, per ora solo di propositi, sulla riduzione considerevole delle agenzie federali e conseguentemente della spesa pubblica. Si tratta di DOGE, il dipartimento guidato da Elon Musk e Vivek Ramaswamy, i cui esiti per il momento però non possono che essere incerti.
Addio preoccupazioni per l’inflazione, benvenute preoccupazioni per la recessione
In realtà sono preoccupazioni che albergano sui mercati – e che sono parzialmente riflesse nel mercato dei bond – ormai da qualche settimana. L’atteggiamento più hawkish in pubblico di Jerome Powell non sembrerebbe aver tolto dalla mente dei mercati che ora il rischio è quello di essere in ritardo sul ciclo e di arrivare con tassi troppo alti (e superiori al tasso neutrale). Tassi troppo alti che finirebbero per favorire un trend di rallentamento atteso per l’economia USA e più in generale per l’economia a livello mondiale.
A esacerbare il rischio recessione, i dazi di Trump: un rallentamento considerevole dei commerci internazionali avrebbe, secondo gli specialisti, un effetto recessivo importante su tutte le principali economie. Siamo però ancora nel campo delle ipotesi. Chi ha una certa esperienza delle cose dei mercati e di quelle politiche non potrà che ricordarsi di quanto, in passato, le promesse elettorali siano state poi diverse dalla realtà.
Investimenti
Parla Jerome Powell: a rischio tagli da 25 punti base a dicembre? Mercati risk on giù!
Parla Jerome Powell e gela chi attende tagli certi e spediti: mancano segnali da economia.
Jerome Powell conferma quello che è il sentiment che ha iniziato a serpeggiare sui principali mercati già da oggi. Non vi è alcuna fretta, dice il Presidente di Federal Reserve, di mettere mano ai tagli. Una situazione complessivamente articolata, quella che si sta verificando negli USA, che si basa però su un caposaldo importante: l’economia sta andando bene e le pressioni sono tornate sulla necessità di tagliare l’inflazione piuttosto che sullo stimolo all’economia.
I mercati ancora aperti, come quello di Bitcoin, hanno reagito con una contrazione importante, testimoniando così la dipendenza almeno sul medio e lungo periodo del ritorno su livelli di tassi non restrittivi. Per la reazione delle borse principali, al netto di quanto sta avvenendo sull’after hours, si dovrà comunque aspettare domani. Di tempo affinché i mercati digeriscano quanto in realtà avevano iniziato a digerire già da oggi ce n’è.
Un Jerome Powell titubante: tagli potranno aspettare
Non è chiaro se si sia riferito già all’appuntamento del 18 dicembre, ultimo dell’anno, durante il quale i mercati si attendono comunque in maggioranza che ci siano dei tagli da 25 punti base. Ad ogni modo Jerome Powell è stato relativamente chiaro: l’economia non sta mandando segnali che spingano Federal Reserve ad affrettarsi nel taglio ai tassi.
Un gioco di equilibri all’interno di una singola frase che però lascia aperta la porta comunque a tagli a gennaio per poi rivalutare la situazione già a gennaio 2025. Jerome Powell continua inoltre a indicare nei dati l’unica bussola che Fed seguirà per le prossime decisioni. Dichiarazioni che non indicano in realtà nulla di nuovo, ma che sono bastate a gettare nello sconforto almeno parte degli asset risk on. La sentenza definitiva arriverà domani, alla riapertura di mercati tradizionali, che decreteranno se ci sarà ulteriore spazio per la corsa oppure se sarà il caso riconsiderare la corsa incredibile che ha comunque occupato tutto il 2024.
News Economia
Inflazione secondo aspettative negli USA: +2,6% per CPI, +3,3% per CORE. Ora tagli in dubbio?
Arrivano i dati dell’inflazione USA, perfettamente allineati con le previsioni. Bitcoin spinge verso il record.
Tutto secondo previsioni, o forse no. L’inflazione negli USA fa registrare una Core ferma al 3,3%, e un’inflazione classica al 2,6%, vicina a quella delle previsioni che si erano però rapidamente innalzate nel corso delle ultime ore. Siamo dunque in linea con quanto i mercati si aspettavano, per quanto questi dovranno emettere la loro sentenza definitiva durante la riapertura dei mercati alle 15:30 ora italiana. Difficile interpretare per ora, alla luce del rimbalzo per l’inflazione classica, quali saranno gli intendimenti di Federal Reserve per l’incontro del FOMC di dicembre, che è ancora in bilico per quanto riguarda la possibilità di tagliare o non tagliare i tassi di ulteriori 25 punti base.
Una situazione che comunque non è di particolare angoscia per i mercati, che non prenderebbero forse troppo male la possibilità di rallentare il percorso di ritorno verso i tassi neutrali (che però nessuno conosce), cosa che potrebbe essere interpretata anche come maggiore fiducia verso il soft landing, l’atterraggio morbido per l’economia USA che potrebbe a questo punto evitare la recessione.
Intanto i mercati già aperti…
Per ora atteggiamento pimpante anche sul mercato di riferimento quando le borse USA sono chiuse, ovvero quello di Bitcoin. Spike verso l’alto poi ampiamente corretto e poi ripartito, segno che di incertezza ce n’è ancora tanta e che servirà a conferma la guida da parte delle borse USA per capire quale direzione prendere.
Dati che dunque non cambiano granché a livello macro – con i prossimi sul mercato del lavoro che potrebbero essere i più importanti per quanto riguarda la prossima decisione di Federal Reserve. Decisione che comunque non sarà granché decisiva in termini di ritorno verso tassi espansivi. Come ha già ricordato infatti Jerome Powell, siamo ancora ampiamente in territorio restrittivo e con ogni probabilità dovremo rimanerci ancora a lungo, almeno fino a quando non si sarà convinti al 100% della traiettoria dell’inflazione verso il 2%.
Investimenti
Parla Neel Kashkari di Fed Minneapolis: se inflazione sopra +2,4% no tagli ai tassi
Si riapre lo scenario del “no tagli” a dicembre. Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis.
Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis – tra i falchi designati di questo ciclo – che mette le mani avanti sulle prossime decisioni di Federal Reserve per quanto riguarda i tassi di interesse, che saranno dettate anche dal dato sull’inflazione in arrivo il 13 novembre. Un dato sull’inflazione che ci si aspetta relativamente alto e in controtendenza rispetto al calo degli scorsi mesi.
Un dato alto che potrebbe, dice Kashkari, mettere in dubbio il taglio previsto per dicembre, ovvero il secondo dei tagli che sarebbero dovuti arrivare a conclusione del 2024. Poco male, per quanto i mercati preferirebbero certamente avere un altro taglio e dunque un ritorno a maggiore liquidità il prima possibile.
Tra il dire e il fare, lo spauracchio dell’inflazione…
Il problema torna a essere quello di qualche mese fa. L’inflazione potrebbe tornare a fare capolino. Tenendo conto di un mercato del lavoro che è però ancora forte, potrebbe essere proprio l’aumento dei prezzi per i consumatori a tornare preponderante e dunque a indirizzare le prossime decisioni di Fed. Questo almeno nella lettura di Neel Kashkari, che ha un atteggiamento mediamente hawkish e che i mercati non sembrerebbero condividere appieno.
Servirebbe un dato importante – nel senso di un dato più alto delle previsioni – che sono fissate intorno al 3,3% in termini di consenso per la Core e al 2,4% invece per l’inflazione classica. Per ora Fed Watchtool indica come probabilità dei tagli di 25 punti base a dicembre il 62%. Qualcosa che potrebbe cambiare comunque secondo il dato di domani, come ha appunto indicato Kashkari, che sarà anche hawkish, ma che nel caso di inflazione più alta del previsto potrebbe finire per avere ragione. Una ragione che potrebbe avere un impatto negativo su borse che stanno vivendo un grande 2024. E che aprirebbe però di nuovo ad una lettura ancor più interessante: se si può rallentare sui tagli, vuol dire che Fed ha enorme fiducia sulla possibilità di un soft landing, fiducia dettata dallo stato complessivo dell’economia USA.
Investimenti
Federal Reserve taglia di 25 punti base. Occhi puntati sul discorso di Jerome Powell
Federal Reserve taglia i tassi di 25 punti base. Ora parla Powell che darà una direzione ai mercati.
Il FOMC delibera quanto era più che scontato. Taglio di 25 punti base ai tassi di interesse negli USA, seguendo quanto Powell aveva già indicato nella precedente riunione. Dovrebbe essere, a meno di clamorosi rimbalzi da parte dell’inflazione, il penultimo dei tagli di questo 2024. Cosa che però dovrà essere confermata anche dalla conferenza stampa di rito di Jerome Powell che si terrà alle 20.30 ora italiana. Una conferenza stampa che arriva al termine di una settimana che è stata dominata dalla questione elettorale.
La vittoria di Donald Trump non impatterà in alcun modo sulle prossime decisioni di una banca centrale, Federal Reserve, che rimane la più indipendente dal potere politico al mondo. Cii sarà però da fare qualche considerazione di medio e lungo periodo, in particolare in corrispondenza con politiche fiscali che si preannunciano come fortemente espansive, politiche fiscali che dovranno con ogni probabilità portare ad una sorta di contenimento delle politiche monetarie gestite da Federal Reserve.
Tutto secondo programma
Tutto secondo programma da Federal Reserve, con il FOMC che chiude la riunione comunicando tagli da 25 punti base. Tagli che erano stati in realtà anticipati da Jerome Powell e che sono giustificati sia da un rallentamento dell’inflazione, sia al tempo stesso da un rallentamento del mercato del lavoro. Per ora le condizioni per un soft landing sembrerebbero confermate: trimestrali e PIL confermano un’economia USA ancora in salute.
L’ultima parola però dovranno darla i mercati, per ora relativamente fiduciosi di quanto sta facendo Powell – tenendo però sempre conto del fatto che non tutto sarà nelle mani di Federal Reserve. Ora occhi puntati sulla conferenza stampa di Jerome Powell: il Presidente di Federal Reserve non è uomo di grandi proclami – e gli analisti si produrranno in esegesi di gesti, sguardi e parole per cercare di capire quale sarà la prossima direzione di Federal Reserve in termini di tassi.
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