News Economia
I depositi di First Republic crollano di oltre $100 miliardi
Le azioni di First Republic Bank, banca commerciale e fornitore di servizi di gestione patrimoniale con sede a San Francisco, sono crollate di oltre il 20% in seguito alla chiusura delle contrattazioni prolungate a New York di lunedì 24 aprile, dopo aver dichiarato che i clienti hanno prelevato più di 100 miliardi di dollari dai loro conti nei primi tre mesi dell’anno, tra le preoccupazioni per la salute del sistema bancario globale.
L’istituto bancario statunitense ha dichiarato che i suoi depositi sono scesi di oltre il 40% dalla fine di dicembre e sta pertanto esplorando opzioni come la ristrutturazione del bilancio.
La banca sta esplorando le sue possibilità di scelta
Il crollo dei depositi ha messo in ombra gli utili che hanno battuto le aspettative per la società assediata, sostenuta dai depositi dei giganti bancari statunitensi il mese scorso dopo il crollo di due istituti di credito regionali.
First Republic ha quindi in programma di ridurre il proprio bilancio e le spese tagliando i compensi dei dirigenti, riducendo gli uffici e licenziando dal 20% al 25% dei dipendenti nel secondo trimestre, ha dichiarato lunedì. La società intende inoltre aumentare i propri depositi assicurati e ridurre i prestiti dalla Federal Reserve Bank.
La banca con sede a San Francisco ha anche dichiarato di perseguire opzioni strategiche per accelerare i progressi nel rafforzamento della banca, senza fornire dettagli. Secondo una persona che ha familiarità con la questione e che ha parlato a condizione di anonimato perché le discussioni erano private, la banca sta studiando tutte le opzioni possibili.
La fonte ha affermato che la banca sta cercando di ottenere l’aiuto del governo degli Stati Uniti, convocando le parti che potrebbero potenzialmente svolgere un ruolo nel risollevare le sorti di First Republic, comprese le società di private equity e i grandi finanziatori.
First Republic, infatti, è al centro dell’attenzione da quando i problemi del settore bancario sono emersi negli Stati Uniti all’inizio del mese scorso, quando la Silicon Valley Bank, che era il 16° istituto di credito del Paese, è crollata nel più grande fallimento di una banca statunitense dal 2008. Due giorni dopo è stato il turno della Signature Bank di New York.
Le autorità sono intervenute per garantire i depositi oltre i limiti tipici, nel tentativo di evitare ulteriori corse ai depositi bancari. Inoltre, le banche centrali di tutto il mondo, tra cui la Federal Reserve statunitense e la Banca d’Inghilterra, hanno aumentato drasticamente i tassi d’interesse nel tentativo di contenere l’inflazione.
Neal Holland, responsabile finanziario di First Republic, ha dichiarato che con la chiusura di diverse banche a marzo, la società ha registrato un deflusso di depositi senza precedenti. I depositi, infatti, sono scesi a 104,47 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2023 da 176,43 miliardi di dollari nel quarto trimestre dello scorso anno, nonostante l’istituto di credito abbia ricevuto un aiuto di 30 miliardi di dollari in depositi combinati dai maggiori istituti bancari statunitensi, tra cui Bank of America Corp., Citigroup Inc., JPMorgan Chase & Co e Wells Fargo & Co. Senza i 30 miliardi di dollari di depositi forniti dalle grandi banche, il calo dei depositi sarebbe stato di quasi 102 miliardi di dollari.
Timothy Coffey, un analista della società di servizi finanziari Janney Montgomery Scott LLC, ha affermato che è stato stimato un deflusso netto di depositi di circa 40 miliardi di dollari. Perdere una tale quantità di depositi e doverli sostituire con prestiti è molto costoso, ha aggiunto.
Nonostante tutto, i depositi di First Republic hanno iniziato a stabilizzarsi nella settimana del 27 marzo e sono rimasti stabili fino al 21 aprile, ha dichiarato la società.
L’istituto di credito ha guadagnato 1,23 dollari per azione nei primi tre mesi chiusi a marzo, ben al di sopra degli 85 centesimi per azione stimati dagli analisti per il trimestre, secondo i dati di Refinitiv, un fornitore globale americano-britannico di dati e infrastrutture del mercato finanziario.
I risultati hanno comunque mostrato l’entità dei danni subiti da First Republic dopo la crisi bancaria del mese scorso, che ha alimentato la preoccupazione di una diffusione del panico nel sistema finanziario.
Secondo gli analisti bancari e gli esperti del settore, First Republic deve affrontare un percorso difficile per risollevare le proprie sorti. Di fatto, lunedì anche l’agenzia di rating Moody’s ha declassato, insieme a molte altre banche, First Republic, che ha subito una riduzione del rating di tre tacche, più severa rispetto a quella di altri istituti di credito come Western Alliance Bancorp, Comerica Inc e US Bancorp.
Al contrario, le maggiori banche statunitensi, tra cui Western Alliance Bancorporation, hanno registrato nel primo trimestre profitti inaspettati grazie all’aumento dei pagamenti degli interessi, scacciando in gran parte le turbolenze.
Investimenti
Indagine di Fed: mercati temono recessione più di inflazione. Timore per i dazi di Donald Trump e per spesa pubblica
Secondo una recente indagine di Federal Reserve, l’inflazione non sarebbe più una preoccupazione, almeno per i professionisti della finanza. A preoccupare maggiormente ci sono gli effetti che la vittoria di Trump avrà sul debito pubblico, insieme a preoccupazioni per una recessione e anche per limitazioni al commercio globale. La prima e la terza, senza dubbio alcuno, sono legate al prossimo ciclo politico degli USA, che sarà governato da un presidente che ha promesso dazi importanti verso i paesi non allineati e anche verso quelli allineati che non riconosceranno la supremazia del dollaro.
Sul debito pubblico in crescita, ci saranno invece da valutare gli impegni, per ora solo di propositi, sulla riduzione considerevole delle agenzie federali e conseguentemente della spesa pubblica. Si tratta di DOGE, il dipartimento guidato da Elon Musk e Vivek Ramaswamy, i cui esiti per il momento però non possono che essere incerti.
Addio preoccupazioni per l’inflazione, benvenute preoccupazioni per la recessione
In realtà sono preoccupazioni che albergano sui mercati – e che sono parzialmente riflesse nel mercato dei bond – ormai da qualche settimana. L’atteggiamento più hawkish in pubblico di Jerome Powell non sembrerebbe aver tolto dalla mente dei mercati che ora il rischio è quello di essere in ritardo sul ciclo e di arrivare con tassi troppo alti (e superiori al tasso neutrale). Tassi troppo alti che finirebbero per favorire un trend di rallentamento atteso per l’economia USA e più in generale per l’economia a livello mondiale.
A esacerbare il rischio recessione, i dazi di Trump: un rallentamento considerevole dei commerci internazionali avrebbe, secondo gli specialisti, un effetto recessivo importante su tutte le principali economie. Siamo però ancora nel campo delle ipotesi. Chi ha una certa esperienza delle cose dei mercati e di quelle politiche non potrà che ricordarsi di quanto, in passato, le promesse elettorali siano state poi diverse dalla realtà.
Investimenti
Parla Jerome Powell: a rischio tagli da 25 punti base a dicembre? Mercati risk on giù!
Parla Jerome Powell e gela chi attende tagli certi e spediti: mancano segnali da economia.
Jerome Powell conferma quello che è il sentiment che ha iniziato a serpeggiare sui principali mercati già da oggi. Non vi è alcuna fretta, dice il Presidente di Federal Reserve, di mettere mano ai tagli. Una situazione complessivamente articolata, quella che si sta verificando negli USA, che si basa però su un caposaldo importante: l’economia sta andando bene e le pressioni sono tornate sulla necessità di tagliare l’inflazione piuttosto che sullo stimolo all’economia.
I mercati ancora aperti, come quello di Bitcoin, hanno reagito con una contrazione importante, testimoniando così la dipendenza almeno sul medio e lungo periodo del ritorno su livelli di tassi non restrittivi. Per la reazione delle borse principali, al netto di quanto sta avvenendo sull’after hours, si dovrà comunque aspettare domani. Di tempo affinché i mercati digeriscano quanto in realtà avevano iniziato a digerire già da oggi ce n’è.
Un Jerome Powell titubante: tagli potranno aspettare
Non è chiaro se si sia riferito già all’appuntamento del 18 dicembre, ultimo dell’anno, durante il quale i mercati si attendono comunque in maggioranza che ci siano dei tagli da 25 punti base. Ad ogni modo Jerome Powell è stato relativamente chiaro: l’economia non sta mandando segnali che spingano Federal Reserve ad affrettarsi nel taglio ai tassi.
Un gioco di equilibri all’interno di una singola frase che però lascia aperta la porta comunque a tagli a gennaio per poi rivalutare la situazione già a gennaio 2025. Jerome Powell continua inoltre a indicare nei dati l’unica bussola che Fed seguirà per le prossime decisioni. Dichiarazioni che non indicano in realtà nulla di nuovo, ma che sono bastate a gettare nello sconforto almeno parte degli asset risk on. La sentenza definitiva arriverà domani, alla riapertura di mercati tradizionali, che decreteranno se ci sarà ulteriore spazio per la corsa oppure se sarà il caso riconsiderare la corsa incredibile che ha comunque occupato tutto il 2024.
News Economia
Inflazione secondo aspettative negli USA: +2,6% per CPI, +3,3% per CORE. Ora tagli in dubbio?
Arrivano i dati dell’inflazione USA, perfettamente allineati con le previsioni. Bitcoin spinge verso il record.
Tutto secondo previsioni, o forse no. L’inflazione negli USA fa registrare una Core ferma al 3,3%, e un’inflazione classica al 2,6%, vicina a quella delle previsioni che si erano però rapidamente innalzate nel corso delle ultime ore. Siamo dunque in linea con quanto i mercati si aspettavano, per quanto questi dovranno emettere la loro sentenza definitiva durante la riapertura dei mercati alle 15:30 ora italiana. Difficile interpretare per ora, alla luce del rimbalzo per l’inflazione classica, quali saranno gli intendimenti di Federal Reserve per l’incontro del FOMC di dicembre, che è ancora in bilico per quanto riguarda la possibilità di tagliare o non tagliare i tassi di ulteriori 25 punti base.
Una situazione che comunque non è di particolare angoscia per i mercati, che non prenderebbero forse troppo male la possibilità di rallentare il percorso di ritorno verso i tassi neutrali (che però nessuno conosce), cosa che potrebbe essere interpretata anche come maggiore fiducia verso il soft landing, l’atterraggio morbido per l’economia USA che potrebbe a questo punto evitare la recessione.
Intanto i mercati già aperti…
Per ora atteggiamento pimpante anche sul mercato di riferimento quando le borse USA sono chiuse, ovvero quello di Bitcoin. Spike verso l’alto poi ampiamente corretto e poi ripartito, segno che di incertezza ce n’è ancora tanta e che servirà a conferma la guida da parte delle borse USA per capire quale direzione prendere.
Dati che dunque non cambiano granché a livello macro – con i prossimi sul mercato del lavoro che potrebbero essere i più importanti per quanto riguarda la prossima decisione di Federal Reserve. Decisione che comunque non sarà granché decisiva in termini di ritorno verso tassi espansivi. Come ha già ricordato infatti Jerome Powell, siamo ancora ampiamente in territorio restrittivo e con ogni probabilità dovremo rimanerci ancora a lungo, almeno fino a quando non si sarà convinti al 100% della traiettoria dell’inflazione verso il 2%.
Investimenti
Parla Neel Kashkari di Fed Minneapolis: se inflazione sopra +2,4% no tagli ai tassi
Si riapre lo scenario del “no tagli” a dicembre. Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis.
Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis – tra i falchi designati di questo ciclo – che mette le mani avanti sulle prossime decisioni di Federal Reserve per quanto riguarda i tassi di interesse, che saranno dettate anche dal dato sull’inflazione in arrivo il 13 novembre. Un dato sull’inflazione che ci si aspetta relativamente alto e in controtendenza rispetto al calo degli scorsi mesi.
Un dato alto che potrebbe, dice Kashkari, mettere in dubbio il taglio previsto per dicembre, ovvero il secondo dei tagli che sarebbero dovuti arrivare a conclusione del 2024. Poco male, per quanto i mercati preferirebbero certamente avere un altro taglio e dunque un ritorno a maggiore liquidità il prima possibile.
Tra il dire e il fare, lo spauracchio dell’inflazione…
Il problema torna a essere quello di qualche mese fa. L’inflazione potrebbe tornare a fare capolino. Tenendo conto di un mercato del lavoro che è però ancora forte, potrebbe essere proprio l’aumento dei prezzi per i consumatori a tornare preponderante e dunque a indirizzare le prossime decisioni di Fed. Questo almeno nella lettura di Neel Kashkari, che ha un atteggiamento mediamente hawkish e che i mercati non sembrerebbero condividere appieno.
Servirebbe un dato importante – nel senso di un dato più alto delle previsioni – che sono fissate intorno al 3,3% in termini di consenso per la Core e al 2,4% invece per l’inflazione classica. Per ora Fed Watchtool indica come probabilità dei tagli di 25 punti base a dicembre il 62%. Qualcosa che potrebbe cambiare comunque secondo il dato di domani, come ha appunto indicato Kashkari, che sarà anche hawkish, ma che nel caso di inflazione più alta del previsto potrebbe finire per avere ragione. Una ragione che potrebbe avere un impatto negativo su borse che stanno vivendo un grande 2024. E che aprirebbe però di nuovo ad una lettura ancor più interessante: se si può rallentare sui tagli, vuol dire che Fed ha enorme fiducia sulla possibilità di un soft landing, fiducia dettata dallo stato complessivo dell’economia USA.
Investimenti
Federal Reserve taglia di 25 punti base. Occhi puntati sul discorso di Jerome Powell
Federal Reserve taglia i tassi di 25 punti base. Ora parla Powell che darà una direzione ai mercati.
Il FOMC delibera quanto era più che scontato. Taglio di 25 punti base ai tassi di interesse negli USA, seguendo quanto Powell aveva già indicato nella precedente riunione. Dovrebbe essere, a meno di clamorosi rimbalzi da parte dell’inflazione, il penultimo dei tagli di questo 2024. Cosa che però dovrà essere confermata anche dalla conferenza stampa di rito di Jerome Powell che si terrà alle 20.30 ora italiana. Una conferenza stampa che arriva al termine di una settimana che è stata dominata dalla questione elettorale.
La vittoria di Donald Trump non impatterà in alcun modo sulle prossime decisioni di una banca centrale, Federal Reserve, che rimane la più indipendente dal potere politico al mondo. Cii sarà però da fare qualche considerazione di medio e lungo periodo, in particolare in corrispondenza con politiche fiscali che si preannunciano come fortemente espansive, politiche fiscali che dovranno con ogni probabilità portare ad una sorta di contenimento delle politiche monetarie gestite da Federal Reserve.
Tutto secondo programma
Tutto secondo programma da Federal Reserve, con il FOMC che chiude la riunione comunicando tagli da 25 punti base. Tagli che erano stati in realtà anticipati da Jerome Powell e che sono giustificati sia da un rallentamento dell’inflazione, sia al tempo stesso da un rallentamento del mercato del lavoro. Per ora le condizioni per un soft landing sembrerebbero confermate: trimestrali e PIL confermano un’economia USA ancora in salute.
L’ultima parola però dovranno darla i mercati, per ora relativamente fiduciosi di quanto sta facendo Powell – tenendo però sempre conto del fatto che non tutto sarà nelle mani di Federal Reserve. Ora occhi puntati sulla conferenza stampa di Jerome Powell: il Presidente di Federal Reserve non è uomo di grandi proclami – e gli analisti si produrranno in esegesi di gesti, sguardi e parole per cercare di capire quale sarà la prossima direzione di Federal Reserve in termini di tassi.
-
News4 settimane ago
Petrolio, il Brent in mattinata guadagna lo 0,4%. Chiusura settimanale positiva
-
News4 settimane ago
Morgan Stanley rivede i propri obiettivi climatici. La transizione green c’è, ma è lenta
-
Guide Azioni1 mese ago
Migliori azioni da comprare
-
Guide Azioni1 mese ago
Comprare azioni ENI
-
Guida4 settimane ago
Migliori 10 Piattaforme Trading Online
-
Guide Azioni1 mese ago
Comprare azioni ENEL
-
Guide Azioni1 mese ago
Azioni intelligenza artificiale