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NatWest: il Regno Unito estende il processo di vendita

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Il governo britannico sta estendendo di altri due anni un piano di negoziazione per aiutare a vendere la partecipazione dei contribuenti in NatWest Group (National Westminster Bank), una banca commerciale britannica, sussidiaria dal 2000 del gruppo Royal Bank of Scotland.

Dopo che il nervosismo globale del settore bancario ha fatto crollare i prezzi delle azioni, l’obiettivo è quello di ridurre la quota di proprietà statale rimanente della banca, pari al 41,5%. Il ministero delle Finanze britannico ha dichiarato lunedì 3 aprile che il governo avrà ora tempo fino all’11 agosto del 2025 per completare il suo piano di trading, che prevede la cessione ad altri investitori di un massimo del 15% delle azioni totali di NatWest.

immagine di presentazione della notizia sul governo britannico che estende il processo di vendita di NatWest
Il governo britannico ha tempo fino all’agosto 2025 per completare il suo piano di negoziazione per la vendita di NatWest

Governo britannico: obiettivo privatizzazione completa di NatWest entro il 2026

Il Tesoro (His Majesty’s Treasury, Il Tesoro di Sua Maestà) e UK Government Investments (UKGI), che gestisce le azioni per conto del Governo, hanno dichiarato che non venderanno le azioni a un prezzo iniquo. Le azioni non possono essere vendute nell’ambito del piano di trading al di sotto di un prezzo per azione che UKGI e HM Treasury ritengono rappresenti un valore equo e che garantisca un buon rapporto qualità-prezzo per il contribuente per tutta la durata del piano di trading, hanno dichiarato lunedì in un comunicato.

Una serie di vendite di azioni, infatti, ha riportato la banca (allora chiamata Royal Bank of Scotland Group) alla proprietà privata di maggioranza lo scorso anno, dopo essere stata salvata al culmine della crisi finanziaria globale del 2008.

Il governo non è stato, tuttavia, in grado di recuperare il denaro investito per salvare la banca in difficoltà durante la crisi. Ha, infatti, acquistato la sua partecipazione per 502 pence (circa 6,2 dollari) per azione. Prima dell’apertura dei mercati lunedì, le azioni di NatWest valevano circa 263 pence (circa 3,24 dollari).

Finora il piano di trading del governo ha fruttato al Tesoro circa 3,7 miliardi di sterline (pari a circa 4,5 miliardi di dollari) grazie alla vendita delle azioni. Il governo ha venduto azioni anche in altri modi, ma possiede ancora circa il 41,5% della banca.

Il piano di negoziazione di NatWest prevede ulteriori vendite a goccia ed è uno dei metodi principali del governo per ridurre la sua partecipazione, oltre alla vendita di quote maggiori a investitori privati o direttamente a NatWest. Questo piano è stato prorogato per la seconda volta, dopo essere stato lanciato originariamente nel 2021, e continuerà ad essere gestito dalla banca di investimento Morgan Stanley, con sede a New York.

La Commissione ha dichiarato che l’UKGI e il Ministero del Tesoro continueranno a prendere in considerazione altre opzioni per ridurre la sua partecipazione, tra cui il riacquisto diretto e/o l’accelerazione del book building (il procedimento attraverso il quale si determina il prezzo delle azioni da quotare in Borsa tramite un’offerta pubblica iniziale) quando le condizioni di mercato lo permetteranno. Tuttavia, ciò avverrà solo quando si raggiungerà un buon rapporto qualità-prezzo per i contribuenti, è stato aggiunto.

Inoltre, la decisione di estendere il piano di trading non preclude al Ministero del Tesoro la possibilità di effettuare altre cessioni che comportino un vantaggio economico per i contribuenti, anche durante il periodo di validità del piano di trading, secondo quanto è stato dichiarato.

Il governo britannico ha ribadito il suo impegno a privatizzare completamente NatWest entro il 2026 nel suo bilancio del mese scorso.

NatWest possiede Ulster Bank, che sta per ritirarsi dal mercato irlandese.

immagine di carta bancomat di NatWest
Il governo britannico ha dichiarato di voler privatizzare completamente NatWest entro il 2026

NatWest in breve

La National Westwinster Bank nasce nel 1970 dalla fusione completa di tre istituti bancari precedenti: la National Provincial Bank, la Westminster Bank, e la District Bank. Le banche Coutts & Co., Ulster Bank e Isle of Man Bank sono rimaste, invece, società autonome. Dall’operazione è risultata la quinta più grossa banca del mondo.

Nel corso dei decenni, la banca si è espansa internazionalmente, creando la National Westminster Bancorp negli Stati Uniti con una rete di 340 filiali in due stati, la National Westminster Bank of Canada e la NatWest Australia Bank, nonché aprendo sedi in Europa e in Estremo Oriente.

Durante gli anni Novanta, poi, la NatWest ha venduto le filiali estere, scegliendo di concentrarsi sul mercato interno con il nuovo nome di NatWest Group.

Nel 2000 la Royal Bank of Scotland ha preso il controllo della NatWest: dopo essere stata la banca britannica più redditizia, quindi, è stata cancellata dal listino della London Stock Exchange ed è diventata, con le sue collegate, una società del gruppo Royal Bank of Scotland.

In questo modo, il gruppo RBS è ora il secondo maggiore gruppo bancario in Europa (dopo la HSBC) e il quinto del mondo per capitalizzazione di borsa. NatWest ha conservato il proprio marchio e la propria licenza bancaria, ma molte funzioni sono state accentrate con quelle del gruppo.

Con un forte interesse per i fondamentali delle società e le notizie interne, è una persona curiosa e versatile che cerca di approfondire le sue conoscenze e rimanere sempre aggiornata leggendo report trimestrali.

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Investimenti

Donald Trump minaccia i BRICS: pronti dazi del 100% se attaccheranno il dollaro

Donald Trump torna su dazi e minaccia di nuovo i BRICS. Niente accesso agli USA se…

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Dazi Trump BRICS

Continuano le discussioni sui dazi negli Stati Uniti, dazi che dovranno arrivare – almeno secondo programmi – dopo il giuramento del futuro presidente Donald Trump, il prossimo 20 gennaio. Dazi che hanno già fatto discutere per quanto riguarda gli alleati storici degli Stati Uniti e che però potrebbero farsi molto più seri nei confronti dei BRICS, o meglio, dei paesi che amano maggiormente un consesso di paesi non allineati e del quale si parla con sempre maggiore insistenza. Secondo quanto affermato da Donald Trump direttamente sul social Truth, il governo USA potrà imporre dazi del 100% sui paesi BRICS che proveranno a attaccare il dollaro USA.

Secondo quanto è stato riportato da Yahoo Finance, il messaggio sarebbe stato indirizzato a tutti i principali membri dei BRICS, tra i quali figurano non solo la Russia, ma anche Brasile, India, Cina, Iran, Emirati, Egitto e Etiopia. Un consesso che presto potrebbe allargarsi e che potrebbe vedere anche l’ingresso di un alleato storico, ovvero la Repubblica di Turchia. Non è chiaro però a quali manovre per minare la supremazia del dollaro faccia riferimento Donald Trump.

Una questione emersa già in campagna elettorale

Una difesa del dollaro – costi quel che costi – era già venuta fuori durante la campagna elettorale che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca. Questa volta però ha preso la forma di un avviso a mezzo social, che afferma che se BRICS cercherà di creare una valuta o di supportarne altre per rimpiazzare il dollaro, si vedranno negare l’accesso ai mercati USA, con dazi del 100%.

La questione è di massimo interesse politico, dato che recentemente anche Vladimir Putin si era espresso sul tema, dicendo che l’interesse nella ricerca di alternative era dettato principalmente dal controllo politico della valuta che è ad oggi ancora riserva mondiale e – soprattutto – anima principale del commercio su scala internazionale.

Trump si è dimostrato comunque in più occasioni piuttosto convinto della capacità del dollaro di preservare il suo primato. E, a quanto parrebbe dopo il post di oggi, sarebbe pronto a qualunque cosa (o quasi) affinché tale minaccia non prenda forma.

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Investimenti

Germania: 2 miliardi di euro per l’industria dei chip. Arriva il piano del governo

Arrivano i sussidi in Germania per l’industria dei chip. 2 miliardi sul tavolo.

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Chip sussidi germania

La via europea ai chip passerà per un vecchio pallino della politica industriale dell’unione: gli incentivi. Secondo quanto è stato riportato da Bloomberg News, al fine di colmare il gap tanto con gli USA quanto con l’Asia, la Germania starebbe preparando un piano di almeno 2 miliardi di dollari in sussidi per favorire l’industria dei semiconduttori nel paese. Per ora però dal Ministero delle Finanze tedesco non arrivano conferme, per un tema che lo scorso anno era diventato più che politico a causa di una querelle riguardante gli investimenti di Intel nella Repubblica Federale.

Se tanti brinderanno ad un piano relativamente ambizioso, altri certamente contesteranno una politica di incentivi che su altri settori ha fallito, in particolare quello legato al mondo EV e delle energie pulite, per un’Europa che ormai discute incessantemente di misure per far riprendere la crescita e l’innovazione nel mercato comune. Innovazione e crescita che sono diventate, nel corso degli ultimi anni, sempre di più un miraggio, soprattutto nei settori a più alto margine e valore aggiunto.

2 miliardi per colmare il gap

Non è chiaro se si tratterebbe per il momento di un primo tentativo di sussidio all’interno di un programma più ampio, oppure di una mossa una tantum. Per avere un metro di paragone, il governo degli Stati Uniti ha assegnato a TMSC la scorsa settimana 6,5 miliardi di dollari di sussidio, all’interno di un programma di inshoring delle industrie ritenute strategiche.

Nel complesso il solo sito in Arizona di TMSC ha comportato spese per 65 miliardi di dollari, ovvero di circa 30 volte i sussidi che la Germania sarebbe pronta a mettere in campo.

L’unica conferma che arriva dal Ministero delle Finanze tedesco è che si tratta, citiamo testualmente, di un investimento in singola cifra sulla parte bassa (calcolata in miliardi). Difficilmente si tratterà di cifre più elevate. Al centro delle proposte che saranno ricevute, ci sarà la sostenibilità della stessa industria, altro tema che si è fatto in queste settimane molto scottante ai massimi livelli della discussione politica europea.

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Investimenti

Dal FOMC poche sorprese: Federal Reserve delinea una strada possibile per i 25 punti base a dicembre

Dai verbali del FOMC non vengono fuori grandi sorprese. Mercati immobili, tranne quello delle criptovalute.

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FED FOMC VERBALI

I verbali del FOMC, la riunione di Federal Reserve che si occupa (anche) di tassi di interesse, non hanno riservato grandi sorprese. La più potente delle riunioni monetarie globali aspetterà altri dati dall’andamento dei prezzi prima di prendere ulteriori decisioni. Le proiezioni rimangono grossomodo vicine a quelle del meeting precedente, con l’aspettativa concreta di vedere un rallentamento di tutti i principali indicatori dei prezzi. Atteggiamento simile alla precedente riunione anche per quanto riguarda invece il mercato del lavoro. Un suo ulteriore rallentamento avrebbe un impatto certo sull’andamento dell’economia, comandando in quel caso un’accelerazione del percorso di tagli.

La grande incognita però riguarda il tasso di interesse neutrale: i falchi in seno a Federal Reserve continuano a ripetere che per questo ciclo saranno più alti del solito, cosa però incerta data l’incertezza dei modelli che vengono utilizzati per misurarli. L’indicarli come più alti è funzionale ad un percorso di riduzione dei tassi più lento. I mercati non hanno reagito granché alla notizia, con il grosso nervosismo che si nota solo sul fronte delle criptovalute, con Bitcoin che si trova a correggere complessivamente dai massimi vicino ai 100.000$ ai 91.500$ di oggi.

Ancora grande incertezza per il FOMC

Sarà ancora un FOMC data driven quello del 18 dicembre. E per il 18 dicembre i mercati continuano con un rapporto 60/40 sì tagli, no tagli, che è fondamentalmente immutato ormai da qualche giorno. Secondo le precedenti proiezioni del FOMC, quelle del dot plot di settembre, ci dovrebbe essere un altro taglio. Ma sia la resilienza del mondo del lavoro, sia invece una certa persistenza dell’inflazione sembrerebbero mettere in dubbio il percorso.

Saranno fondamentali i dati in arrivo il 27 novembre, alle 14:30, per il PCE, uno degli indicatori ritenuti più utili da Federal Reserve e in particolare da Jerome Powell per rendersi conto di come stiano andando i mercati.

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Investimenti

Borse pimpanti per nomina di Scott Bessent, poi correggono. Male Bitcoin, sotto i 95.000$. La settimana del Black Friday si conferma…

…una settimana fatta anche di assurdità sui mercati risk on. A fondo il petrolio, che paga l’aria di cessate il fuoco in Medio Oriente.

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WS BESSENT

Una giornata coi fiocchi quella che da il benvenuto al nuovo Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent. La scelta di Donald Trump piace ai mercati, con SPX500 che supera i 6.000 in apertura, salvo poi correggere all’interno di una giornata dal gusto dolce-amaro per i principali asset di rischio. Notevole anche la performance di Bitcoin, che perde il supporto dei 95.000$, correggendo dopo essere stato per giorni ad un passo dalla soglia psicologica dei 100.000$.

Una giornata di quelle da ricordare presso le principali piazze finanziarie internazionali, complici diverse evoluzioni che hanno contribuito ad un indebolimento del dollaro. Male anche il petrolio, che lascia oltre il 3% sui mercati e chiude sotto i 70$, complice un avvicinamento tra Israele e Hamas in termini di una possibile soluzione del conflitto, con un raggiungimento del cessate il fuoco che sembrerebbe essere di nuovo sul tavolo.

Arriva Scott Bessent: i mercati reagiscono a modo loro

L’entusiasmo c’è stato, ed è stato però limitato alla prima sessione della seduta americana, che ha visto un impennata dei principali indici, trascinati principalmente da aziende che hanno una parte rilevante del loro business all’interno dei confini degli Stati Uniti. La scelta di Scott Bessent, navigato operatore nel mondo dei fondi hedge, sembrerebbe essere piaciuta ai mercati di rischio, che però poi hanno corretto trascinandosi dietro i più estesi degli asset di questa categoria. Su tutti Bitcoin, che chiude una giornata forse non da incubo, ma comunque di importante correzione sotto quota 95.000$.

Il tutto all’interno di una settimana storicamente particolare per i mercati USA: è la settimana infatti del Ringraziamento (che vedrà le borse chiuse giovedì) e del Black Friday, tra le altre cose di un anno elettorale. Manca comunque poco alla configurazione finale del governo Trump, che darà forse, almeno a livello di promesse elettorali, una prima direzione ai mercati. Con un occhio vigile sempre sui dati della settimana, che saranno dominati dal PCE, ritenuto un indicatore di enorme importanza da parte di Federal Reserve.

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Indagine di Fed: mercati temono recessione più di inflazione. Timore per i dazi di Donald Trump e per spesa pubblica

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Paura Mercati Inflazione Fed

Secondo una recente indagine di Federal Reserve, l’inflazione non sarebbe più una preoccupazione, almeno per i professionisti della finanza. A preoccupare maggiormente ci sono gli effetti che la vittoria di Trump avrà sul debito pubblico, insieme a preoccupazioni per una recessione e anche per limitazioni al commercio globale. La prima e la terza, senza dubbio alcuno, sono legate al prossimo ciclo politico degli USA, che sarà governato da un presidente che ha promesso dazi importanti verso i paesi non allineati e anche verso quelli allineati che non riconosceranno la supremazia del dollaro.

Sul debito pubblico in crescita, ci saranno invece da valutare gli impegni, per ora solo di propositi, sulla riduzione considerevole delle agenzie federali e conseguentemente della spesa pubblica. Si tratta di DOGE, il dipartimento guidato da Elon Musk e Vivek Ramaswamy, i cui esiti per il momento però non possono che essere incerti.

Addio preoccupazioni per l’inflazione, benvenute preoccupazioni per la recessione

In realtà sono preoccupazioni che albergano sui mercati – e che sono parzialmente riflesse nel mercato dei bond – ormai da qualche settimana. L’atteggiamento più hawkish in pubblico di Jerome Powell non sembrerebbe aver tolto dalla mente dei mercati che ora il rischio è quello di essere in ritardo sul ciclo e di arrivare con tassi troppo alti (e superiori al tasso neutrale). Tassi troppo alti che finirebbero per favorire un trend di rallentamento atteso per l’economia USA e più in generale per l’economia a livello mondiale.

A esacerbare il rischio recessione, i dazi di Trump: un rallentamento considerevole dei commerci internazionali avrebbe, secondo gli specialisti, un effetto recessivo importante su tutte le principali economie. Siamo però ancora nel campo delle ipotesi. Chi ha una certa esperienza delle cose dei mercati e di quelle politiche non potrà che ricordarsi di quanto, in passato, le promesse elettorali siano state poi diverse dalla realtà.

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