Bonds News
Romania, l’emissione di bond da 150 mln € è un successo
Nella mattina del 20 febbraio, il Ministero delle Finanze rumeno ha celebrato il successo della sua più recente offerta di bond governativi. Inizialmente il target previsto era di 500 milioni di lei, pari a circa 100 milioni di euro: il collocamento finale è stato di 760,5 milioni di lei (150 mln €) con un rendimento del 7,64%.
Il mercato dei bond europei continua a vivere un momento di forte interesse da parte degli investitori, dopo oltre un decennio di bassi rendimenti dovuti ai tassi azzerati della BCE. Particolarmente alta la richiesta per le emissioni ad alto rendimento da parte di paesi come Italia, Spagna e Romania.
I dettagli del collocamento
I bond emessi il 20 febbraio 2023 prevedono una cedola del 4,65% e scadenza nel 2024. Considerando anche lo scarto di emissione, il rendimento complessivo è del 7,63% per gli investitori che sono riusciti ad aggiudicarsi una parte delle nuove obbligazioni emesse. Il Tesoro rumeno continua a dimostrare una forte attrattività per gli investitori; questa è stata la seconda emissione del 2023 e il secondo successo consecutivo.
Nella prima emissione, avvenuta il 16 gennaio, il target era nuovamente di 500 milioni di lei. In quell’occasione la raccolta è stata di 748,8 milioni, con un rendimento medio a scadenza del 7,56%. Per avere un riferimento in euro, attualmente 1 euro equivale a 4.91 lei.
Parte del motivo per cui il rendimento a scadenza è così alto sono gli alti tassi centrali attualmente previsti dalla banca centrale rumena. Con un tasso annuo del 7%, il costo del denaro è oltre due volte quello previsto in questo momento dalla BCE. Bisogna altrettanto considerare che il rating creditizio del Tesoro rumeno è BBB-, per cui si tratta di obbligazioni considerate ad alto rischio rispetto a quelle delle nazioni dell’Area Euro.
Un altro motivo per cui il rendimento dei bond rumeni tende a essere così elevato è il rischio di cambio. L’emissione è avvenuta esclusivamente in valuta nazionale, ma questo non sembra essere stato d’impedimento per il buon esito dell’operazione. Il leu ha perso molto poco valore rispetto all’euro nel corso del tempo: negli ultimi 5 anni, la Moneta Unica si è rivalutata appena del 5% rispetto alla valuta nazionale rumena.
Un mercato emergente e interessante
Essendo una nazione emergente all’interno dell’Unione Europea, la Romania si trova in una condizione piuttosto unica. Da una parte offre le prospettive di crescita a lungo termine tipiche di un paese in via di sviluppo; dall’altra parte è comunque parte di una politica comune, anche in tema di bilancio, concordata con grandi potenze economiche come Francia e Germania. Questo riduce il rischio per gli investitori, mentre una fiorente classe media locale si ritrova con denaro da investire a fine mese.
C’è anche un po’di Italia nel mercato delle obbligazioni in Romania. A gennaio, la divisione locale di Unicredit ha annunciato l’emissione di un collocamento di bond da 488,5 mln RON con un valore nominale di 500.000 lei e un rendimento fisso del 9,07%. Sono numeri piuttosto alti rispetto a quelli offerti nell’Area Euro, e il fiorente mercato dei capitali sul Bucharest Stock Exchange contribuisce allo sviluppo economico della Romania.
Il governo rumeno si sta anche impegnando a ridurre il debito estero facendo più affidamento ai prestiti europei e riducendo il deficit di bilancio in generale. Questo impegno rassicura ulteriormente gli investitori e potrebbe portare a un miglioramento del merito creditizio della nazione est-europea nel medio-lungo termine.
Investimenti
Irlanda: ok anche da S&P. Surplus fiscale al +7,3% nelle previsioni. È cigno bianco in Europa.
In Irlanda c’è una bella aria di ripresa: il surplus fiscale spinge in alto l’outlook sul paese di S&P.
Arriva il miglioramento dell’outlook da parte di S&P per l’Irlanda. Il miglioramento – all’interno del ciclo di revisione delle principali agenzie di rating – arriva dalle aspettative di ricostruzione di un buffer fiscale, che arriverà da un importante surplus che l’agenzia quantifica nel 7,4% del Prodotto Interno Lordo. La questione riguarda anche i movimenti politici nel paese che potrebbero vedere la coalizione di governo conquistare un altro mandato, per una situazione più unica che rara all’interno di un Unione Europea che vede invece il grosso dei ministeri delle finanze dover fare i conti con situazioni di deficit importanti e che andranno contenute con manovre lacrime e sangue.
Manovre lacrime e sangue che sono state già motivo di attrito in Germania, dove il Ministro delle Finanze è stato allontanato dopo l’ennesimo scontro con il cancelliere Olaf Scholz, per un momento molto dedicato tanto politicamente quanto economicamente per il vecchio continente e per l’Unione che lo rappresenta.
Irlanda ok: sarà faro per l’UE?
È un’Irlanda che corre, almeno in termini di surplus fiscale, unica pecora bianca di un’Europa in grave sofferenza e che sembrerebbe avere più di qualche difficoltà ad emergere dalla crisi innescata con il COVID 19. Un percorso che ha dell’incredibile, tenendo conto del fatto che soltanto poco più di un decennio fa il paese fu salvato da un intervento pubblico congiunto.
Il miglioramento dell’outlook proposto da S&P fa il paio con quello già in archivio per quanto riguarda Fitch, altra importante società di rating, che sugli stessi presupposti di S&P ha migliorato l’outlook del debito pubblico del paese senza però modificarne per ora il rating, che è comunque già vicino ai livelli massimi. L’Europa riparta dall’Irlanda è però per ora una lettura troppo ottimistica, per quanto si veda una luce in fondo al tunnel per il vecchio continente, ma lontana ahinoi dall’Europa Continentale.
Investimenti
Fitch migliora rating Argentina: si passa a CCC. A gennaio 4,3 miliardi di bond in dollari USA da rimborsare
Fitch migliora rating dell’Argentina: si passa a CC da CCC. Passi avanti per il percorso di riforme lacrime e sangue.
Da CC a CCC: il rating non è ancora dei più lusinghieri, ma è un segnale del percorso che l’Argentina ha avviato da qualche mese e che sembrerebbe iniziare a sortire qualche effetto, soprattutto in termini di credibilità agli occhi degli investitori internazionali. La cura di cavallo del neo presidente Javier Milei ha portato Fitch a migliorare il rating – ancora in territorio junk – del debito argentino. La nota di accompagnamento alla decisione di Fitch parla di un miglioramento delle possibilità di rimborsare i bond in valuta estera senza haircut e senza aiuti di alcun tipo.
Il governo, tra le altre cose, starebbe negoziando con le banche internazionali, secondo quanto è stato riportato da Bloomberg, una credit line con diverse banche internazionali, che potrebbe migliorare ulteriormente l’outlook delle finanze pubbliche di Buenos Aires. In tanto in scadenza per gennaio ci sono oltre 4 miliardi di dollari di obbligazioni denominate in dollari USA, che non dovrebbero però costituire problema.
Il presidente che piace a Wall Street?
È questo il commento di Bloomberg, che sottolinea come intorno al percorso lacrime e sangue del nuovo presidente argentino si stia raccogliendo un certo entusiasmo da parte degli investitori istituzionali – e, cosa che conta di più – di quelli americani. A favorire l’entusiasmo anche il percorso di ricostruzione di una riserva di hard currency, nominalmente dollari, che però come ricorda ancora una volta Bloomberg non si è ancora liberata di politiche relativamente rigide di controllo dei cambi.
Il rating è in miglioramento ma comunque da osservato speciale: sono pochi i paesi al mondo che festeggerebbero un CCC da Fitch. Tra questi, immancabilmente, un paese con finanze pubbliche sgangherate e che sono il risultato di politiche di spesa pubblica dissennate che in molti ritenevano essere DNA dello stesso paese. DNA che starebbe provando a cambiare, per quanto – lo ricorda ancora una volta il CCC – il percorso sia ancora lungo e tortuoso.
Bonds News
Trump Vs Harris, su cosa puntano gli hedge fund in attesa dell’esito delle elezioni
Chi vincerà le elezioni negli Usa: Trump o Harris. Ecco come si muovono gli hedge fund e gli investitori nel frattempo.
L’election day si avvicina: il 5 novembre gli americani sono chiamati a scegliere tra il candidato repubblicano Donald Trump e la democratica Kamala Harris. Gli investitori e, in particolare, gli hedge fund si stanno già muovendo per cercare di trarre profitto dalla vittoria dell’ex presidente Usa o, al limite, sono alla ricerca di investimenti con un ribasso limitato nel caso in cui dovesse vincere l’attuale vicepresidente.
Siamo quasi vicino alla fine della corsa e si è ancora in una fase di stallo: sono in molti che cercano le cosiddette operazioni asimmetriche, ossia quelle che coinvolgono Bitcoin, yuan o asset che potrebbero generare importanti profitti nel caso in cui Trump dovesse vincere le elezioni. Ma che allo stesso tempo non causino delle grandi perdite nel caso in cui la scommessa risultasse sbagliata. Come sottolinea Edoardo Rulli, responsabile di UBS Hedge Fund Solutions, è davvero difficile fare trading sulle elezioni, data la loro stretta elettorale.
Trump o Harris, chi vincerà le elezioni
Capire in questo momento chi possa vincere le elezioni negli Usa è davvero difficile. Alcuni siti di scommesse danno come favorito Donald Trump, tanto che sono stati creati i cosiddetti Trump trades. In molti, però, ritengono che le operazioni che implichino la scommessa di una vittoria dell’ex presidente Usa potrebbero perdere slancio nel caso in cui dovesse vincere Harris.
Secondo David Kalk, fondatore dell’hedge fund Reflexive Capital, tra le operazioni che potrebbero generare guadagni maggiori delle perdite in qualsiasi scenario ci sono le posizioni lunghe nei Bitcoin. Kalk ritiene che il potenziale rialzo del Bitcoin sarebbe due o tre volte superiore al denaro che è messo a rischio se Trump vince, poiché si aspetta un approccio normativo più amichevole alle criptovalute sotto l’ex presidente. La risposta negativa dei prezzi che Kalk si aspetta, in caso di vittoria di Harris, sembra molto più piccola del rialzo di una vittoria di Trump.
Patrick McMahon, fondatore del fondo speculativo macroeconomico MKP Capital Management, ritiene che la vendita allo scoperto dello yuan rispetto al dollaro sia un’operazione asimmetrica, date le perdite che la valuta cinese potrebbe subire se venissero imposti dazi.
Mario Unali, responsabile della consulenza sugli investimenti presso Kairos Partners, crede che le negoziazioni si stiano orientando verso una vittoria di Trump perché una vittoria di Harris dipenderebbe maggiormente dallo status quo, quindi le perdite sarebbero limitate.
Secondo la società di ricerca PivotalPath, il settore degli hedge fund ha finora registrato guadagni dell’8,3% nei primi nove mesi dell’anno. La media del settore sta sottoperformando il guadagno del 20% dell’S&P 500, mettendo alcuni hedge fund sotto pressione per adottare una posizione più cauta sulla corsa che porterà un po’ di rialzo.
Trump, quale impatto sul commercio
Le grandi puntate sui mercati delle scommesse hanno suscitato interrogativi tra gli utenti dei social media, che si chiedevano se stessero influenzando i mercati o se i mercati pronosticatori fossero semplicemente un indicatore anticipatore migliore della gara.
Le negoziazioni di Trump hanno incluso una svendita di titoli del Tesoro, dello yuan e un aumento delle azioni di Trump Media & Technology Group.
Poiché i due candidati sono ancora testa a testa a pochi giorni dalle elezioni, alcuni investitori si chiedono se alcune delle operazioni fatte sulle aspettative di una vittoria di Trump non siano esagerate.
John Luke Tyner, responsabile del reddito fisso e gestore di portafoglio presso Aptus Capital Advisor, ritiene che questa mossa a breve termine sui titoli del Tesoro sia probabilmente esagerata. Se Harris vincesse, probabilmente si potrebbe assistere a un brusco calo dei rendimenti a lungo termine, ma penso che assisteremo a ciò in entrambi i casi.
Adesso non ci resta che aspettare e vedere chi realmente vince le elezioni Usa.
News
Le banche modificano la loro strategia nelle obbligazioni dopo il taglio dei tassi negli Usa
Le decisione della Federal Reserve di tagliare i tassi d’interesse negli Usa ha fatto modificare le strategie d’investimento delle banche.
L’allentamento dei rendimenti obbligazionari e il taglio dei tassi di interesse negli Usa stanno modificando le strategie delle principali banche statunitensi, che puntano a ridurre le perdite sui titoli di investimento a basso rendimento. L’obiettivo, ora come ora, è quello di dirottare quei fondi verso titoli ad alto rendimento, in modo da migliorare la liquidità e i profitti.
Il cambio di strategia potrebbe accelerare man mano che la Federal Reserve procede con il taglio dei tassi da qui alla fine dell’anno. Da sottolineare che la nuova politica monetaria della Fed contribuisce a ridurre le perdite finanziarie delle banche, che sono aumentate due anni or sono e hanno innescato una serie di turbolenze a livello regionale.
Ma entriamo e cerchiamo di capire come stanno cambiando strategie le principali banche statunitensi.
Il cambio di strategia delle banche statunitensi
La Fed ha iniziato ad aumentare i tassi d’interesse nel 2022. In quel momento le perdite non realizzate dalle banche statunitensi hanno raggiunto i 690 miliardi di dollari. Nel secondo trimestre sono poi scese a 513 miliardi di dollari, almeno stando ai dati riportati dalla Federal Deposit Insurance Corporation.
La Federal Reserve, nel corso del mese di settembre 2024, ha iniziato a diminuire i tassi di interesse: nel frattempo le perdite diminuivano. Alcune importanti banche come Wells Fargo e istituti regionali come KeyCorp hanno iniziato a vendere titoli a basso tasso per investire in titoli che garantivano un tasso più alto. La Federal Reserve ha tagliato i tassi di interesse di mezzo punto percentuale, portandoli in un nuovo intervallo compreso tra il 4,75% e il 5,0%.
Wes West – responsabile dell’analisi dei dati presso Nomis Solutions, che fornisce alle banche software per la determinazione dei prezzi di prestiti e depositi – ha spiegato che le banche hanno deciso che il danno a breve termine derivante dalla vendita di titoli persi valesse il compromesso per il guadagno a lungo termine derivante dall’acquisto di nuovi titoli ad alto rendimento.
In passato, invece, le banche preferivano conservare questi titoli a basso rendimento: vendendoli con una forte perdita, nel momento in cui i tassi erano più alti, sarebbero state costrette ad accantonare dei fondi per riuscire a rispettare i coefficienti patrimoniali imposti dalle norme in vigore. Le banche Usa, sostanzialmente, stavano svalutando questi titoli disponibili per la vendita. Sono classificati come tali perché la banca ha l’opzione di vendere quelle obbligazioni o titoli prima della loro scadenza.
Le banche che stanno vendendo i Titoli di Stato
Wells Fargo è stato l’ultimo grande istituto di credito a compiere questo passo nel corso del terzo trimestre 2024, quando ha deciso di vendere qualcosa come 16 miliardi di dollari in titoli. A seguito di questa operazione Walls Fargo ha registrato una perdita pari ai 447 milioni di dollari: ha poi deciso di reinvestire in titoli con un rendimento di 130 punti base più alto.
Megan Fox, vicepresidente di Moody’s Ratings, spiega che le banche stanno effettuando delle operazioni opportunistiche, volte a bloccare cedole più elevate ora per migliorare la redditività dichiarata, date le aspettative di ulteriori tagli dei tassi nei prossimi due trimestri.
Anche i creditori più piccoli hanno effettuato un riposizionamento simile. Banc of California, che ha acquistato PacWest l’anno scorso, ha annunciato di aver riposizionato qualcosa come 742 milioni di dollari in titoli a un rendimento medio ponderato del 2,94%, con conseguente perdita ante imposte di 60 milioni di dollari. Ha acquistato titoli con un rendimento medio ponderato del 5,65%.
KeyCorp ha venduto circa 7 miliardi di dollari di titoli garantiti da ipoteca a basso rendimento e ha reinvestito i proventi in investimenti a rendimento più elevato. L’istituto ha sostenuto un onere post-tasse di 737 milioni di dollari relativo alla perdita sulla vendita di titoli. KeyCorp ha spiegato che il rendimento medio dei titoli venduti è stato di circa il 2,3%, mentre quelli acquistati hanno avuto un rendimento medio del 4,9%.
Alcuni creditori hanno anche tratto vantaggio da guadagni una tantum, come quelli derivanti dalla vendita di asset, per attutire il colpo immediato della vendita di titoli. Truist Financial Corporazion ha venduto la sua divisione assicurativa a maggio per riposizionare parte del suo portafoglio di titoli di investimento disponibili per la vendita.
News
Obbligazioni per 850 miliardi di dollari per finanziare gli stimoli fiscali. L’obiettivo della Cina
La Cina ha in programma l’emissione di un pacchetto di obbligazioni per 850 miliardi di dollari. Lo scopo è finanziare gli stimoli fiscali.
Obiettivo 6 trilioni di yuan – ossia 850 miliardi di dollari -: questo è quanto la Cina vorrebbe raccogliere attraverso l’emissione di Obbligazioni del Tesoro speciali, che verranno emesse nell’arco di tre anni per stimolare l’economia in difficoltà. La cifra – almeno stando ai media locali – potrebbe non essere sufficiente per risollevare il clima del mercato azionario del Paese.
Stando a quanto contenuto all’interno del rapporto Caixin Global – che cita delle fonti a conoscenza dei fatti – il debito della Cina dovrebbe aumentare significativamente, anche se l’assenza di dettagli sull’entità e la tempistica delle misure fiscali ha sostanzialmente deluso molti investitori.
Nuove obbligazioni per finanziare il pacchetto fiscale
Nel corso delle ultime settimane le dimensioni del pacchetto fiscale è oggetto di intensa speculazione. Da inizio ottobre, nel momento in cui è stata data notizia dello stimolo, le azioni cinesi hanno raggiunto il massimo da due anni a questa parte, prima di ritirarsi in assenza di dettagli ufficiali.
Oggi, 15 ottobre 2024, le azioni sono scese dello 0,3%: gli investitori non sembrerebbero particolarmente entusiasti degli importi riportati, anche se secondo gli analisti potrebbero stabilizzare la crescita, almeno nel breve periodo.
Xing Zhaopeng, stratega senior per la Cina di ANZ, spiega che quanto sta accadendo è in linea con le loro previsioni. Per il prossimo anno Xing Zhaopeng ritiene che possa essere confermato l’obiettivo di crescita del 5%.
A settembre Reuters ha riferito che la Cina aveva intenzione di emettere obbligazioni sovrane speciali per un valore complessivo pari a 2 trilioni di yuan (285 miliardi di dollari) entro la fine del 2024. Il progetto rientra nell’ambito del nuovo stimolo fiscale.
I dati resi noti nel corso degli ultimi mesi – tra i quali rientrano i dati commerciali diffusi nel corso della giornata di lunedì e i nuovi dati sui prestiti per settembre – hanno deluso le aspettative. E, soprattutto, hanno contribuito ad alimentare la preoccupazione che la Cina non possa raggiungere l’obiettivo di crescita di circa il 5% previsto per il 2024 e che avrà difficoltà a respingere le pressioni deflazionistiche.
A fine settembre, le autorità hanno avviato delle misure di stimolo monetario e di sostegno al settore immobiliare.
L’articolo di Caixin pubblicato lunedì sera affermava che i fondi sarebbero stati utilizzati in parte per aiutare i governi locali a risolvere i loro debiti fuori bilancio. L’importo riportato equivale a quasi il 5% della produzione economica cinese.
Il Fondo Monetario Internazionale stima il debito del governo centrale al 24% della produzione economica. Ma il fondo calcola il debito pubblico complessivo, incluso quello dei governi locali, a circa 16 trilioni di dollari, ovvero il 116% del PIL.
Xia Haojie, analista obbligazionario di Guosen Futures, spiega che a meno che il governo centrale non aumenti volontariamente la leva finanziaria, gli investimenti rimarranno deboli, poiché i governi locali sono gravati da un debito pesante e i bilanci aziendali sono erosi da un’economia debole.
Cina, un paese in difficoltà economica
La grave crisi del settore immobiliare iniziata nel 2021 ha ridotto le entrate degli enti locali: la maggior parte dei loro proventi derivava dalla vendita all’asta di terreni a costruttori immobiliari.
La crisi immobiliare ha pesato sull’attività dei consumatori e delle imprese, evidenziando l’eccessiva dipendenza della Cina dai mercati esteri e dagli investimenti governativi, alimentati dal debito, in infrastrutture e produzione.
Bassi salari, alta disoccupazione giovanile e una debole rete di sicurezza sociale impattano direttamente sulla spesa delle famiglie cinesi, che è inferiore al 40% della produzione economica annuale, circa 20 punti percentuali al di sotto della media globale. Gli investimenti, al contrario, sono 20 punti al di sopra.
Di conseguenza, la Cina contribuisce molto di più all’economia globale come produttore che come consumatore, il che ha scatenato tensioni commerciali con gli Stati Uniti, l’Europa e una serie di mercati emergenti. Il candidato alla presidenza degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto tariffe del 60% su tutti i beni cinesi se vincerà le elezioni del mese prossimo.
Questi squilibri alimentano preoccupazioni circa il potenziale di crescita a lungo termine della Cina, indipendentemente dall’impulso fiscale a breve termine.
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