Obbligazioni
Coinbase nella bufera: riacquista i bond al 29% di sconto
Coinbase ha deciso di riacquistare 65 milioni di dollari in obbligazioni che la società aveva già emesso in passato, nel bel mezzo della bufera legale che ha travolto questo exchange e Coinbase nel corso degli ultimi dieci giorni. La vera notizia è che Coinbase non ha pagato i bond al loro valore nominale, ma con uno sconto del 29%: significa che gli obbligazionisti sono stati disposti a cancellare una buona parte del proprio capitale, pur di essere sicuri di recuperare qualcosa dal loro investimento. Un’operazione che non pesa tanto sui bilanci della società, ma dice molto sulle vedute di Wall Street per il suo futuro.
I 65 milioni di dollari di bond nominalmente emessi da Coinbase verranno ricomprati dall’azienda per 45.5 milioni, per cui un terzo del capitale inizialmente prestato sarà completamente perso dagli obbligazionisti. Bisogna comunque ricordare che Coinbase ha ancora oltre $1.3 miliardi in obbligazioni circolanti, per cui non tutti gli investitori che hanno comprato il debito dell’azienda sono disposti ad accettare questo forte stralcio del proprio capitale. Rimane il fatto che Coinbase sta attraversando uno dei periodi più difficili della propria storia, per via della controversia legale con la SEC che nei prossimi mesi deciderà le sorti dell’azienda.
I dettagli dell’operazione
Le obbligazioni che Coinbase ha deciso di riacquistare sarebbero arrivate a scadenza nel 2026. Si tratta di bond convertibili che pagano agli investitori un tasso fisso dello 0.50%. Il tasso fisso, però, non è il vero motivo per cui diverse banche commerciali avevano deciso di sottoscrivere l’emissione: l’idea era quella di poter convertire le obbligazioni in azioni in futuro, approfittando così della possibilità di incassare una plusvalenza come risultato. Nel concreto, però, le obbligazioni Coinbase sono state sotto il fuoco incrociato dei venditori per oltre un anno. Con il valore di Bitcoin ben lontano dai picchi del 2021 e con la società sotto scrutinio giudiziario, alcuni hanno preferito incassare una perdita parziale piuttosto che rischiarne una totale.
Malgrado la notizia non sia un segnale positivo per la fiducia degli investitori di Coinbase, il comunicato con cui la società annuncia l’operazione è connotato da un tono entusiasta. Coinbase è comunque riuscita a incassare una plusvalenza da oltre 20 milioni di dollari, per cui in termini prettamente finanziari e immediati si può dire che questo sia stato un buon affare. Se però gli investitori di un’azienda sono disposti ad accettare uno stralcio del genere sul proprio investimento, considerando anche che si tratta soprattutto di banche commerciali e altri investitori istituzionali, significa che la fiducia verso il futuro dell’exchange sta venendo a mancare.
L’azienda nel mirino della SEC
Il vero problema di Coinbase in questo momento non sono certamente i debiti contratti con gli obbligazionisti. La posizione dell’azienda in termini di liquidità, almeno per il momento, non desta preoccupazioni a breve termine. Preoccupanti sono invece le accuse della SEC, che la settimana scorsa ha deciso di iniziare un processo giudiziale contro Coinbase e Binance. Tra le due società, Coinbase è comunque quella che affronta le accuse meno gravi: la Securities and Exchange Commission accusa la società di operare come operatore non registrato nel mondo dei prodotti finanziari e di offrire al pubblico prodotti finanziari non autorizzati.
Binance affronta le stesse accuse, ma se ne aggiungono delle altre. Secondo le indagini della SEC, l’exchange si sarebbe appropriato dei fondi dei clienti per utilizzarli in operazioni altamente speculative o per alzare artificialmente i volumi di scambi sulla piattaforma. La SEC ha addirittura chiesto il congelamento dei fondi di alcune società connesse al gruppo Binance.
Ci vorranno ancora mesi, se non anni, prima che l’iter giudiziario possa arrivare a una conclusione. Quello che rimane certo è che sono tempi difficili per entrambi i maggiori exchange mondiali di criptovalute, che insieme rappresentano oltre il 50% del volume giornaliero di scambi in questo mercato.
News
Le banche modificano la loro strategia nelle obbligazioni dopo il taglio dei tassi negli Usa
Le decisione della Federal Reserve di tagliare i tassi d’interesse negli Usa ha fatto modificare le strategie d’investimento delle banche.
L’allentamento dei rendimenti obbligazionari e il taglio dei tassi di interesse negli Usa stanno modificando le strategie delle principali banche statunitensi, che puntano a ridurre le perdite sui titoli di investimento a basso rendimento. L’obiettivo, ora come ora, è quello di dirottare quei fondi verso titoli ad alto rendimento, in modo da migliorare la liquidità e i profitti.
Il cambio di strategia potrebbe accelerare man mano che la Federal Reserve procede con il taglio dei tassi da qui alla fine dell’anno. Da sottolineare che la nuova politica monetaria della Fed contribuisce a ridurre le perdite finanziarie delle banche, che sono aumentate due anni or sono e hanno innescato una serie di turbolenze a livello regionale.
Ma entriamo e cerchiamo di capire come stanno cambiando strategie le principali banche statunitensi.
Il cambio di strategia delle banche statunitensi
La Fed ha iniziato ad aumentare i tassi d’interesse nel 2022. In quel momento le perdite non realizzate dalle banche statunitensi hanno raggiunto i 690 miliardi di dollari. Nel secondo trimestre sono poi scese a 513 miliardi di dollari, almeno stando ai dati riportati dalla Federal Deposit Insurance Corporation.
La Federal Reserve, nel corso del mese di settembre 2024, ha iniziato a diminuire i tassi di interesse: nel frattempo le perdite diminuivano. Alcune importanti banche come Wells Fargo e istituti regionali come KeyCorp hanno iniziato a vendere titoli a basso tasso per investire in titoli che garantivano un tasso più alto. La Federal Reserve ha tagliato i tassi di interesse di mezzo punto percentuale, portandoli in un nuovo intervallo compreso tra il 4,75% e il 5,0%.
Wes West – responsabile dell’analisi dei dati presso Nomis Solutions, che fornisce alle banche software per la determinazione dei prezzi di prestiti e depositi – ha spiegato che le banche hanno deciso che il danno a breve termine derivante dalla vendita di titoli persi valesse il compromesso per il guadagno a lungo termine derivante dall’acquisto di nuovi titoli ad alto rendimento.
In passato, invece, le banche preferivano conservare questi titoli a basso rendimento: vendendoli con una forte perdita, nel momento in cui i tassi erano più alti, sarebbero state costrette ad accantonare dei fondi per riuscire a rispettare i coefficienti patrimoniali imposti dalle norme in vigore. Le banche Usa, sostanzialmente, stavano svalutando questi titoli disponibili per la vendita. Sono classificati come tali perché la banca ha l’opzione di vendere quelle obbligazioni o titoli prima della loro scadenza.
Le banche che stanno vendendo i Titoli di Stato
Wells Fargo è stato l’ultimo grande istituto di credito a compiere questo passo nel corso del terzo trimestre 2024, quando ha deciso di vendere qualcosa come 16 miliardi di dollari in titoli. A seguito di questa operazione Walls Fargo ha registrato una perdita pari ai 447 milioni di dollari: ha poi deciso di reinvestire in titoli con un rendimento di 130 punti base più alto.
Megan Fox, vicepresidente di Moody’s Ratings, spiega che le banche stanno effettuando delle operazioni opportunistiche, volte a bloccare cedole più elevate ora per migliorare la redditività dichiarata, date le aspettative di ulteriori tagli dei tassi nei prossimi due trimestri.
Anche i creditori più piccoli hanno effettuato un riposizionamento simile. Banc of California, che ha acquistato PacWest l’anno scorso, ha annunciato di aver riposizionato qualcosa come 742 milioni di dollari in titoli a un rendimento medio ponderato del 2,94%, con conseguente perdita ante imposte di 60 milioni di dollari. Ha acquistato titoli con un rendimento medio ponderato del 5,65%.
KeyCorp ha venduto circa 7 miliardi di dollari di titoli garantiti da ipoteca a basso rendimento e ha reinvestito i proventi in investimenti a rendimento più elevato. L’istituto ha sostenuto un onere post-tasse di 737 milioni di dollari relativo alla perdita sulla vendita di titoli. KeyCorp ha spiegato che il rendimento medio dei titoli venduti è stato di circa il 2,3%, mentre quelli acquistati hanno avuto un rendimento medio del 4,9%.
Alcuni creditori hanno anche tratto vantaggio da guadagni una tantum, come quelli derivanti dalla vendita di asset, per attutire il colpo immediato della vendita di titoli. Truist Financial Corporazion ha venduto la sua divisione assicurativa a maggio per riposizionare parte del suo portafoglio di titoli di investimento disponibili per la vendita.
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Obbligazioni per 850 miliardi di dollari per finanziare gli stimoli fiscali. L’obiettivo della Cina
La Cina ha in programma l’emissione di un pacchetto di obbligazioni per 850 miliardi di dollari. Lo scopo è finanziare gli stimoli fiscali.
Obiettivo 6 trilioni di yuan – ossia 850 miliardi di dollari -: questo è quanto la Cina vorrebbe raccogliere attraverso l’emissione di Obbligazioni del Tesoro speciali, che verranno emesse nell’arco di tre anni per stimolare l’economia in difficoltà. La cifra – almeno stando ai media locali – potrebbe non essere sufficiente per risollevare il clima del mercato azionario del Paese.
Stando a quanto contenuto all’interno del rapporto Caixin Global – che cita delle fonti a conoscenza dei fatti – il debito della Cina dovrebbe aumentare significativamente, anche se l’assenza di dettagli sull’entità e la tempistica delle misure fiscali ha sostanzialmente deluso molti investitori.
Nuove obbligazioni per finanziare il pacchetto fiscale
Nel corso delle ultime settimane le dimensioni del pacchetto fiscale è oggetto di intensa speculazione. Da inizio ottobre, nel momento in cui è stata data notizia dello stimolo, le azioni cinesi hanno raggiunto il massimo da due anni a questa parte, prima di ritirarsi in assenza di dettagli ufficiali.
Oggi, 15 ottobre 2024, le azioni sono scese dello 0,3%: gli investitori non sembrerebbero particolarmente entusiasti degli importi riportati, anche se secondo gli analisti potrebbero stabilizzare la crescita, almeno nel breve periodo.
Xing Zhaopeng, stratega senior per la Cina di ANZ, spiega che quanto sta accadendo è in linea con le loro previsioni. Per il prossimo anno Xing Zhaopeng ritiene che possa essere confermato l’obiettivo di crescita del 5%.
A settembre Reuters ha riferito che la Cina aveva intenzione di emettere obbligazioni sovrane speciali per un valore complessivo pari a 2 trilioni di yuan (285 miliardi di dollari) entro la fine del 2024. Il progetto rientra nell’ambito del nuovo stimolo fiscale.
I dati resi noti nel corso degli ultimi mesi – tra i quali rientrano i dati commerciali diffusi nel corso della giornata di lunedì e i nuovi dati sui prestiti per settembre – hanno deluso le aspettative. E, soprattutto, hanno contribuito ad alimentare la preoccupazione che la Cina non possa raggiungere l’obiettivo di crescita di circa il 5% previsto per il 2024 e che avrà difficoltà a respingere le pressioni deflazionistiche.
A fine settembre, le autorità hanno avviato delle misure di stimolo monetario e di sostegno al settore immobiliare.
L’articolo di Caixin pubblicato lunedì sera affermava che i fondi sarebbero stati utilizzati in parte per aiutare i governi locali a risolvere i loro debiti fuori bilancio. L’importo riportato equivale a quasi il 5% della produzione economica cinese.
Il Fondo Monetario Internazionale stima il debito del governo centrale al 24% della produzione economica. Ma il fondo calcola il debito pubblico complessivo, incluso quello dei governi locali, a circa 16 trilioni di dollari, ovvero il 116% del PIL.
Xia Haojie, analista obbligazionario di Guosen Futures, spiega che a meno che il governo centrale non aumenti volontariamente la leva finanziaria, gli investimenti rimarranno deboli, poiché i governi locali sono gravati da un debito pesante e i bilanci aziendali sono erosi da un’economia debole.
Cina, un paese in difficoltà economica
La grave crisi del settore immobiliare iniziata nel 2021 ha ridotto le entrate degli enti locali: la maggior parte dei loro proventi derivava dalla vendita all’asta di terreni a costruttori immobiliari.
La crisi immobiliare ha pesato sull’attività dei consumatori e delle imprese, evidenziando l’eccessiva dipendenza della Cina dai mercati esteri e dagli investimenti governativi, alimentati dal debito, in infrastrutture e produzione.
Bassi salari, alta disoccupazione giovanile e una debole rete di sicurezza sociale impattano direttamente sulla spesa delle famiglie cinesi, che è inferiore al 40% della produzione economica annuale, circa 20 punti percentuali al di sotto della media globale. Gli investimenti, al contrario, sono 20 punti al di sopra.
Di conseguenza, la Cina contribuisce molto di più all’economia globale come produttore che come consumatore, il che ha scatenato tensioni commerciali con gli Stati Uniti, l’Europa e una serie di mercati emergenti. Il candidato alla presidenza degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto tariffe del 60% su tutti i beni cinesi se vincerà le elezioni del mese prossimo.
Questi squilibri alimentano preoccupazioni circa il potenziale di crescita a lungo termine della Cina, indipendentemente dall’impulso fiscale a breve termine.
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Francia incassa downgrade da Fitch. Outlook passa a negativo dopo finanziaria da 60 miliardi
Fitch abbassa l’outlook sul rating francese, che passa a negativo dopo legge di bilancio.
Fitch Ratings ha comunicato venerdì un downgrade del rating del debito pubblico francese. Si passa da neutro a negativo 24 ore dopo la presentazione da parte del governo francese della *legge di bilancio** per il 2025. Un downgrade che profuma anche di giudizio politico sul primo ministro Michel Barnier, in quello che è uno dei momenti politicamente più convulsi della storia della Repubblica Francese, anche sotto il profilo delle decisioni economiche.
La Francia aveva già ricevuto un downgrade più importante lo scorso aprile, passando da AA a AA- secondo Fitch Ratings. Ancora in pieno territorio virtuoso – con Parigi che è comunque in linea con il racing (come ricorda Bloomberg) di Regno Unito e Belgio. Al centro del downgrade dell’agenzia c’è una politica fiscale in espansione rispetto agli annunci e alle proposte degli ultimi mesi. Buchi di bilancio che devono essere colmati per essere congrui con il rating attuale ottenuto dalla Francia.
Un 2025 sul quale riflettere per le finanze francesi
È il risultato, con ogni probabilità, anche della relativa instabilità politica che la Francia ha dovuto affrontare dopo le elezioni che hanno visto emergere la destra più estrema come primo partito per preferenze, partito poi escluso grazie a convergenze delle altre forze politiche nazionali. Una situazione che già in giugno era stata fonte di grosse preoccupazioni in tutta l’area euro e che è risultata evidentemente in cordoni della borsa più aperti di quanto si aspettasse l’importante società di rating.
Per ora a subire un ribasso è soltanto l’outlook, ovvero l’aspettativa sull’evoluzione del debito pubblico francese, che Fitch si aspetta in crescita per il 2025 dopo essersi presa del tempo per analizzare l’ultima legge di bilancio.
Legge di bilancio che include diverse manovre espansive a sostegno di un’economia che (anche se meno di quella tedesca secondo gli analisti) inizia a mostrare scricchiolii e difficoltà dovute alla particolare congiuntura sia dell’economia globale, sia di quella più squisitamente francese.
Aumenta lo spread
Il downgrade di Fitch ha già avuto degli importanti effetti sui rendimenti dei bond francesi, con lo spread rispetto a quelli di riferimento, i bund tedeschi, che venerdì è aumentato. Non è la prima volta che i bond francesi finiscono sotto pressione nel 2024, sempre in seguito a questioni più politiche che economiche, con le prime che però non possono che avere delle ripercussioni anche sulle seconde.
La situazione francese è degna di essere seguita – e il downgrade di Fitch non ha stupito poi molti, tenendo conto dell’importante buco che si è materializzato dopo che la raccolta fiscale non è stata in grado né di coprire la spesa pubblica, né di rispettare quelle che erano le aspettative formulate da governo e analisti.
Non sarà sufficiente secondo Fitch neanche la legge di bilancio da 60 miliardi, che include sia tagli alle spese sia aumenti delle tasse, con un tentativo di portare il deficit ad un massimo del 5%. Per il 2024 ci si attende un deficit del 6,1%, contro proiezioni che erano al 4,4%.
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Unicredit, il matrimonio con Commerzbank ostacolato da 40 miliardi di euro di Titoli di Stato italiani
A mettersi di traverso alla scalata di Unicredit a Commerzbank sono i Titoli di Stato italiani, il cui possibile impatto preoccupa le autorità tedesche.
In Germania la possibilità che Unicredit possa acquistare Commerzbank non è vista di buon occhio. Tanto che, almeno stando a quanto riporta Reuters, si starebbe addirittura lavorando per ostacolare la possibile scalata. Inutile negarlo, Berlino è rimasta indubbiamente sorpresa dalla decisione di Unicredit di aumentare la propria partecipazione in Commerzbank, nella cui compagine azionaria figura lo Stato, che in passato l’aveva salvata. L’intento dell’istituto bancario italiano è quello di muoversi verso una fusione.
Una potenziale offerta ostile potrebbe arrivare dalle autorità tedesche, il cui obiettivo sarebbe quello di evitare che le sorti di Berlino si leghino troppo a quelle del nostro Paese, che senza dubbio ha un debito nettamente superiore rispetto a quello della Germania.
Un eventuale matrimonio tra le due banche potrebbe rappresentare, almeno secondo i tedeschi, una potenziale minaccia alla stabilità finanziaria della Germania per un semplice motivo: Unicredit possiede decine di miliardi di euro di Titoli di Stato italiani.
Ma entriamo un po’ nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa stia accadendo.
Unicredit, gli ostacoli tedeschi
In Germania un potenziale matrimonio tra Unicredit e Commerzbank non è visto molto di buon occhio. Tanto che diversi esponenti del governo tedesco sperano in una revisione della normativa da parte dell’autorità di vigilanza nazionale BaFIn. E, soprattutto, stanno facendo pressioni sull’autorità di regolamentazione per opporsi a un eventuale controllo della banca italiana su quella tedesca.
Chi si oppone ad un matrimonio tra i due colossi bancari ritiene che se Unicredit dovesse essere trascinata nella crisi del debito italiano, potrebbe essere Berlino, alla fine, a pagare il conto.
La BaFin, che svolge un ruolo fondamentale nel determinare se UniCredit possa provare ad acquisire il controllo di Commerzbank, ha iniziato ad analizzare la richiesta di UniCredit di consentirle di aumentare la sua quota azionaria dal 9,9% circa a quasi il 30%.
L’organismo di controllo presenterà una proposta alla Banca Centrale Europea, l’autorità di regolamentazione degli istituti di credito, a cui spetta l’ultima parola, sulla base di una serie di criteri, quali la solidità finanziaria dell’acquirente e la reputazione dei gestori.
Mentre Roma sostiene con cautela l’accordo, Berlino spera che le sue preoccupazioni possano ostacolare o quantomeno ritardare l’approvazione del piano di Unicredit da parte della BCE.
La BaFin ha un delicato gioco di equilibri. Mentre è tenuta a gestire la richiesta di Unicredit in modo imparziale, deve anche tenere conto delle preoccupazioni del governo tedesco, poiché l’agenzia riferisce al Ministero delle Finanze.
Stando ad alcune fonti citare sempre da Reuters, ci sarebbe un forte disaccordo nella Bce con l’opposizione della Germania, anche se Berlino continua a rimanere un paese molto influente e può contare su un certo numero di personaggi di peso all’interno dell’istituzione.
Il problema dei Titoli di Stato in pancia ad Unicredit
Nota a tutti la posizione della Bce, che in più occasioni ha ribadito che le grandi banche europee hanno la possibilità di sostenere meglio l’economia. Ma soprattutto possono competere meglio con i concorrenti che arrivano dagli Stati Uniti.
Anche se diversi paesi dell’Unione europea hanno adottato la stessa moneta, l’attività bancaria continua ad essere prevalentemente nazionale.
Per la Bce, la gestione dell’interesse di Unicredit in Commerzbank, bilanciando gli interessi di due dei paesi più grandi del blocco, sarà una delle prove più importanti da quando è diventata il principale organo di controllo della regione un decennio fa.
Claudia Buch, supervisore capo della Bce, ha dichiarato di recente che l’istituzione farebbe qualsiasi cosa per rimuovere gli ostacoli alle fusioni bancarie transfrontaliere, dopo che la presidente Christine Lagarde ha descritto tali accordi come auspicabili.
Al centro delle preoccupazioni della Germania ci sono i 40 miliardi di euro di titoli di Stato italiani detenuti da UniCredit. Questo è visto come un rischio potenziale perché l’Italia è fortemente indebitata. Commerzbank, che è più piccola e finanziariamente più debole di Unicredit, ha anche miliardi di euro di obbligazioni italiane.
Se l’Italia dovesse trovarsi in difficoltà dopo una fusione, le autorità temono che potrebbe essere costretta a intervenire la Germania.
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Warren Buffett punta al Giappone con un’emissione obbligazionaria da 281,8 miliardi di yen
Warren Buffett punta al Giappone grazie ad un’importante emissione obbligazionaria di Berkshire Hathaway. Il Nikkei ne beneficia.
Warren Buffett punta al Giappone, in quella che potrebbe essere una mossa tattica dopo aver ottenuto una ingente liquidità a seguito della cessione della buona parte della sua partecipazione in Bank of America.
Berkshire Hathaway ha ha raccolto 281,8 miliardi di yen (1,9 miliardi di dollari) in un’offerta obbligazionaria denominata in yen. L’operazione, sostanzialmente, getta le basi ad aumento dell’esposizione di Warren Buffett alle attività giapponesi.
Stando a quanto ha anticipato Reuters, siamo davanti ad una delle più importanti vendite obbligazionari in valuta giapponese effettuata nel corso degli ultimi cinque anni. Ma soprattutto, questa emissione obbligazionaria in yen o Samurai, costituisce il segnale di un crescente legame che intercorre tra Warren Buffett e i mercati giapponesi, dopo che ha effettuato degli acquisti di azioni nelle principali società di trading giapponesi.
Warren Buffer punta all’obbligazionario giapponese
Berkshire Hathaway ha annunciato per la prima volta che avrebbe acquistato quote di società di trading giapponesi nel 2020 con l’intenzione di continuare a detenerle per un lungo periodo e aumentare la proprietà fino al 9,9%. Da allora, ha aumentato la sua quota nelle prime cinque società di trading giapponesi a circa il 9% ciascuna, secondo il suo rapporto annuale di febbraio.
Ad aprile ha venduto obbligazioni per 263,3 miliardi di yen.
Takehiko Masuzawa, responsabile delle negoziazioni di Phillip Securities Japan, spiega che le vendite di obbligazioni in yen di Berkshire Hathaway quest’anno sono le più importanti effettuate nel corso di un anno, da quando ha iniziato a vendere obbligazioni in yen e questo indica le loro aspettative di rialzo delle azioni giapponesi.
Secondo Masuzawa il mercato sta valutando che tipo operazioni hanno intenzione di effettuare nei prossimi anni. Gli investitori ritengono che le azioni value che pagano dividendi più alti, come banche e assicurazioni, saranno gli obiettivi più probabili.
L’ottimismo di Warren Buffett sul Giappone ha contribuito ad attrarre altri investitori stranieri e a far salire l’indice di riferimento Nikkei a un livello record quest’anno. L’indice è salito del 17,7% nel 2024.
Nell’ultima operazione, Berkshire Hathaway ha emesso obbligazioni con scadenze di 3, 5, 7, 10, 20, 28 e 30 anni. La tranche a 3 anni è stata la più grande, con 155,4 miliardi di yen raccolti. Il bond a 5 anni ha raccolto 58 miliardi di yen.
Secondo i messaggi inviati dai bookrunner dell’operazione, durante la transazione sono state aggiunte obbligazioni a più lunga scadenza e una proposta di tranche di 15 anni è stata eliminata.
Come mostrato dai term sheet, i prezzi finali per ciascuna tranche sono stati fissati nella fascia medio-bassa della guida sui prezzi rivista fornita agli investitori.
Warren Buffet continua a scaricare Bank of America
Berkshire Hathaway continua a scaricare Bank of America. La società guidata da Warren Buffett ha dichiarato di aver venduto 8,55 milioni di azioni della Bank of America all’inizio di ottobre per circa 337,9 milioni di dollari. Ha venduto circa 238,7 milioni di azioni, ovvero circa il 23% delle sue partecipazioni, da metà luglio.
Berkshire detiene ancora circa il 10,2% della seconda banca statunitense per dimensioni. La percentuale potrebbe essere leggermente superiore: Bank of America non ha ancora reso noti i recenti riacquisti di azioni. Deve continuare a comunicare le vendite fino alla vendita che porterà la sua quota al di sotto del 10%.
Successivamente, gli investitori dovranno probabilmente attendere i resoconti finanziari trimestrali della Berkshire Hathaway o le comunicazioni trimestrali sulle azioni in suo possesso per sapere se la società con sede a Omaha ha venduto di più.
La Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti richiede agli azionisti che possiedono più del 10% di una società di comunicare gli acquisti e le vendite di azioni entro due giorni lavorativi.
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