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BOE, perdita di £150 miliardi da QE di titoli di stato
Secondo le nuove previsioni riportate in un rapporto pubblicato martedì dalla Banca d’Inghilterra, il governo del Regno Unito si troverà ad affrontare una sfida finanziaria considerevole nei prossimi 10 anni a causa del programma di quantitative easing della banca centrale.
Il programma di quantitative easing, varato in seguito alla crisi finanziaria del 2009, ha visto la Banca d’Inghilterra acquistare obbligazioni per un valore totale di £875 miliardi al fine di stimolare l’economia. Tuttavia, le nuove stime indicano che il governo dovrà assorbire perdite notevoli pari a £150 miliardi durante il processo di riduzione del programma.
L’aumento dei tassi di interesse è uno dei fattori che ha contribuito a far lievitare il costo previsto per lo smantellamento del programma di acquisto di obbligazioni, aggiungendo ulteriori £50 miliardi alle proiezioni iniziali.
Il quantitative easing, un’arma a doppio taglio
In un periodo caratterizzato da tassi di interesse bassi, il programma ha permesso di generare profitti in quanto gli interessi pagati sulle riserve erano inferiori agli interessi ricevuti sugli obbligazioni acquistate tramite QE.
Nel 2012, George Osborne, all’epoca Cancelliere dello Scacchiere, prese la decisione di far fluire i fondi di nuovo al Tesoro. Questo ha avuto un effetto positivo sulle finanze pubbliche, poiché nel 2012 Osborne stabilì che i profitti ottenuti dal QE sarebbero stati utilizzati per ridurre il debito governativo, portando a un ammontare di circa £120 miliardi.
Tuttavia, nonostante tali fondi siano stati utilizzati per ridurre l’indebitamento governativo, non sono stati accantonati in un fondo separato per far fronte a possibili perdite future.
Questa mancanza di previdenza ha creato una situazione preoccupante: l’aumento dei tassi di interesse della Banca d’Inghilterra ha determinato una riduzione del valore di mercato delle obbligazioni, oltre ad aumentare gli interessi che la Banca paga alle banche commerciali che si prevede acquisteranno queste obbligazioni nei prossimi dieci anni.
Una situazione difficile per Rishi Sunak
I tassi di interesse hanno subito un notevole aumento, passando dallo 0,1% nel dicembre 2021 al 5% entro giugno 2023. Si prevede che raggiungeranno il picco del 5,75% entro la fine dell’anno, superando di gran lunga le proiezioni iniziali formulate quando il programma di quantitative easing è stato avviato, dove si stimava che i tassi sarebbero saliti solo al 2%-3%.
Al momento, la Banca d’Inghilterra è riuscita a ridurre le detenzioni di obbligazioni a poco più di £800 miliardi attraverso una combinazione di vendite dirette e il mancato reinvestimento dei proventi delle obbligazioni in scadenza. Le proiezioni della Banca d’Inghilterra ipotizzano una continuazione del declino delle detenzioni al ritmo attuale di £80 miliardi all’anno, al fine di attenuare eventuali perdite future.
Tuttavia, il governo si troverà nella necessità di coprire le perdite generate, e ciò avviene proprio in un momento in cui le finanze pubbliche stanno già subendo pressioni a causa dell’aumento dei tassi di interesse e dell’inflazione.
Inoltre, i membri del Partito Conservatore guidato dal Primo Ministro Rishi Sunak stanno esprimendo la volontà di attuare tagli fiscali prima delle probabili elezioni del 2024. Questa situazione crea una sfida ulteriore per il governo nel bilanciare le spese e le esigenze fiscali del paese.
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Apple, le vendite di iPhone in Cina aumentano del 6,6%. Arriva il botto
Apple beneficia dell’aumento delle vendite degli iPhone in Cina. L’azienda si prepara a chiudere il trimestre in maniera brillante recuperando gli antichi fasti.
La domanda di iPhone cresce, soprattutto in Cina. Il mercato degli smartphone in fibrillazione potrebbe portare Apple a registrare il più importante incremento di fatturato trimestrale degli ultimi due anni. Ricordiamo che ci stiamo avviando verso fine anno, periodo nel quale si concentra il maggior numero di uscite dell’azienda.
I risultati permetteranno agli analisti di capire come si stia muovendo la domanda dell’ultima serie di iPhone 16, che è stata lanciata pochi giorni prima delle fine del quarto trimestre fiscale dell’azienda. Anche se i riflettori saranno puntati principalmente sui commenti dei dirigenti sul primo trimestre fiscale, nel timore che il lento rilascio delle funzionalità collegate con Apple Intelligence possa in qualche modo frenare un attesissimo “super-ciclo” guidato dall’intelligenza artificiale.
Apple vuole recuperare terreno nell’intelligenza artifciale
Apple sta cercando di recuperare terreno nell’intelligenza artificiale rispetto ai rivali che operano negli smartphone – pensiamo ad Android ed a Samsung Electronics – e ai giganti che operano nel software, come Microsoft. L’obiettivo è quello di portare a casa delle implementazioni aggressive nelle applicazioni, in modo tale da poter sfruttare il boom dell’intelligenza artificiale generativa.
Toni Sacconaghi, analista di Bernstein, ha spiegato che la solidità del ciclo dell’iPhone 16 è la domanda più importante da porsi in vista del trimestre che si concluderà a dicembre e dell’anno fiscale 2025. Secondo Sacconaghi gli investitori dovrebbero aspettarsi un atteggiamento ottimista da parte di Apple nei confronti di iPhone 16 e Apple Intelligence, ma ciò potrebbe non necessariamente riflettere il successo finale del ciclo.
Nel corso della giornata di lunedì 28 ottobre 2024 Apple ha avviato un’implementazione delle funzionalità per i clienti statunitensi in lingua inglese: la novità ha debuttato pochi giorni dopo la messa in vendita dell’iPhone 16.
Per il momento appare certo che Apple Intelligence non sarà disponibile nei mercati chiave, tra cui Europa e Cina, dove il gigante della tecnologia è sotto pressione a causa della ripresa di Huawei e di altri attori nazionali come Vivo, Xiaomi e Honor.
Ciò ha suscitato preoccupazioni è il fatto che i clienti hanno la possibilità di posticipare gli acquisti dei dispositivi dalla stagione delle feste all’anno prossimo, ritardando un potenziale incremento delle vendite dovuto all’intelligenza artificiale.
Gli incrementi delle vendite di Apple
Stando alle stime redatte dagli analisti, nel corso del trimestre che si è concluso a settembre, Apple dovrebbe registrare un aumento del 3,8% nelle vendite di iPhone. Ciò interromperebbe due trimestri di declino.
Secondo i dati LSEG, si prevede che il fatturato complessivo aumenterà del 5,7% nel periodo luglio-settembre, che costituisce il quarto trimestre fiscale.
I ricavi di Apple in Cina potrebbero aumentare del 6,6%. Alcuni modelli di iPhone, tra cui una versione di iPhone 16 Plus, hanno avuto sconti del 10% sulla piattaforma di vendita al dettaglio online Pinduoduo prima del lancio ufficiale del modello.
Secondo i dati IDC, questo, insieme alla serie iPhone 16, ha aiutato Apple a conquistare la seconda quota di mercato più grande della Cina nel trimestre che si è concluso a settembre.
Le vendite di iPad sono destinate a crescere del 10,1%, arrivando a 7,09 miliardi di dollari, dopo un balzo del 23,7% nei tre mesi precedenti, trainate dal lancio di versioni più potenti del tablet.
Si prevede che il settore dei servizi, che comprende l’App Store e che solitamente supera la crescita dei dispositivi Apple, registrerà un aumento delle vendite del 13,3%, un po’ più lento rispetto al trimestre precedente.
L’azienda si trova ad affrontare crescenti ostacoli dopo che a giugno le autorità antitrust dell’Unione Europea hanno accusato Apple di aver violato le norme tecnologiche dell’Ue. Anche l’accordo redditizio di Apple con Alphabet, che rende Google il motore di ricerca predefinito in iOS, è sotto esame negli Stati Uniti
I risultati del quarto trimestre includeranno anche un onere fiscale una tantum di circa 10 miliardi di dollari, dopo che la corte suprema europea si è pronunciata contro Apple a settembre nella battaglia legale relativa alle questioni fiscali in Irlanda.
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Sullo yen domina ancora l’incertezza e registra un misero +0,28%. Riflettori puntati sulla BOJ e la Fed
Le quotazioni dello yen sono dominate dall’incertezza. I riflettori, ora come ora, sono puntati sulla BOJ e sulla Fed.
A pesare sulle quotazioni dello yen continuano ad essere i risultati delle elezioni in Giappone, dove la coalizione di governo ha perso la maggioranza parlamentare. Un cambio di passo politico che ha aumentato una serie di incertezze sulle prospettive politiche e monetarie del Paese.
Il dollaro, invece, si è rafforzato e ha raggiunto il suo recente massimo in vista della pubblicazione di una serie di dati importanti nel corso della settimana, che potrebbero condizionare la politica della Federal Reserve.
Lo yen registra un misero +0,28%
Lo yen ha registrato un +0,28% scambiato a 152,86 dollari, dopo che nella giornata di ieri (28 ottobre 2024) è crollato ad un minimo di 153,885, il livello più debole da luglio: le incertezze sulla composizione del futuro governo in Giappone pesano sui mercati valutari.
Katsunobu Kato, Ministro delle Finanze giapponese, ha spiegato che le autorità continueranno ad essere attente alle oscillazioni dei tassi di cambio.
Sono in molti ad attendersi un periodo contraddistinto da delle lotte per garantire una coalizione, dopo che il Partito Liberal Democratico e il suo partner Komeito sono riusciti a conquistare solo 215 seggi alla Camera Bassa: per ottenere la maggioranza ne erano indispensabili almeno 233.
Carol Kong, stratega valutario presso la Commonwealth Bank of Australia, ha spiegato che nel complesso i rischi sembrano essere orientati verso una politica fiscale più accomodante rispetto a quella adottata dal governo uscente. Carol Kong ritiene che insieme ai solidi dati economici degli Stati Uniti e alle maggiori prospettive di una vittoria di Trump, l’incertezza politica in Giappone potrebbe spingere al rialzo il cambio dollaro/yen nelle prossime settimane.
Ma non solo. Carol Kong aggiunge che l’elevata volatilità dei mercati finanziari potrebbe anche incoraggiare la Banca del Giappone (BOJ) a mantenere invariato il tasso di interesse di riferimento per un periodo più lungo di quanto attualmente previsto.
Lo yen si è avvicinato al minimo degli ultimi tre mesi e si è attestato a 165,24 contro l’euro e 198,12 contro la sterlina.
La BOJ, nel corso della giornata di giovedì, annuncerà la sua decisione di politica monetaria e sono in molti ad aspettarsi che la banca centrale decida di mantenere i tassi invariati.
Il dollaro continua a rimanere forte
Il dollaro si è stabilizzato e ha oscillato in un intervallo ristretto. Gli investitori sono stati titubanti nell’assumere nuove posizioni prima della pubblicazione dei dati; l’indice del dollaro è rimasto pressoché invariato a 104,29.
L’euro è rimasto invariato a 1,0811 dollari, mentre la sterlina è scesa dello 0,07% a 1,2963 dollari.
Una serie di dati economici che sottolineano la resilienza dell’economia statunitense hanno rafforzato il dollaro statunitense nel corso dell’ultimo mese, così come sono aumentate le scommesse di mercato su una vittoria del candidato repubblicano Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi della prossima settimana.
Le politiche di Trump in materia di tariffe, tasse e immigrazione sono considerate inflazionistiche, quindi negative per i titoli di Stato e positive per il dollaro.
L’attenzione è rivolta anche alla lettura dell’indice dei prezzi alla produzione di beni di consumo personali di settembre negli Stati Uniti (la misura preferita della Fed per l’inflazione) che uscirà giovedì, seguito dall’attento rapporto sulle buste paga non agricole di venerdì.
Ray Attrill, responsabile della strategia FX presso la National Australia Bank, spiega che i dati sull’occupazione di venerdì – se il PCE sarà pari allo 0,2% o allo 0,3% – saranno piuttosto importanti. Anche se le elezioni sono probabilmente il fattore più importante per la prossima settimana e potrebbero portare ad un aggiustamento dei prezzi.
Per quanto riguarda le altre valute, il dollaro neozelandese è sceso dello 0,13% a 0,5973 dollari, mentre il dollaro australiano è scivolato al suo livello più debole in oltre due mesi a 0,65602 dollari.
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Adidas, le vendite in Cina crescono del 9% a 946 milioni di euro
Le vendite in Cina di Adidas sono cresciute del 9%, ottenendo uno degli migliori risultati degli ultimi anni. Buoni i risultati anche in Nord America.
Nel corso del terzo trimestre 2024 Adidas ha registrato una forte crescita in Cina. Le vendite sono aumentate in Nord America rispetto al 2023, con la sola esclusione della collezione Yeezy, trainate dal crescente slancio del marchio: i numeri, diventati positivi nel corso del secondo trimestre, hanno mantenuto il trend anche in quello appena concluso.
A parità di cambio le vendite trimestrali di Adidas sono aumentate del 9% a 946 milioni di euro in Cina. Nello stesso periodo del 2023 si erano fermate a 870 milioni di euro: si tratta della vendite trimestrali più elevate registrate nella zona a partire da inizio 2022.
Adidas cresce in Cina
In Cina Adidas registra una performance decisamente positiva, in netto contrasto con quelle delle aziende analoghe che stanno lottando con la debole domanda dei consumatori e contro un’attesa, che sembra essere più lunga del previsto, sul ritorno della fiducia grazie alle misure di stimolo messe in atto da Pechino.
Il secondo mercato più importante dopo l’Europa per Adidas, ossia il Nord America, in Medio Oriente ed in Africa le vendite, al netto degli effetti valutari, sono diminuite del 7%, attestandosi a 1,36 miliardi di euro nel periodo compreso tra luglio e settembre. Ma rispetto allo scorso anno sono aumentate, con la sola esclusione della linea Yeezy.
I buoni risultati costituiscono l’ultima prova di una ripresa della fortuna di Adidas a quasi due anni dall’ingresso di Bjorn Gulden in qualità di Ceo. Gulden ha spiegato che, la forte crescita di base in Cina e il ritorno prima del previsto ai numeri positivi per il marchio Adidas in Nord America negli ultimi due trimestri, rafforzano la fiducia nel futuro a medio termine.
La tendenza delle scarpe terrace di Adidas, modelli retrò ispirati alle calzature dei tifosi di calcio degli anni ’70 e ’80, ha spinto le vendite dell’azienda tedesca di abbigliamento sportivo, aiutandola a guadagnare quote di mercato rispetto a rivali come Nike e riprendersi da una dura rottura con il rapper Kanye West, conosciuto come Ye.
Gulden ha cercato di liberarsi delle Yeezy rimaste invendute dopo la separazione dal rapper, suo ex partner creativo.
Le azioni della società sono state viste salire dell’1% nelle contrattazioni pre-mercato di Lang & Schwarz, viste in cima all’indice blue-chip tedesco. Il produttore tedesco di abbigliamento sportivo ha pubblicato i dati preliminari del terzo trimestre e ha nuovamente aumentato le sue previsioni annuali all’inizio di ottobre.
Groupe Bruxelles Lambert riduce la partecipazione in Adidas
Groupe Bruxelles Lambert ha ridotto la sua partecipazione in Adidas al 3,51%, come si evince dai documenti presentati oggi.
GBL, la holding di investimenti delle famiglie miliardarie Frère e Desmarais, aveva annunciato il 31 luglio di aver ridotto la sua quota dal 7,6% al 5,1%. Le azioni Adidas hanno avuto un andamento positivo lo scorso anno e sono aumentate del 16% dall’inizio del 2024. Un portavoce di GBL ha spiegato che hanno venduto alcune azioni, ma confermano il supporto all’azienda, al suo management e alla sua strategia.
Tra l’altro Arthur Hoeld, membro del consiglio di amministrazione e responsabile delle vendite globali, lascerà il consiglio esecutivo di Adidas alla fine di ottobre.
Il consiglio di sorveglianza e Hoeld hanno concordato di comune accordo la cessazione anticipata del suo incarico dopo che Hoeld ha dichiarato che non avrebbe prorogato il suo mandato oltre il 31 marzo 2026.
Mathieu Sidokpohou, attualmente direttore generale per l’Europa, succederà a Hoeld a partire dal 1° novembre 2024. Bjorn Gulden, in una nota, ha spiegato che Mathieu ha esattamente l’esperienza e l’atteggiamento di cui abbiamo bisogno in questa fase della nostra svolta per continuare con lo slancio e far crescere ulteriormente la nostra attività insieme ai nostri partner.
Breaking News
Ford: income giù di 300 milioni su 1.200. È crisi profonda per l’auto USA
Ford: i dati sulle vendite sono pessimi. Ecco cosa succede con i dati diffusi dal gruppo.
Profitti in calo per Ford – che conferma una sorta di maledizione per il settore auto almeno nelle economie più sviluppate. Le azioni, durante il trading after hours, perdono oltre il 3%, confermando una ricezione della notizia da parte dei mercati piuttosto negativa. Pesano sull’azienda americana simbolo del comparto automotive con ogni probabilità le stesse angoscianti prospettive che attanagliano anche il resto del comparto.
Income a 900 milioni, con calo di 300 milioni anno su anno, segno chiaro di una crisi tanto del gruppo quanto del settore, oltre che ad una disponibilità economica minore delle famiglie e una propensione alla spesa minore, anche per i beni durevoli. Tutti i grandi produttori di auto USA hanno fatto registrare dati simili nel corso degli scorsi mesi, che finiranno anche per essere immortalati all’interno delle prossime trimestrali. Per ora la reazione dei mercati è stata comunque quella di una sorpresa che conferma per alcuni la difficoltà di venire a patti con una situazione del settore auto che è di crisi aperta.
Sofferenza Ford
Titolo affossato durante le ore di scambio successive alla chiusura delle borse: -3% che per un titolo di questo tipo è una percentuale che si vede raramente e soltanto in occasione di miss importanti da parte delle trimestrali, di grossi scandali o di grossi recall di veicoli.
Tutto questo mentre il settore auto è al centro anche di importanti guerre commerciali che per gli analisti più cinici è anche una manovra protezionistica per un settore che sta soffrendo più del dovuto anche la concorrenza dei produttori cinesi. Produttori cinesi che dovranno fare i conti con un ban per la connettività dei veicoli made in China, ma che comunque sono la parte – geograficamente parlando – del settore che continua a aumentare ricavi, vendite e anche profitti, non senza l’aiuto della politica. Una situazione difficile da sbrogliare, della quale le pessime trimestrali di Ford sono soltanto uno dei campanelli d’allarme.
News
Messico: proteste formali contro blocco software e hardware cinese per auto vendute negli USA
Il Messico protesta formalmente contro la decisione USA su hardware e software cinese.
Sonore proteste da parte del governo messicano, che hanno ad oggetto la decisione del governo Biden di bandire l’utilizzo di auto sulle strade USA che abbiano hardware e/o software made in China che possa connettersi a Internet. Come è noto, la proposta poggerebbe su problemi di sicurezza interna, in una guerra commerciale che è anche guerra fredda in senso stretto, che colpisce il Messico in quanto nel paese limitrofo agli USA sono operative diverse fabbriche cinesi di auto, principalmente elettriche.
Le proteste, vibranti, non sono tardate ad arrivare, per quanto si parli ormai da tempo di questa decisione del governo USA, che potrebbe essere l’ultimo atto della presidenza Biden. A parlare è stato il Ministro dell’Economia del Messico, che ha inviato le sue rimostranze al Dipartimento del Commercio USA, citando un impatto sostanziale sull’industria automotive messicana.
Intanto i gruppi del settore auto chiedono più tempo…
Dato che sembra ci siano poche intenzioni di vedere un dietrofront da parte del governo USA, anche se dalle urne di novembre dovesse uscire fuori come vincitore un presidente di segno opposto, i gruppi del settore automotive dell’industria messicana hanno chiesto più tempo per adeguarsi alla misura, che metterebbe in ginocchio l’intero settore.
Tempistiche necessarie per rivoluzionare la supply chain, che comunque risulterebbero in costi enormemente aumentati e con un impatto – diretto e sull’indotto – sull’intera industria. Industria che per il Messico è di fondamentale importanza e che è stata tra le protagoniste della crescita importante del paese.
Per ora mancano risposte da parte del Dipartimento del Commercio USA e anche da parte dei vertici del governo USA. La questione, data l’enorme rilevanza, continuerà a tenere banco e ad essere al centro della querelle anche diplomatica tra i due paesi. Questo in attesa del nuovo presidente, che comunque difficilmente appunto tornerà indietro da una decisione che sembrerebbe essere trasversalmente accettata dall’arco politico americano.
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