Inflazione USA: il 14 agosto i dati che spaventano Jerome Powell

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Written by Gianluca Grossi
Attivo come analista economico dal 2009, collaboro con TradingOnline.com dove fornisco approfondimenti sul Forex, sulla macroeconomia e sul mercato azionario, prestando particolare attenzione alle economie in ascesa quali quelle di Turchia, Brasile, Indonesia e Cina. Ricopro inoltre il ruolo di caporedattore per il rinomato giornale online Criptovaluta.it, una risorsa chiave per chi è interessato al settore delle criptovalute e del Bitcoin. Il mio interesse si estende al mercato degli ETF, soprattutto quelli negoziati a New York, mantenendo sempre un'attenta osservazione sulle dinamiche di mercato.
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Mercoledì 14 agosto alle 14:30 – ora italiana – arriveranno i dati sull’inflazione degli Stati Uniti, dati che però sono, almeno da un anno a questa parte, i meno decisivi in termini di indirizzo delle prossime decisioni di politica monetaria da parte di Federal Reserve. La banca centrale degli Stati Uniti ha infatti già sufficienti elementi per procedere con un taglio di almeno 25 punti base il prossimo 18 settembre, con i dati che arrivano dal mercato del lavoro che dovrebbero essere più che sufficienti per garantire l’arrivo del pivot.

Questo nonostante nelle scorse settimane ci siano stati dubbi sulla possibilità di iniziare a tagliare senza dei segnali decisivi da parte dell’inflazione, in termini di ritorno verso il target del 2%. Il crollo dei mercati azionari – poi ampiamente rientrato – durante la scorsa settimana ha però spostato la finestra di possibilità nella considerazione delle prossime decisioni di Federal Reserve. Le stesse previsioni tramite Fed Watchtool parlano ora di un 50/50, ma non tra tagli e non tagli, ma tra i 25 punti base e i 50 punti base, unica questione ancora aperta.

L’inflazione sarà grossomodo ferma, ma non per questo diventerà un problema

In realtà il consenso che si sta formando sui dati sull’inflazione non si aspetta grandi modifiche sul dato rispetto alle letture precedenti. Ci si aspetta infatti un’inflazione CPI al 3,0%, dato identico a quello della lettura del mese scorso, e una Core a 3,2%, anche in questo caso a poca distanza da quanto riportato nel mese di luglio.

Non ci saranno dunque grandi progressi – cosa che si è verificata anche in Europa – e non ci si potrà aspettare dunque un grande effetto sulle prossime decisioni di Federal Reserve semplicemente leggendo i dati che arriveranno sull’inflazione.

Decisione che arriverà il prossimo 18 settembre e che – almeno secondo il consenso che si sta formando sui mercati – difficilmente lascerà i tassi intatti. Per i dati raccolti da Fed Watchtool, al 51,5% ci saranno tagli dello 0,25%, e al 48,5% di addirittura 50 punti base. La seconda di queste possibilità sarebbe un intervento di carattere emergenziale, che a questo punto sarebbe resa possibile soltanto in caso di altri dati negativi che dovessero arrivare da qui al 18 settembre prossimo.

Contano di più crescita e lavoro

Conteranno sicuramente di più crescita e mercato del lavoro, con la partita inflazione che almeno secondo i principali analisti è stata ormai portata a casa, per quanto servirà del tempo per tornare sul target del 2%.

Jerome Powell continua a ripetere di dovere e volere bilanciare tra due rischi, ovvero quello di tagliare troppo presto rilanciando l’inflazione, e quello di tagliare troppo tardi facendo sprofondare gli USA in una recessione.

Tra i due rischi, dato anche quanto avvenuto la scorsa settimana, sembra che il peggiore sia di gran lunga, ora, il secondo. Co gli attacchi – in relazione all’ultimo crollo di borsa – che sono arrivati tutti in direzione di Jerome Powell, sono ora in pochi a credere che si possa ancora attendere.

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