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La BCE potrebbe fermare i rialzi dei tassi dopo luglio

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Non ci sono dubbi sul fatto che la Banca Centrale Europea continuerà ad aumentare i tassi di interesse con la prossima riunione di politica monetaria a luglio. Tutti i membri del direttivo sono concordi nel dire che si tratta di una scelta necessaria, inclusa Christine Lagarde. Allo stesso tempo, nelle ultime due settimane si è fatta viva la possibilità che la BCE decida di mettere in pausa i rialzi dei tassi dopo la riunione di questo mese. L’ipotesi si è fatta particolarmente concreta dopo alcune recenti dichiarazioni di Ignazio Visco, Presidente di Banca d’Italia, e del Presidente della banca centrale olandese Klaas Knot.

Considerando la quasi totale certezza per quello che succederà a luglio, gli economisti cominciano a guardare a settembre. Soprattutto per quanto riguarda il mercato Forex, i tassi di cambio tenderanno a muoversi in base alle previsioni riguardo all’incerta decisione che seguirà a due mesi di distanza. Un recente articolo di Bloomberg, che cita fonti vicine con la materia -senza fare nomi-, ritiene che ci sia indecisione riguardo al futuro a breve termine della politica monetaria della BCE. Anche se rimane tutt’altro che una certezza, rimane aperta la possibilità di una prima pausa dopo oltre un anno di continui rialzi. Dipenderà molto anche dai dati provenienti dall’economia dell’Eurozona.

presentazione della notizia sul possibile stop dei rialzi dei tassi della banca centrale europea
La Federal Reserve ha già messo in pausa i suoi rialzi dei tassi il mese scorso

Knot e Visco lasciano dubbi su settembre

I governatori di due importanti banche nazionali europee, quella olandese e quella italiana, hanno fatto dichiarazioni che hanno spinto per la prima volta i mercati a credere in uno stop ai rialzi dei tassi della BCE dopo ormai quasi un anno. La prima dichiarazione che ha lasciato spazio a questi dubbi è quella di Ignazio Visco, che ha da poco assunto il ruolo di governatore di Banca d’Italia dopo una lunga carriera di successo proprio presso la Banca Centrale Europea.

Parlando a Sky TG24, Visco ha ripetutamente sottolineato che ci vorrà tempo prima di vedere gli effetti della politica monetaria sull’economia reale. Ritiene che il picco sia vicino, anche se non ha voluto specificare quanto vicino possa essere. Ha specificamente dichiarato, però, che il picco dei tassi di interesse della BCE sarà sicuramente raggiunto prima della fine dell’anno.

La seconda dichiarazione che punta verso un possibile stop ai rialzi, almeno per un periodo, proviene da Klaas Knot. Il governatore della banca centrale olandese ritiene che non ci siano dubbi su luglio, definendo un ulteriore rialzo dei tassi come una “necessità”. Ritiene però che, una volta passata questa riunione di politica monetaria, per settembre si possa parlare al massimo di una “possibilità”. In un’intervista con la stampa ha chiaramente indicato che non ritiene assolutamente una necessità il fatto di tornare ad aumentare i tassi centrali anche a settembre.

foto della sede della BCE
Il primo rialzo dei tassi di interesse della BCE in questo ciclo economico è avvenuto il 27 luglio dello scorso anno

UBS ritiene che il picco sarà al 4%

Una delle previsioni più aggiornate e più dettagliate sulle possibili mosse della Banca Centrale Europea è quella di UBS. Il gruppo bancario svizzero, ora forte anche dell’acquisizione di Credit Suisse, ritiene che il picco dei tassi sarà al 4% e che arriverà a settembre. Considerando che attualmente i tassi centrali nell’Eurozona sono al 3,50%, questo implicherebbe un rialzo di 25 punti base nella riunione di luglio e un altro rialzo di 25 punti base a settembre. Questa sarebbe l’ipotesi più accreditata considerando anche il consenso generale degli analisti finanziari in questo momento. UBS ritiene comunque che ci sia un “rischio significativo” che il picco arrivi al 4.25% a ottobre.

Allo stesso tempo, UBS ha anche abbassato le previsioni di crescita per l’Eurozona nel corso di quest’anno e del prossimo. Ora gli analisti della banca svizzera si aspettano che nel 2023 l’economia europea cresca dello 0,5% e dello 0,7% l’anno prossimo; le stime precedenti erano di una crescita dello 0,8% per il 2023 e 1.0% per l’anno prossimo. In ogni caso questa previsione non include uno scenario di recessione significativa nell’Eurozona, indicando comunque uno scenario meno ribassista rispetto a quello previsto da altri analisti.

Laureato in Economia Aziendale all'Università degli Studi di Torino, digital nomad e investitore esclusivamente in azioni. Gestore e chief-analyst del portafoglio azionario di TradingOnline.com. "Anche se difficile da ricordare a volte, un'azione in realtà non è un biglietto della lotteria...è la proprietà parziale di un'azienda" - Peter Lynch

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Investimenti

BCE: pronti a muoverci senza aspettare Federal Reserve. La strada verso tassi più bassi sarà più veloce a Francoforte?

Dichiarazioni pesanti del membro francese del consiglio di BCE: pronti a muoverci senza seguire Fed.

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EUR USD FED BCE

I tempi della Banca Centrale Europea gregaria di Federal Reserve sono finiti. La cosa era diventata già chiara quando Francoforte ha avviato il ciclo di tagli senza attendere le prime mosse di Washington, con la seconda che poi si è trovata a rincorrere con un taglio da ben 50 punti base. Sul tema è tornato oggi Francois Villeroy de Galhau, della banca centrale francese e membro con diritto di voto nel Governing Council di BCE. Senza mezzi termini il francese ha confermato che le eventuali decisioni sui tagli da parte di BCE verranno prese in totale autonomia, senza che si guardi a occidente per capire come muoversi.

Si tratterebbe del primo ciclo per la Banca Centrale Europea senza essere sotto la guida (e per tanti sotto l’ala) di Federal Reserve. Con le condizioni economiche tra la zona euro e gli States che non sono mai state così differenti negli ultimi cicli, la cosa avrebbe ovviamente anche senso – ed è così che potrebbe essere recepita dai mercati.

Indipendenza sì, ma in che senso?

Probabilmente in termini di stimoli. Se il mercato del lavoro USA dovesse continuare a mostrarsi così forte – e il PIL così resiliente – dalle parti di Washington potrebbe venire meno la necessità di procedere con tagli spediti. E in una situazione di genere, per un’economia europea che cresce poco, che in deficit di investimenti e che presto potrebbe fare i conti con una recessione, e dove anche l’inflazione morde meno, le decisioni da prendere potrebbero essere diverse.

Una responsabilità che secondo Villleroy de Galhau sia Christine Lagarde, sia il board sarebbero pronti a prendere, senza necessariamente guardare a Washington.

Con l’euro che è già in grande sofferenza contro il dollaro dal post-elezione di Trump, chissà se la parità tra le due principali valute a livello mondiale tornerà effettivamente sul piatto. Per ora, in queste condizioni, l’outlook su EUR non può che essere ribassista.

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Escalation tra Kiev e Mosca: in campo missili USA. Mercati rispondono premiando oro (+0,66%), Yen e Franco Svizzero.

I mercati reagiscono alle notizie che arrivano da Mosca: c’è davvero rischio di conflitto nucleare?

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Mercati guerra risposte

Non solo bond. Anche le valute storicamente ritenute porti sicuri guadagnano in modo importante dopo che il rischio escalation in Russia ha raggiunto le vette forse più alte dall’inizio del conflitto. Quando in Italia era il primo pomeriggio, è stato infatti comunicato il primo attacco con armi USA sul territorio russo, cosa che ha contribuito almeno in prima battuta ad una reazione relativamente convulsa da parte dei mercati. Pericolo per ora rientrato – almeno a leggere gli intendimenti delle borse USA – che più che preoccupate per un’eventuale conflitto sono in attesa delle trimestrali NVIDIA che segnaleranno principalmente l’andamento del settore più importante di tutti in questa fase, ovvero quello AI.

A contribuire alle preoccupazioni che hanno dato una mano anche quotazioni dell’oro anche l’aggiornamento di quella che viene chiamata, non senza un certo gusto per il sensazionalismo, la dottrina nucleare di Mosca. L’ultima fase della presidenza Biden chiuderà con ogni probabilità con tensioni al massimo, che hanno già avuto un impatto sul mercato e che potrebbero continuare ad averlo nel corso delle prossime settimane.

Bene oro, yen, franco svizzero

Mentre giornalisti e analisti tiravano le somme della potenziale escalation dalle parti di Mosca, i mercati cercavano di computare i potenziali effetti di quello che è stato il primo attacco di Kiev sul territorio russo utilizzando missili a lunga gittata Made in USA. Il permesso per l’utilizzo di certe armi era arrivato soltanto pochi giorni fa, con una mossa a sorpresa da parte del governo Biden che aveva scatenato anche polemiche politiche.

La presidenza Biden si avvia infatti al tramonto e il 20 gennaio Donald Trump giurerà come nuovo presidente. Da lì in avanti, almeno stando a quanto è stato espresso in campagna elettorale, si tenterà un’opera di ricucitura degli strappi con Mosca e Putin che per il momento però sembrerebbe essere più lontana che mai. Su questa possibile ricucitura però i mercati sembrerebbero fare affidamento, per quanto qualcuno cerchi di posizionarsi al sicuro su oro. Lo yen ha toccato anche i 153 contro il dollaro, salvo poi perdere qualcosa in riapertura delle borse USA. Una situazione che dovrà essere monitorata per valutare i potenziali effetti anche sui mercati risk on.

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Fondo Monetario avvisa il Giappone: “Controllare il debito e stabilizzare inflazione al 2%”

Arriva il perentorio avviso del Fondo Monetario Internazionale riguardo la politica fiscale giapponese.

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JPN FMI

Krishna Srinivasan – che è a capo del Dipartimento Asia e Pacifico del Fondo Monetario Internazionale, è intervenuto sulla situazione debitoria del Giappone, invitando il paese del Sol Levante a iniziare a discutere di taglio dell’enorme mole di debito pubblico che attanaglia l’economia ormai da più di due decenni. Un intervento che arriva a poco dal fallimento politico del governo in carica, fallimento che è stato confermato dai risultati delle ultime elezioni nel paese. Elezioni dalle quali sono usciti equilibri che almeno per il momento sembrerebbero lasciare poco spazio a decisioni nette in campo fiscale e monetario.

Il canovaccio potrebbe essere quello di sempre: a fronte di maggioranze barcollanti potrebbe aumentare la spesa pubblica, favorendo politiche fiscali lassiste che – in una situazione come quella del Giappone – potrebbe facilmente dare spazio a ulteriori espansioni del debito pubblico. Una potenziale situazione che Srinivasan, a nome del Fondo Monetario Internazionale, vorrebbe certamente scongiurare.

Serve un piano credibile di medio termine

Il piano del Fondo Monetario Internazionale è chiaro: è stato richiesto al Giappone, tra le altre cose pubblicamente, un piano di medio termine che sia credibile in termini fiscali. In aggiunta, il FMI chiede la creazione di buffer che salvaguardino l’andamento dell’economia giapponese da un’eventuale crisi debitoria, tanto di breve quando di medio e lungo periodo.

Per quanto riguarda la politica monetaria, il FMI si aspetta che Bank of Japan favorisca il ritorno stabile ad un’inflazione intorno al 2%, che dovrebbe prevedere decisioni di breve periodo dettate dai dati e dalle effettive possibilità che le grandezze macro offriranno alla banca centrale. E, prima della chiusura, arriva la sconfessione di quanto BoJ racconta in termini di situazione dello yen: se da Tokyo continuano a puntare il dito verso non meglio precisati speculatori, il FMI ribadisce che anche la grande volatilità delle ultime settimane è in realtà frutto di questioni macro piuttosto credibili.

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Sullo yen domina ancora l’incertezza e registra un misero +0,28%. Riflettori puntati sulla BOJ e la Fed

Le quotazioni dello yen sono dominate dall’incertezza. I riflettori, ora come ora, sono puntati sulla BOJ e sulla Fed.

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Sullo yen domina ancora l'incertezza e registra un misero +0,28%. Riflettori puntati sulla BOJ e la Fed

A pesare sulle quotazioni dello yen continuano ad essere i risultati delle elezioni in Giappone, dove la coalizione di governo ha perso la maggioranza parlamentare. Un cambio di passo politico che ha aumentato una serie di incertezze sulle prospettive politiche e monetarie del Paese.

Il dollaro, invece, si è rafforzato e ha raggiunto il suo recente massimo in vista della pubblicazione di una serie di dati importanti nel corso della settimana, che potrebbero condizionare la politica della Federal Reserve.

Lo yen registra un misero +0,28%

Lo yen ha registrato un +0,28% scambiato a 152,86 dollari, dopo che nella giornata di ieri (28 ottobre 2024) è crollato ad un minimo di 153,885, il livello più debole da luglio: le incertezze sulla composizione del futuro governo in Giappone pesano sui mercati valutari.

Katsunobu Kato, Ministro delle Finanze giapponese, ha spiegato che le autorità continueranno ad essere attente alle oscillazioni dei tassi di cambio. 

Sono in molti ad attendersi un periodo contraddistinto da delle lotte per garantire una coalizione, dopo che il Partito Liberal Democratico e il suo partner Komeito sono riusciti a conquistare solo 215 seggi alla Camera Bassa: per ottenere la maggioranza ne erano indispensabili almeno 233.

Carol Kong, stratega valutario presso la Commonwealth Bank of Australia, ha spiegato che nel complesso i rischi sembrano essere orientati verso una politica fiscale più accomodante rispetto a quella adottata dal governo uscente. Carol Kong ritiene che insieme ai solidi dati economici degli Stati Uniti e alle maggiori prospettive di una vittoria di Trump, l’incertezza politica in Giappone potrebbe spingere al rialzo il cambio dollaro/yen nelle prossime settimane.

Ma non solo. Carol Kong aggiunge che l’elevata volatilità dei mercati finanziari potrebbe anche incoraggiare la Banca del Giappone (BOJ) a mantenere invariato il tasso di interesse di riferimento per un periodo più lungo di quanto attualmente previsto.

Lo yen si è avvicinato al minimo degli ultimi tre mesi e si è attestato a 165,24 contro l’euro e 198,12 contro la sterlina.

La BOJ, nel corso della giornata di giovedì, annuncerà la sua decisione di politica monetaria e sono in molti ad aspettarsi che la banca centrale decida di mantenere i tassi invariati.

Il dollaro continua a rimanere forte

Il dollaro si è stabilizzato e ha oscillato in un intervallo ristretto. Gli investitori sono stati titubanti nell’assumere nuove posizioni prima della pubblicazione dei dati; l’indice del dollaro è rimasto pressoché invariato a 104,29.

L’euro è rimasto invariato a 1,0811 dollari, mentre la sterlina è scesa dello 0,07% a 1,2963 dollari.

Una serie di dati economici che sottolineano la resilienza dell’economia statunitense hanno rafforzato il dollaro statunitense nel corso dell’ultimo mese, così come sono aumentate le scommesse di mercato su una vittoria del candidato repubblicano Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi della prossima settimana.

Le politiche di Trump in materia di tariffe, tasse e immigrazione sono considerate inflazionistiche, quindi negative per i titoli di Stato e positive per il dollaro.

L’attenzione è rivolta anche alla lettura dell’indice dei prezzi alla produzione di beni di consumo personali di settembre negli Stati Uniti (la misura preferita della Fed per l’inflazione) che uscirà giovedì, seguito dall’attento rapporto sulle buste paga non agricole di venerdì.

Ray Attrill, responsabile della strategia FX presso la National Australia Bank, spiega che i dati sull’occupazione di venerdì – se il PCE sarà pari allo 0,2% o allo 0,3% – saranno piuttosto importanti. Anche se le elezioni sono probabilmente il fattore più importante per la prossima settimana e potrebbero portare ad un aggiustamento dei prezzi.

Per quanto riguarda le altre valute, il dollaro neozelandese è sceso dello 0,13% a 0,5973 dollari, mentre il dollaro australiano è scivolato al suo livello più debole in oltre due mesi a 0,65602 dollari.

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Lo yen crolla condizionato dalle elezioni in Giappone. Si teme un governo debole

A condizionare in maniera negativa lo yen sono le elezioni in Giappone, che potrebbero determinare una certa instabilità politica.

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Lo yen crolla condizionato dalle elezioni in Giappone. Si teme un governo debole

Lo yen giapponese, in mattinata, è sceso al minimo degli ultimi tre mesi: gli investitori ritengono che la perdita della maggioranza parlamentare da parte della coalizione di governo in Giappone potrebbe rallentare l’aumento dei tassi d’interesse. Il dollaro, invece, si è proiettato verso un guadagno mensile beneficiando dell’aumento dei rendimenti dei Titoli del Tesoro statunitensi.

Nel corso della sessione asiatica lo yen si è indebolito, raggiungendo quota 153,88 dollari e 166,06 euro, che corrispondono al valore più basso registrato su entrambi i fronti dalla fine del mese di luglio. In valori percentuali, l’ultimo calo dello yen è stato pari allo 0,7% rispetto al dollaro – da ottobre è stata registrata una discesa del 6,4% – il più grande di tutte le valute del G10. Gli investitori e gli analisti temono che possa aprirsi, in Giappone, un periodo contrassegnato da lotte politiche il cui obiettivo sarebbe quello di garantire una coalizione dopo che il Partito Liberal Democratico e il suo alleato Komeito hanno vinto 215 seggi alla Camera bassa, rimanendo al di sotto della maggioranza prevista (233 seggi).

Yen e i timori sul futuro della politica monetaria

A condizionare il futuro dello yen è la stabilità politica del Giappone. Gli operatori di mercato ritengono che le elezioni potrebbero portare alla formazione di un governo privo della forza politica necessaria per gestire l’aumento dei tassi d’interesse. Ma soprattutto potrebbero inaugurare un’era di leadership a porte girevoli.

Fumio Kishida è rimasto in carica poco meno di tre anni. Il suo successore Shigeru Ishiba è il quarto primo ministro del Giappone in poco più di quattro anni: come se questo non bastasse, si prevede un’ulteriore instabilità politica che potrebbe portare la Banca Centrale giapponese a muoversi con cautela (si deve riunire questa settimana per stabilire i tassi).

Bart Wakabayashi, direttore della filiale di Tokyo di State Street, spiega che un’altro fattore da considerare. quando si guarda all’economia. è se nel corso dei prossimi ci possano essere una nuova serie di primi ministri: situazione che non farebbe bene allo yen.

Gli analisti della BNY hanno affermato che il prossimo obiettivo immediato per il cambio dollaro/yen sarà 155, con 160 come probabile limite che richiederebbe l’intervento del ministero delle finanze.

Come si sta muovendo il dollaro

Dando uno sguardo a quanto sta avvenendo negli Stati Uniti, il dollaro brilla ed è sulla buona strada per registrare il più importante aumento mensile degli ultimi due anni e mezzo. Questo è, indubbiamente, un segnale di forza dell’economia statunitense. Le scommesse sulla vittoria di Donald Trump alla presidenza hanno sollevato i rendimenti statunitensi in previsione di politiche che potrebbero ritardare i tagli dei tassi di interesse.

A 1,0790 dollari, l’euro è rimasto stabile ma è sceso di oltre il 3% nell’arco dell’ultimo mese. La sterlina viene scambiata a 1,2952 dollari e ha registrato un calo del 3,1% fino a ottobre.

I rendimenti dei titoli del Tesoro decennali sono aumentati di 40 punti base a ottobre, rispetto a un aumento di 16 punti base per i bund decennali e di 23 punti base per i gilt.

Un’ulteriore frenata dovuta alla delusione per i piani di stimolo della Cina ha messo sotto pressione il dollaro australiano e quello neozelandese, che sono scesi ai minimi degli ultimi 2 mesi e mezzo lunedì. Le vendite hanno portato il kiwi a 0,5958 dollari e una perdita del 6% per ottobre, mentre l’Aussie è sceso a 0,6579 dollari e ha perso il 4,6% a ottobre.

L‘indice del dollaro USA è salito del 3,6% a 104,46 nel mese di ottobre, registrando il rialzo mensile più netto da aprile 2022.

La settimana che ci attende sarà densa di dati: dati sull’inflazione in Europa e Australia, dati sul prodotto interno lordo negli Stati Uniti e indici dei responsabili degli acquisti in Cina.

I dati del fine settimana hanno mostrato che gli utili industriali in Cina sono crollati a settembre, con un calo annuo del 27,1%. Lo yuan ha toccato il minimo da fine agosto, attestandosi a 7,1355 per dollaro.

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