News Economia
Il fondo pensione australiano UniSuper si espande in Europa
Secondo quanto è stato riportato lunedì 8 maggio dal quotidiano economico-finanziario britannico Financial Times, il fondo pensione australiano che fornisce servizi pensionistici ai dipendenti del settore dell’istruzione superiore e della ricerca in Australia ha acquisito una quota del valore di 1 miliardo di dollari australiani (pari a circa 680 milioni di dollari statunitensi) nella Vantage Towers, l’ex azienda di torri per la telefonia mobile di Vodafone, la nota multinazionale di telefonia mobile e fissa con sede a Londra.
L’accordo è l’ultimo segnale che l’industria pensionistica australiana in crescita, il quinto sistema pensionistico più grande del mondo con 3 trilioni di dollari australiani, sta cercando crescita al di fuori del proprio mercato domestico. Molti sono, di fatto, i fondi di grandi dimensioni che negli ultimi tempi stanno cercando opportunità di investimento in Europa.
Una quota in Vantage Towers
UniSuper, un fondo da 115 miliardi di dollari australiani (pari a poco più di 78 miliardi di dollari statunitensi) che deterrà una quota del 5% in Vantage Towers, si unisce a Vodafone, KKR, il fondo pubblico per gli investimenti dell’Arabia Saudita (Public Investment Fund, PIF) e l’attivista Elliott Management come azionisti in una delle più grandi aziende di torri di telefonia in Europa, che copre ben 10 Paesi.
UniSuper è un investitore attivo nelle infrastrutture australiane. Ha, infatti, sostenuto il consorzio da 23,6 miliardi di dollari australiani (poco più di 16 miliardi di dollari statunitensi) che ha privatizzato lo scorso anno l’aeroporto di Sydney, consolidando la sua quota nella società non quotata in uno dei più grandi affari mai realizzati nel Paese. È anche il maggior azionista di Transurban Group, una società di operatori stradali che gestisce e sviluppa reti urbane e autostrade a pedaggio in Australia, Canada e Stati Uniti.
L’accordo con Vantage Towers rappresenta, tuttavia, una delle sue mosse più significative all’estero, in un momento in cui i fondi pensione cercano opportunità per diversificare geograficamente i loro investimenti. Questo è, infatti, il primo investimento diretto non quotato in infrastrutture all’estero del fondo universitario.
Sandra Lee, responsabile dei mercati privati di UniSuper, ha dichiarato che il superfondo lavorerà con KKR, una società di investimenti globale con sede a New York, e gli altri azionisti per realizzare la strategia di Vantage Towers. Si tratta di un investimento infrastrutturale difensivo di alta qualità con forti fondamentali e prospettive di crescita, ha aggiunto in una dichiarazione. Questo accordo si aggiunge al portafoglio di UniSuper di circa 15 miliardi di dollari di mercati privati ed è posizionato per fornire eccellenti risultati ai suoi membri nel lungo periodo, ha concluso.
Negli ultimi anni le torri per le telecomunicazioni sono diventate un obiettivo per gli investitori infrastrutturali, in quanto le società di telecomunicazioni hanno venduto i loro impianti, che ospitano gli apparati radio delle reti mobili ma possono anche generare flussi di cassa prevedibili grazie a contratti di locazione a lungo termine, al fine di liberare fondi da investire in aggiornamenti delle reti stesse.
Vodafone si è ritagliata Vantage Towers per sbloccare valore dal suo bilancio. La società con sede a Düsseldorf, in Germania, è stata quotata in borsa due anni fa, mantenendo una maggioranza di controllo nel tentativo di mantenere l’esposizione al valore creato dal consolidamento del settore. La multinazionale ha successivamente deciso di escludere Vantage Towers dalla quotazione e ha venduto il 50% della società di torri di telefonia a KKR, al fondo di investimenti in infrastrutture con sede a New York Global Infrastructure Partners e al PIF l’anno scorso per ridurre il suo debito. Separatamente, Elliott ha acquisito il 5,6% dei diritti di voto di Vantage a febbraio.
Investimenti
Parla Jerome Powell: a rischio tagli da 25 punti base a dicembre? Mercati risk on giù!
Parla Jerome Powell e gela chi attende tagli certi e spediti: mancano segnali da economia.
Jerome Powell conferma quello che è il sentiment che ha iniziato a serpeggiare sui principali mercati già da oggi. Non vi è alcuna fretta, dice il Presidente di Federal Reserve, di mettere mano ai tagli. Una situazione complessivamente articolata, quella che si sta verificando negli USA, che si basa però su un caposaldo importante: l’economia sta andando bene e le pressioni sono tornate sulla necessità di tagliare l’inflazione piuttosto che sullo stimolo all’economia.
I mercati ancora aperti, come quello di Bitcoin, hanno reagito con una contrazione importante, testimoniando così la dipendenza almeno sul medio e lungo periodo del ritorno su livelli di tassi non restrittivi. Per la reazione delle borse principali, al netto di quanto sta avvenendo sull’after hours, si dovrà comunque aspettare domani. Di tempo affinché i mercati digeriscano quanto in realtà avevano iniziato a digerire già da oggi ce n’è.
Un Jerome Powell titubante: tagli potranno aspettare
Non è chiaro se si sia riferito già all’appuntamento del 18 dicembre, ultimo dell’anno, durante il quale i mercati si attendono comunque in maggioranza che ci siano dei tagli da 25 punti base. Ad ogni modo Jerome Powell è stato relativamente chiaro: l’economia non sta mandando segnali che spingano Federal Reserve ad affrettarsi nel taglio ai tassi.
Un gioco di equilibri all’interno di una singola frase che però lascia aperta la porta comunque a tagli a gennaio per poi rivalutare la situazione già a gennaio 2025. Jerome Powell continua inoltre a indicare nei dati l’unica bussola che Fed seguirà per le prossime decisioni. Dichiarazioni che non indicano in realtà nulla di nuovo, ma che sono bastate a gettare nello sconforto almeno parte degli asset risk on. La sentenza definitiva arriverà domani, alla riapertura di mercati tradizionali, che decreteranno se ci sarà ulteriore spazio per la corsa oppure se sarà il caso riconsiderare la corsa incredibile che ha comunque occupato tutto il 2024.
News Economia
Inflazione secondo aspettative negli USA: +2,6% per CPI, +3,3% per CORE. Ora tagli in dubbio?
Arrivano i dati dell’inflazione USA, perfettamente allineati con le previsioni. Bitcoin spinge verso il record.
Tutto secondo previsioni, o forse no. L’inflazione negli USA fa registrare una Core ferma al 3,3%, e un’inflazione classica al 2,6%, vicina a quella delle previsioni che si erano però rapidamente innalzate nel corso delle ultime ore. Siamo dunque in linea con quanto i mercati si aspettavano, per quanto questi dovranno emettere la loro sentenza definitiva durante la riapertura dei mercati alle 15:30 ora italiana. Difficile interpretare per ora, alla luce del rimbalzo per l’inflazione classica, quali saranno gli intendimenti di Federal Reserve per l’incontro del FOMC di dicembre, che è ancora in bilico per quanto riguarda la possibilità di tagliare o non tagliare i tassi di ulteriori 25 punti base.
Una situazione che comunque non è di particolare angoscia per i mercati, che non prenderebbero forse troppo male la possibilità di rallentare il percorso di ritorno verso i tassi neutrali (che però nessuno conosce), cosa che potrebbe essere interpretata anche come maggiore fiducia verso il soft landing, l’atterraggio morbido per l’economia USA che potrebbe a questo punto evitare la recessione.
Intanto i mercati già aperti…
Per ora atteggiamento pimpante anche sul mercato di riferimento quando le borse USA sono chiuse, ovvero quello di Bitcoin. Spike verso l’alto poi ampiamente corretto e poi ripartito, segno che di incertezza ce n’è ancora tanta e che servirà a conferma la guida da parte delle borse USA per capire quale direzione prendere.
Dati che dunque non cambiano granché a livello macro – con i prossimi sul mercato del lavoro che potrebbero essere i più importanti per quanto riguarda la prossima decisione di Federal Reserve. Decisione che comunque non sarà granché decisiva in termini di ritorno verso tassi espansivi. Come ha già ricordato infatti Jerome Powell, siamo ancora ampiamente in territorio restrittivo e con ogni probabilità dovremo rimanerci ancora a lungo, almeno fino a quando non si sarà convinti al 100% della traiettoria dell’inflazione verso il 2%.
Investimenti
Parla Neel Kashkari di Fed Minneapolis: se inflazione sopra +2,4% no tagli ai tassi
Si riapre lo scenario del “no tagli” a dicembre. Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis.
Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis – tra i falchi designati di questo ciclo – che mette le mani avanti sulle prossime decisioni di Federal Reserve per quanto riguarda i tassi di interesse, che saranno dettate anche dal dato sull’inflazione in arrivo il 13 novembre. Un dato sull’inflazione che ci si aspetta relativamente alto e in controtendenza rispetto al calo degli scorsi mesi.
Un dato alto che potrebbe, dice Kashkari, mettere in dubbio il taglio previsto per dicembre, ovvero il secondo dei tagli che sarebbero dovuti arrivare a conclusione del 2024. Poco male, per quanto i mercati preferirebbero certamente avere un altro taglio e dunque un ritorno a maggiore liquidità il prima possibile.
Tra il dire e il fare, lo spauracchio dell’inflazione…
Il problema torna a essere quello di qualche mese fa. L’inflazione potrebbe tornare a fare capolino. Tenendo conto di un mercato del lavoro che è però ancora forte, potrebbe essere proprio l’aumento dei prezzi per i consumatori a tornare preponderante e dunque a indirizzare le prossime decisioni di Fed. Questo almeno nella lettura di Neel Kashkari, che ha un atteggiamento mediamente hawkish e che i mercati non sembrerebbero condividere appieno.
Servirebbe un dato importante – nel senso di un dato più alto delle previsioni – che sono fissate intorno al 3,3% in termini di consenso per la Core e al 2,4% invece per l’inflazione classica. Per ora Fed Watchtool indica come probabilità dei tagli di 25 punti base a dicembre il 62%. Qualcosa che potrebbe cambiare comunque secondo il dato di domani, come ha appunto indicato Kashkari, che sarà anche hawkish, ma che nel caso di inflazione più alta del previsto potrebbe finire per avere ragione. Una ragione che potrebbe avere un impatto negativo su borse che stanno vivendo un grande 2024. E che aprirebbe però di nuovo ad una lettura ancor più interessante: se si può rallentare sui tagli, vuol dire che Fed ha enorme fiducia sulla possibilità di un soft landing, fiducia dettata dallo stato complessivo dell’economia USA.
Investimenti
Federal Reserve taglia di 25 punti base. Occhi puntati sul discorso di Jerome Powell
Federal Reserve taglia i tassi di 25 punti base. Ora parla Powell che darà una direzione ai mercati.
Il FOMC delibera quanto era più che scontato. Taglio di 25 punti base ai tassi di interesse negli USA, seguendo quanto Powell aveva già indicato nella precedente riunione. Dovrebbe essere, a meno di clamorosi rimbalzi da parte dell’inflazione, il penultimo dei tagli di questo 2024. Cosa che però dovrà essere confermata anche dalla conferenza stampa di rito di Jerome Powell che si terrà alle 20.30 ora italiana. Una conferenza stampa che arriva al termine di una settimana che è stata dominata dalla questione elettorale.
La vittoria di Donald Trump non impatterà in alcun modo sulle prossime decisioni di una banca centrale, Federal Reserve, che rimane la più indipendente dal potere politico al mondo. Cii sarà però da fare qualche considerazione di medio e lungo periodo, in particolare in corrispondenza con politiche fiscali che si preannunciano come fortemente espansive, politiche fiscali che dovranno con ogni probabilità portare ad una sorta di contenimento delle politiche monetarie gestite da Federal Reserve.
Tutto secondo programma
Tutto secondo programma da Federal Reserve, con il FOMC che chiude la riunione comunicando tagli da 25 punti base. Tagli che erano stati in realtà anticipati da Jerome Powell e che sono giustificati sia da un rallentamento dell’inflazione, sia al tempo stesso da un rallentamento del mercato del lavoro. Per ora le condizioni per un soft landing sembrerebbero confermate: trimestrali e PIL confermano un’economia USA ancora in salute.
L’ultima parola però dovranno darla i mercati, per ora relativamente fiduciosi di quanto sta facendo Powell – tenendo però sempre conto del fatto che non tutto sarà nelle mani di Federal Reserve. Ora occhi puntati sulla conferenza stampa di Jerome Powell: il Presidente di Federal Reserve non è uomo di grandi proclami – e gli analisti si produrranno in esegesi di gesti, sguardi e parole per cercare di capire quale sarà la prossima direzione di Federal Reserve in termini di tassi.
Investimenti
I mercati anticipano le elezioni: 3 asset che prevedono il prossimo presidente degli Stati Uniti
Andamento dei mercati utile per anticipare l’esito delle elezioni? Ecco tre asset che ci provano.
Per quanto si potrebbe brancolare nel buio per i prossimi giorni – e più avanti vedremo perché – i mercati cominciano a posizionarsi in relazione al possibile esito delle elezioni USA. Molti titoli sono una sorta di scommessa binaria sulle elezioni e sono anche quelli che stanno muovendosi maggiormente in queste ore ancora a urne aperte negli USA.
Una concomitanza di votazioni a borse aperte – tra le altre cose con i primi early vote che vengono conteggiati già – che agli europei e in particolare agli italiani sembrerà relativamente strana. Sia perché in genere le elezioni si tengono nei festivi, con la possibilità di una coda il lunedì, sia perché difficilmente le elezioni hanno un impatto così radicale sull’andamento delle borse, almeno dalle nostre parti. C’è l’andamento di almeno tre titoli e comparti che è interessante analizzare in queste prime ore.
I mercati aprono a Donald Trump? Tre sì che arrivano dai mercati
C’è da fare una premessa prima di guardare alle performance degli asset che starebbero confermando una sorta di pregiudizio pro-Trump. Con ogni probabilità in diversi si stanno posizionando con l’arrivo dei primi early vote conteggiati, non tenendo conto del fatto che anche nelle precedenti elezioni questi finirono per favorire Trump, salvo poi essere smentiti. In Florida il candidato repubblicano sembrerebbe essere sufficientemente tranquillo, ma è anche vero che mai era stata messa in discussione la possibilità che la Florida diventasse blu.
- DJT
È il titolo a mo’ di opzione sull’elezione di Donald Trump. Dopo un andamento in larga parte ondivago nel corso dell’ultima settimana di ottobre, il titolo ha ripreso a crescere. Oggi fa registrare un solido +14%, che sembrerebbe essere un messaggio dei mercati su quanto si aspettano che arrivi dalle elezioni. Scommessa però assai rischiosa, almeno in questo preciso momento, quando di dati concreti se ne hanno ancora molto pochi e forse troppo pochi.
- Bitcoin
È tornato sopra i 70.000$, con una corsa importante che ha occupato quasi tutta la sessione di scambi negli USA. Anche Bitcoin è ritenuto una sorta di Trump trade, ovvero un asset che avrebbe giovamento dall’eventuale vittoria repubblicana. Anche qui però è consigliata la massima attenzione. Siamo sia in un campo invero assai volatile, sia ancora nella speculazione più assoluta e totale.
- SPX500
Pimpante, molto. Un vecchio adagio di Wall Street dice che SPX500 difficilmente si interessa delle elezioni, ed è forse la cosa più saggia da portare a casa nel contesto attuale. Prima di attribuire il potere di vaticinio ai movimenti di mercato oggi, sarà il caso di vedere almeno i primi voti importanti che… arriveranno.
-
News4 settimane ago
Petrolio, il Brent in mattinata guadagna lo 0,4%. Chiusura settimanale positiva
-
News4 settimane ago
Morgan Stanley rivede i propri obiettivi climatici. La transizione green c’è, ma è lenta
-
Guide Azioni1 mese ago
Migliori azioni da comprare
-
Guide Azioni1 mese ago
Comprare azioni ENI
-
Guida3 settimane ago
Migliori 10 Piattaforme Trading Online
-
Guide Azioni1 mese ago
Comprare azioni ENEL
-
Guide Azioni1 mese ago
Azioni intelligenza artificiale