News Green Economy
Fincantieri punta sulle energie rinnovabili con l’eolico
Fincantieri, il più grande costruttore di navi d’Europa, sostiene che una svolta dall’industria del petrolio ai parchi eolici potrebbe più che raddoppiare i ricavi del suo settore offshore nei prossimi cinque anni. La mossa segue il fallimento del suo tentativo di acquistare il concorrente francese Chantiers de l’Atlantique.
Pierroberto Folgiero, amministratore delegato dell’azienda italiana, ha dichiarato al Financial Times nella mattinata del 13 marzo che la sua attività offshore Vard in Norvegia potrebbe raggiungere un fatturato fino a 1,7 miliardi di euro entro il 2027, rispetto ai 700 milioni di euro dell’anno scorso.
Vard, la carta vincente di Fincantieri per rilanciare il business offshore
Durante una visita in Norvegia, infatti, l’amministratore delegato ha definito Vard l’arma segreta della società italiana, sostenendo che le energie rinnovabili in mare creeranno una nuova economia e Vard si sta preparando a una rinascita nell’industria navale norvegese. Attualmente, l’attività principale di Fincantieri si basa soprattutto sulla costruzione di navi da crociera e di imbarcazioni militari. Queste rappresentano rispettivamente 4,2 miliardi di euro e 2,1 miliardi di euro dei ricavi complessivi del gruppo, pari a 7,5 miliardi di euro.
Folgiero sta, quindi, cercando di rivitalizzare la terza attività di Fincantieri, l’attività offshore a Vard, e spera che quest’ultima possa generare da 1 a 1,1 miliardi di euro di ricavi quest’anno e da 1,5 a 1,7 miliardi di euro entro il 2027, in quanto le aziende norvegesi che hanno a lungo sostenuto la crescita del settore petrolifero e del gas si stanno ora rivolgendo all’energia eolica offshore.
Il CEO ha, inoltre, affermato che i ricavi del gruppo nel 2027 potrebbero essere vicini ai 10 miliardi di euro, grazie anche alla crescita del settore militare, poiché le aziende di difesa beneficeranno di un aumento della spesa governativa dopo la guerra in Ucraina.
Vard sta entrando nel mercato delle navi senza equipaggio e ha già consegnato la nave portacontainer autonoma Birkeland a Yara, l’azienda di fertilizzanti norvegese. Folgiero ha dichiarato che tali navi, così come quelle alimentate da combustibili verdi, saranno vitali per l’industria eolica offshore nel futuro. Mentre lavorare in mare molto tempo fa significava costruire una piattaforma petrolifera, infatti, ora significa costruire un parco eolico. Le competenze necessarie per costruire queste navi specializzate sono molto simili, ha continuato il CEO, sostenendo che non si tratta di grande transizione concettuale, bensì di innovazione.
A tal proposito, di fatto, Vard ha firmato all’inizio di questo mese un accordo per consegnare quattro navi da servizio nel 2025-26 a Edda Wind, un’azienda norvegese di energia rinnovabile offshore.
Edda Wind ordina quattro nuove navi CSOV a Fincantieri
Nelle scorse settimane Fincantieri ha siglato un contratto con Edda Wind per la costruzione di quattro commissioning service operation vessels (CSOV, servizio di messa in funzione delle navi operative). L’ordine, del valore di circa 250 milioni di euro, è stato eseguito attraverso l’affiliata Vard.
Al fine di supportare le operazioni a emissioni zero, le navi saranno basate sulla tecnologia dei vettori di idrogeno organico liquido (LOHC) oltre a essere predisposte per il metano. Inoltre, le imbarcazioni avranno 101 cabine, aree comuni e la capacità di ospitare fino a 95 tecnici di turbine eoliche e 25 membri dell’equipaggio. La nuova flotta di Fincantieri si unirà alle 11 navi CSOV e alle due navi posacavi esistenti di Edda Wind.
L’amministratore delegato Pierroberto Folgiero ha dichiarato di essere particolarmente soddisfatto di questo risultato, che soddisfa molte direzioni dello sviluppo dell’azienda, aggiungendo che questo ordine conferma il ruolo di Fincantieri come partner tecnologico per le aziende che intendono rafforzare la loro flotta con prodotti all’avanguardia.
Fincantieri ha pianificato di consegnare le prime due navi entro il primo trimestre del 2025, mentre le altre due entro il secondo trimestre del 2025 e il primo trimestre del 2026, rispettivamente. Con questo contratto, l’azienda italiana si conferma come fornitore di navi per il settore dell’energia eolica offshore, che è diventato uno dei suoi core business nel nuovo piano strategico. Inoltre, Edda Wind ha opzioni per l’acquisto di ulteriori 2+2 CSOV allo stesso prezzo. Se questa opzione viene esercitata, le consegne avverranno nel 2025 e nel 2026.
Fincantieri non è la sola a virare verso l’energia eolica. Nonostante la guerra e le difficoltà economiche che il Paese sta affrontando a causa dell’invasione russa, infatti, la società ucraina DTEK Group ha completato la prima fase di costruzione di un progetto eolico da 500 MW. Nonostante i rallentamenti dovuti alla situazione attuale, il governo ucraino continua il suo piano per produrre il 50% dell’energia totale nazionale da fonti rinnovabili entro il 2030.
Investimenti
Shell: addio a business riduzione emissioni. Gruppo manterrà solo quota di minoranza. Business da 120 milioni in calo
Shell segue l’esempio di altre società petrolifere e cerca il disimpegno dai business “green”.
Continua il disimpegno da parte delle grandi del petrolio dal settore ESDG. Shell, in un più ampio contesto di concentrazione degli sforzi sulle attività più redditizie, ha infatti annunciato la volontà di di cedere parte delle quote dei suoi business che operano nel settore della riduzione delle emissioni. La decisione sarebbe stata presa in quanto il gruppo anticipa la riduzione dell’attrattiva del mercato degli offset per le emissioni di CO2. Una situazione che probabilmente si incrocia anche con questioni politiche – principalmente negli Stati Uniti – che potrebbero fare da traino ad un graduale disimpegno a livello globale di certe attenzioni da parte di… certi gruppi.
Solo ad inizio ottobre BP aveva preso una decisione simile, rinunciando a qualunque piano per la riduzione della produzione di petrolio, altra notizia che fu interpretata come un fallimento, almeno parziale, degli sforzi fatti in tal senso dalle principali società che si occupano di idrocarburi.
Meno domanda per gli offset, ma non solo
A guidare la decisione di Shell sono stati almeno due motivi: la società ritiene che la domanda per gli offset sarà in calo per il futuro prossimo e dall’altro ritiene al tempo stesso di dover concentrare gli sforzi sulle attività più redditizie per il gruppo. Attività più redditizie che esulano dal gruppo di operazioni ESG che il gruppo ha pur avviato nel corso degli ultimi anni.
Il ritiro è già in parte avvenuto, anche perché Shell, secondo quanto viene riportato da Bloomberg, non vedrebbe in alcun modo un vantaggio strategico per i prossimi anni rispetto alla concorrenza.
Il gruppo avrebbe comunque intenzione di mantenere delle quote di minoranza, anche se non è chiaro per il momento di quale entità. Shell starebbe dialogando, per il momento, principalmente con società di private equity potenzialmente interessate all’acquisto. Non è chiaro che tipo, per il momento, di conseguenze avrà la cessione di Shell sul resto del comparto.
News
Energia rinnovabile, investimenti in bilico in attesa dell’esito del voto statunitense
Riflettori puntati sull’energia rinnovabile, segmento nel quale gli investimenti rimangono in bilico in attesa dell’esito delle elezioni Usa.
Il settore dell’energia rinnovabile attraversa un periodo di incertezza, determinato, prima di tutto, dal ritiro degli investitori, i quali si ritrovano ad affrontare una serie di dubbi e perplessità determinate dalle imminenti elezioni negli Stati Uniti, che oltre a portare maggiore cautela, hanno convinto gli investitori a puntare unicamente a poche selezionate azioni.
Nel biennio 202-2021 il segmento dell’energia rinnovabile ha raggiunto valutazioni da bolla: alcuni importanti fondi si sono riversati sul mercato, attratti dal calo dei costi di sviluppo. Da quel momento i guadagni sono stati condizionati da alcuni fattori, tra i quali ricordiamo la concorrenza cinese nel settore delle energie rinnovabili, una ripresa dei rendimenti dell’energia convenzionale e alcuni problemi strutturali per le fonti rinnovabili, che sono stati condizionati dall’interruzione della catena di approvvigionamento e dalla carenza di connessioni alla rete.
Energia rinnovabile, cosa sta accadendo negli Usa
L’Inflation Reduction Act (IRA) negli Stati Uniti si è rilevato uno dei più importanti stimoli per chi avesse intenzione di investire nell’energia rinnovabile. La politica è stata adottata trasversalmente dai due principali orientamenti politici statunitensi, cosa che porta a ritenere che i benefici potrebbero continuare.
Alcuni osservatori, ad ogni modo, ritengono che il ritorno alla presidenza di Donald Trump possa incanalare i finanziamenti verso i combustibili fossili, avendo già promesso ulteriori trivellazioni petrolifere. Al contrario un’eventuale vittoria della democratica Kamala Harris potrebbe essere importante per ripristinare le energie rinnovabili. Ma anche se si dovesse verificare questa eventualità, non è detto che ci possa essere lo stesso boom del 2020-2021.
Will McIntosh-Whyte, gestore di fondi presso Rathbones Asset Management nel Regno Unito, spiega che i tassi stanno scendendo: questo, però, non risolve i problemi di concorrenza o la domanda del mercato finale, che è ancora presente, anche se con una traiettoria di crescita inferiore rispetto a prima.
I fondi di energia alternativa hanno registrato deflussi netti per 17 mesi consecutivi, la serie di perdite più lunga sui dati Lipper risalenti a settembre 2019. Finora nel 2024, gli investitori hanno ritirato più di 11 miliardi di dollari, portando gli asset a 54,2 miliardi di dollari. Durante il boom del 2021 a questo punto dell’anno, gli afflussi netti hanno superato i 29 miliardi di dollari.
In 12 mesi, il ritiro ha comportato un calo del 28% nel numero di unità in circolazione nell’iShares Global Clean Energy ETF, i cui maggiori investimenti includono la società statunitense di tecnologia solare First Solar, la società di servizi britannica SSE e Yangtze Power.
L’indice MSCI Global Alternative è destinato al suo quarto anno di cali, registrando una perdita del 18% dall’inizio dell’anno, mentre le azioni globali hanno guadagnato il 17%. L’indice viene scambiato con uno sconto del 2,7% rispetto alle azioni mondiali, su una metrica forward price-to-earnings, rispetto al premio di picco del 25-50% nel 2020-22.
Energia rinnovabile, il turno corto
Nel 2022 lo scoppio della guerra in Ucraina ha determinato dei rendimenti record per le aziende che operano nel comparto. In molti casi sono anche stati ripensate le strategie per passare alle energie rinnovabili.
Gli analisti hanno affermato che un modo per ottenere esposizione è attraverso i gestori di rete, come l’italiana Terna e la spagnola Iberdrola, il cui business regolamentato è meno volatile rispetto alle attività puramente rinnovabili.
Alcuni gestori di fondi hanno smesso di essere long e short sulla transizione all’energia verde. Tra le aziende che sono finite sotto i riflettori c’è lo sviluppatore di energia eolica offshore Orsted: gli investitori stanno aspettando che riesca a vendere più asset per porre rimedio alle sue finanze. La preoccupazione di molti osservatori è legata al fatto che una vittoria di Trump potrebbe mettere a rischio alcuni dei suoi progetti negli Stati Uniti, per i quali potrebbe non riuscire ad ottenere i necessari permessi.
Il gestore patrimoniale svizzero LFG+ZEST ha aperto una posizione corta sul produttore danese di turbine eoliche Vestas e EDP Renovaveis del Portogallo ritenendo che, indipendentemente dalle elezioni statunitensi, i profitti del settore continueranno a essere sotto pressione.
News
Morgan Stanley rivede i propri obiettivi climatici. La transizione green c’è, ma è lenta
Economia green ed obiettivi climatici si muovono in sinergia. Ma Morgan Stanley li ha dovuti rivedere adottando un po’ più di cautela e prendendosi più tempo.
Il cammino verso un’economia green è lento e procede con molta calma. Questo è il motivo per il quale Morgan Stanley ha deciso di abbassare la riduzione delle emissioni dal suo portafoglio di prestiti alle aziende.
Jessica Alsford, responsabile della sostenibilità e presidente dell’Institute for Sustainable Investing di Morgan Stanley, spiega che uno dei settori attraverso i quali si comprende come ci si stia muovendo lentamente verso l’economia green, si percepisce dal rallentamento delle vendite di veicoli elettrici, dalla scarsa adozione dei biocarburanti nell’aviazione e dagli ostacoli finanziari e politici nel settore energetico
Morgan Stanley, economia green sì. Ma lentamente
Incamminarsi verso l’economia green ha un impatto diretto sulle attività di molte istituzioni finanziarie. ING, ad esempio, ha deciso di ridurre i prestiti ad alcuni clienti che operano nel settore petrolifero e del gas. Morgan Stanley, invece, in un rapporto ha messo in luce i propri obiettivi ed ha messo in evidenza di stare attenta a non farlo troppo in fretta.
Ad ogni modo, se il ritmo non dovesse accelerare, i suoi clienti e la stessa azienda potrebbero non essere in grado di raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette. Questo è il motivo per il quale l’approccio ai prestiti di Morgan Stanley punta ad essere in linea con il limite del riscaldamento globale a 1,5-1,7 gradi Celsius, andando ad attenuare il precedente obiettivo, che era fissato a 1,5 grazie.
Alsford ha spiegato che le tecnologie e le attuali politiche non sono completamente allineate con 1,5 gradi, e avere questo intervallo tra 1,5 e 1,7 significa riconoscere le sfide che l’economia globale deve affrontare, pur rimanendo in linea con l’accordo di Parigi. Ricordiamo che l’accordo di Parigi punta a limitare l’aumento medio delle temperature dall’era industriale a ben meno di 2 gradi entro il 2050.
Nonostante le temperature record registrate in tutto il pianeta, le emissioni di molte aziende continuano ad aumentare e un rapporto delle Nazioni Unite ha mostrato che l’aumento della temperatura media mondiale è attualmente destinato a raggiungere i 3,1 gradi entro il 2100.
Economia green, le strade per raggiungerla
Morgan Stanley, ora come ora, ha degli obiettivi ben precisi da raggiungere entro il 2030 per sei settori:
- energia;
- energia elettrica;
- automobili;
- prodotti chimici;
- estrazione mineraria;
- aviazione.
Ma non solo. Morgan Stanley ha anche rivisto completamente l’anno di riferimento da cui misurare gli obiettivi, passando dal 2019 al 2022: l’anno più recente presenta dei dati sicuramente migliori.
È stata adottata, inoltre, una metodologia battezzata intensità fisica, che serve a monitorare le emissioni per unità di produzione o generazione, andando ad allineare la banca ed i suoi clienti.
L’obiettivo è di ridurre le emissioni operative del settore del 12-20% entro il 2030, con una riduzione delle emissioni derivanti dall’uso finale del 10-19%, sebbene la banca abbia affermato che alcuni aspetti, tra cui le pressioni sulla sicurezza energetica, potrebbero avere un impatto sui risultati.
L’obiettivo era di ridurre le emissioni del settore energetico nell’intero portafoglio prestiti tra il 45 e il 60%, anche se sarebbero stati necessari finanziamenti e sostegno politico per soddisfare la crescente domanda, compresa quella richiesta dalle tecnologie di intelligenza artificiale.
Per le automobili si prevedeva un calo del 29-45%, sebbene Morgan Stanley avesse avvertito che i tassi di adozione dei veicoli elettrici erano inferiori al tasso necessario per soddisfare la quota del settore l’obiettivo globale.
Nel settore dell’aviazione, le emissioni erano destinate a scendere del 13-24%, spinte dall’uso di carburante per l’aviazione sostenibile. Mentre l’IEA ha affermato che questo dovrebbe raggiungere il 10% entro il 2030, la banca ha osservato che alcune compagnie aeree stanno puntando solo a un utilizzo del 5-7,5%.
Morgan Stanley spiega che restano da affrontare sfide significative per garantire che l’offerta possa soddisfare la domanda a parità di costi, il che sarà un fattore determinante per le compagnie aeree nel raggiungimento dei loro obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni e quindi per noi nel raggiungimento del nostro obiettivo in materia di aviazione.
News
Sviluppo sostenibile, grazie alle linee guida si possono sbloccare finanziamenti per 200 mld $
Grazie all’introduzione delle linee guida è possibile sbloccare finanziamenti per 200 miliardi di dollari per lo sviluppo sostenibile.
200 miliardi di dollari: è quanto ammontano gli investimenti per lo sviluppo sostenibile che potenzialmente potrebbero essere sbloccati. Ad ottenerli potrebbero essere Paesi o aziende, nel caso in cui dovessero seguire alcune linee guida. Questo è quanto emerge da una relazione predisposta da JPMorgan.
A definire quali possano essere le linee guida da seguire è Impact Disclosure Taskforce, che ha voluto fornire uno strumento utile per colmare un gap di finanziamenti che è stimato in 4,2 milioni di dollari ogni anno, che rende difficile centrare l’obiettivo di sviluppo sostenibile fissato dalle Nazioni Unite.
Ma entriamo un po’ nel dettaglio e cerchiamo di capire a cosa si riferisce JPMorgan.
Sviluppo sostenibile, il nodo degli investimenti
È tempo, sicuramente, di fare il punto della situazione sullo sviluppo sostenibile. Alcune forme di finanziamento ESG – stiamo pensando prima di tutto alle obbligazioni o ai prestiti green o legati alla sostenibilità – seguono da un po’ di tempo delle classificazioni guidate dal mercato. Al momento, però, non esiste un regolamento comune per valutare i prestiti volti a creare un impatto sociale o ambientale positivo.
In molti casi gli emittenti hanno avuto delle vere e proprie difficoltà nell’attrarre degli investitori, a causa della mancanza di dati di qualità, di obiettivi e di rendicontazione degli impatti.
Le linee guida si vanno ad inserire proprio in questo contesto: prevedono, infatti, un processo in cinque fasi, nelle quali rientra anche la valutazione della strategia dell’emittente per garantire che i suoi prodotti, servizi e operazioni rispondano alle esigenze più urgenti di un determinato paese.
Ma non solo. Gli emittenti devono anche impegnarsi a descrivere l’impatto che sperano di ottenere e, soprattutto, come intendono ottenerlo. Oltre che stabilire degli obiettivi per misurare l’impatto e farne una rendicontazione precisa e completa.
Arsalan Mahtafar, responsabile del team delle istituzioni finanziarie per lo sviluppo presso JPMorgan, spiega che in questo modo si crea un consenso nel mercato e nel settore su come l’impatto dello sviluppo sostenibile dovrebbe essere misurato e divulgato. Mahtafar ha poi aggiunto che in base all’impronta della banca e al suo obiettivo di finanziamento dello sviluppo, i progetti, che si prevede saranno resi disponibili agli investitori d’impatto, varranno oltre 200 miliardi di dollari all’anno.
Timothee Jaulin, responsabile dello sviluppo ESG presso la società di gestione patrimoniale Amundi, membro della Taskforce, ha affermato che le linee guida renderanno più facile per gli investitori valutare i criteri di sostenibilità dei paesi.
Copresieduta da JPMorgan e dalla banca francese Natixis, la Taskforce annovera oltre 50 membri tra cui anche la Banca asiatica di sviluppo, HSBC, Korea Eximbank, Morningstar Sustainalytics, Linklaters e Standard Chartered.
La pubblicazione delle linee guida coincide con un incontro della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale a Washington per discutere su come liberare più finanziamenti per aiutare i paesi ad affrontare sfide come il cambiamento climatico.
Precede inoltre i colloqui globali sul clima che si terranno in Azerbaigian a novembre, durante i quali i paesi in via di sviluppo stanno spingendo per un obiettivo annuale più ambizioso in materia di finanziamenti per il clima.
L’importanza dello sviluppo sostenibile
I riflettori sono sempre più puntati sullo sviluppo sostenibile: gli eventi geopolitici che si stanno susseguendo nel corso di questi ultimi hanno hanno intensificato l’instabilità economica globale ed hanno aggravato l’inflazione e la pressione sul debito.
Andrea Poggi, Innovation leader Deloitte Italia, ha sottolineato come sia essenziale promuovere uno sviluppo sostenibile nelle economie in via di sviluppo a beneficio di tutta l’economia e la società globale, concentrandosi su tre priorità chiave: transizioni digitali e green, sicurezza alimentare e innovazione dei sistemi sanitari.
Secondo Poggi l’efficacia delle strategie di sviluppo richiede delle vere e proprie riforme dei sistemi educativi e devono supportare l’accesso alle materie Stem, soprattutto per donne e giovani. Ed è importante che promuovano l’iscrizione scolastica superiore: solo il 9% della popolazione africana è impegnata in percorsi universitari.
News
Grazie al picco dei combustibili fossili si aumenteranno gli investimenti sull’elettricità green
Sarà proprio il picco dei combustibili fossili a spianare la strada degli investimenti per ottenere l’elettricità da delle fonti rinnovabili.
Quale impatto avrà sul prezzo del petrolio e sull’uso in generale dei combustibili fossili il maggiore impiego dell’energia elettrica? Come e in quale modo è possibile trovare delle risorse per poter rendere il mondo sempre più green e riuscire a ridurre al massimo le emissioni?
In un recente rapporto l’Agenzia internazionale per l’energia ha cercato di mettere in evidenza cosa sta accadendo. Secondo l’organizzazione siamo sull’orlo di una nuova era dell’elettricità, che comporterà, entro la fine di questo decennio, un picco nella domanda di combustibili fossili per produrla. Secondo l’Iea le eccedenze di gas e petrolio potrebbero spingere gli investimenti nell’energia verde.
Ma cerchiamo di capire cosa sta preoccupando gli esperti del settore in questo momento.
Combustibili fossili, una strada per andare verso l’era dell’elettricità
Siamo davanti ad un mondo che farà sempre più uso dell’elettricità, ma continua ad avere bisogno di combustibili fossili per la sua produzione. Esigenze che si inseriscono in un momento di elevate incertezze determinate dai conflitti che stanno sconvolgendo il Medio Oriente, l’Ucraina e la Russia, aree geografiche nelle quali si estraggono petrolio e gas. Ma non solo: i paesi che rappresentano la metà della domanda globale di energia, nel corso del 2024, hanno in programma delle elezioni.
Fatih Birol, direttore esecutivo dell’IEA, ha spiegato che nella seconda metà di questo decennio la prospettiva di forniture più ampie, o addirittura in surplus, di petrolio e gas naturale, a seconda di come si evolveranno le tensioni geopolitiche, ci porterebbe in un mondo energetico molto diverso.
Nel caso in cui ci dovesse essere un eventuale surplus di scorte di combustibili fossili, almeno secondo Birol, si verrebbero a determinare dei prezzi più bassi: questa situazione permetterebbe ad una parte dei paesi di dedicare più risorse all’energia pulita, facendo entrare il mondo in un’era dell’elettricità.
A preoccupare, però, almeno nel breve termine, c’è la possibilità di una riduzione delle forniture di combustibili fossili, nel caso in cui il conflitto in Medio oriente dovesse interrompere i flussi di petrolio.
Secondo l’AIE i suddetti conflitti mettono in evidenza come le tensioni sul sistema energetico e la necessità di investimenti per accelerare verso una tecnologia più pulita e sicura.
Elettricità, le politiche governative
L’IEA ha messo in evidenza che, nel 2023, è entrato in funzione a livello globale un livello record di energia pulita, tra cui oltre 560 gigawatt (GW) di capacità di energia rinnovabile. Si prevede che nel 2024 saranno investiti circa 2 trilioni di dollari in energia pulita, quasi il doppio dell’importo investito nei combustibili fossili.
Nello scenario basato sulle attuali politiche governative, la domanda globale di petrolio raggiungerà il picco prima del 2030 a poco meno di 102 milioni di barili al giorno (mb/d), per poi scendere ai livelli del 2023 di 99 mb/d entro il 2035, in gran parte a causa della minore domanda del settore dei trasporti dovuta all’aumento dell’uso dei veicoli elettrici.
Il rapporto illustra inoltre il probabile impatto sui futuri prezzi del petrolio qualora venissero attuate a livello globale politiche ambientali più severe per contrastare il cambiamento climatico. Nello scenario politico attuale dell’AIE, i prezzi del petrolio scenderanno a 75 dollari al barile nel 2050, dagli 82 dollari al barile del 2023.
Questa cifra sarebbe paragonabile a 25 dollari al barile nel 2050, qualora le azioni governative fossero in linea con l’obiettivo di ridurre le emissioni del settore energetico a zero entro quella data.
Il rapporto, inoltre, prevede un aumento della domanda di gas naturale liquefatto (GNL) di 145 miliardi di metri cubi (bcm) tra il 2023 e il 2030: questo aumento, ad ogni modo, sarà superato da un aumento della capacità di esportazione di circa 270 bcm nello stesso periodo. L’eccesso di capacità di GNL sembra destinato a creare un mercato molto competitivo almeno finché non verrà risolto, con prezzi nelle principali regioni importatrici in media di 6,5-8 dollari per milione di unità termiche britanniche (mmBtu) fino al 2035.
I prezzi del GNL asiatico, considerati un punto di riferimento internazionale, si aggirano attualmente intorno ai 13 milioni di Btu di dollari.
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