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All’intelligenza artificiale servono 1.000 tetrawattoora di elettricità. Come al Giappone

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Alimentare l’intelligenza artificiale ha un alto costo, soprattutto energetico. Il problema impatta trasversalmente sulle principali big tech: Meta Platforms, Alphabet e Amazon, che stanno sottoscrivendo degli accordi per la fornitura di elettricità per i loro data center. Microsoft, invece, ha sottoscritto un accordo da 10,5 gigawatt (GW) con la Brookfield Asset Management.

Le big tech, in estrema sintesi, hanno deciso di esternalizzare la produzione di energia necessaria all’intelligenza artificiale a terzi. Ma non solo: stanno iniziando a scorporare il rischio finanziario. Ricordiamo che i grandi modelli linguistici dell’IA – ne sono un esempio Llama di Meta Platforms o ChatGPT finanziato da Microsoft – funzionano in data center di grandi dimensioni, che hanno necessità di molta energia.

Ma entriamo un po’ più nel dettaglio.

L’intelligenza artificiale richiede sempre più elettricità

L’intelligenza artificiale è energivora. Nel periodo compreso tra il 2017 ed il 2021 l’uso di elettricità da parte di Amazon, Microsoft, Alphabet e Meta Platforms è più che raddoppiato. L’Agenzia internazionale per l’energia stima che il fabbisogno energetico annuo totale dei data center in tutto il mondo raggiungerà i 1.000 terawattora nel 2026, circa 2,2 volte il livello del 2022 e in linea con il consumo di elettricità del Giappone.

La crescita del fabbisogno energetico dell’intelligenza artificiale fa capire il motivo per il quale le big tech non possono continuare ad attingere energia dalla rete. E non si possono limitare a concludere degli accordi ad hoc con le utility tradizionali. Una delle opzioni a disposizione potrebbe essere quella di iniziare ad investire direttamente nella produzione di energia elettrica. Alcune società si sono mosse proprio in questa direzione: un caso è costituito da Microsoft – che in collaborazione con BlackRock, MGX e Mubadala – finanzierà un fondo da 30 miliardi di dollari, il cui scopo è investire nell’energia verde. Alphabet, invece, ha investito in un veicolo BlackRock che svilupperò dell’energia rinnovabile a Taiwan.

Ad ogni modo alcuni Ceo – come Satya Nardella di Microsoft – sarebbero restii a creare troppa capacità produttiva da soli. La società starebbe investendo per costruire dei data center: la spesa in conto capitale potrebbe balzare da meno del 10% del fatturato del gruppo nel 2017 a circa il 20% nel 2025, secondo i dati LSEG. 

Per Google, Amazon, Microsoft, Meta Platforms e Apple – secondo i dati Visible Alpha – i costi in conto capitale supereranno i 200 miliardi di dollari quest’anno. Gli analisti di Bernstein stimano che le quattro aziende, ad eccezione di Apple, spenderanno 156 miliardi di dollari di quella somma in infrastrutture tecniche come i data center, il che equivale a una crescita annua del 52%.

Per Nadella e i suoi pari, questa spesa ridurrà già tra 1 e 3 punti percentuali i margini operativi nel 2024 tramite ingenti spese di ammortamento. È comprensibile, quindi, che le Big Tech potrebbero non voler aumentare questi costi, anche avviando propri progetti di energia eolica e solare. Iniziativa che comporterebbe dei rischi considerevoli. Ecco perché è probabile che Nadella e i suoi pari continuino a esternalizzare il lavoro a esperti di investimenti energetici come Brookfield e Macquarie. Nel gergo del settore, questi accordi con terze parti sono chiamati accordi di acquisto di energia (PPA). In sostanza, comportano la firma di contratti per acquistare energia per un certo numero di anni.

Esternalizzare i servizi legati all’elettricità

Un’attrattiva dei PPA è che Brookfield e i suoi rivali hanno una rete globale e competenza nel realizzare progetti di energia verde, qualcosa che manca ai giganti della tecnologia. Il gruppo canadese e Macquarie hanno realizzato alcuni progetti che superano i 100 GW.

Un altro vantaggio è la certezza dei prezzi. Nel 2022, Microsoft ha segnalato che i crescenti costi energetici avevano aumentato la sua spesa annuale per l’elettricità di 800 milioni di dollari, mentre Amazon dava la colpa ai prezzi dell’energia fluttuanti per un colpo di 2 punti percentuali al suo margine operativo cloud quell’anno. I PPA, che durano in genere circa 15 anni, possono essere strutturati per dare al cliente maggiore chiarezza su quanto paga, attenuando la volatilità.

Ma i PPA non sono affatto economici. Il costo annuale dell’accordo da 10,5 GW di Microsoft, ad esempio, potrebbe facilmente raggiungere i miliardi. 

Gli investitori big tech potrebbero anche avere sentimenti contrastanti sui rendimenti stellari che i fornitori di capitale promettono ai propri investitori. Brookfield, ad esempio, rivela di avere tassi di rendimento interni superiori al 20%. Se è questo che sta risolvendo con l’accordo Microsoft, Nadella potrebbe pagare un premio per la sua sicurezza di fornitura.

Niente di tutto ciò avrà importanza, ovviamente, se la tanto attesa rivoluzione dell’intelligenza artificiale porterà a un significativo incremento dei ricavi. Le stime degli analisti vedono le linee principali di Amazon, Alphabet e Microsoft crescere rispettivamente del 64%, 71% e 98% tra il 2023 e il 2028. Il problema, tuttavia, è che c’è un forte elemento di successo e speranza con gli investimenti nell’intelligenza artificiale delle big tech. Per ora, i costi sono molto più chiari della natura dell’opportunità di business per Microsoft e i suoi rivali.

Pierpaolo Molinengo
Pierpaolo Molinengohttps://www.pierpaolomolinengo.com/
Laureato in materie letterarie e giornalista pubblicista iscritto all'Albo dal 2002 [Link di verifica iscrizione all'Albo]. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin da subito, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, tasse, diritto, economia e finanza.

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